Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14654 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. un., 05/07/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 05/07/2011), n.14654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

H.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GIUNONE

REGINA 1, presso lo studio dell’avvocato CARLEVARO ANSELMO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati LOPEZ DE GONZALO

MARCO, PALANDRI PIETRO, MORDIGLIA MASSIMO, MORDIGLIA ENRICO, COSULICH

GIORGIO, CAVANNA CECILIA, per procura speciale, in atti;

– ricorrente –

contro

MICOPERI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo

studio dell’avvocato SPERATI RAFFAELE, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati KIELLAND CRISTOFORO, BRESSLER RICCARDO, per

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

THE SHIPOWNERS’ MUTUAL PROTECTION AND INDEMNITY ASSOCIATION;

– intimata –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

1970/2009 del TRIBUNALE di RAVENNA;

uditi gli avvocati Anselmo CARLEVARO, Raffaele SPERATI, Riccardo

BRESSLER, Cristoforo KIELLAND;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/01/2011 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Rosario Giovanni RUSSO, il quale chiede che le Sezioni unite della

Corte, accogliendo con ordinanza il ricorso in epigrafe indicato,

statuiscano la carenza di giurisdizione del giudice italiano in

relazione alle domande proposte dalla Micoperi s.r.l. nei confronti

del signor H.C., con condanna aggravata della Micoperi

alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1) La società italiana Micoperi s.r.L, avente per oggetto sociale la costruzione di piattaforme offshore, stipulò, nell’anno 2005, un contratto di appalto con la società turca Toreador per la realizzazione di un progetto (della cui natura non è rinvenibile, negli atti di causa, migliore specificazione) nel mar Nero.

1.1) Nel corso dell’esecuzione dei lavori, la Micoperi si rese responsabile del crollo di una struttura di proprietà della committente, provocando danni da questa quantificati in 12 milioni di dollari, onde la sospensione, da parte della Toreador, del pagamento dei corrispettivi, e l’insorgere di una controversia tra le due società, l’una istante per il ristoro dei danni, l’altra per il pagamento del corrispettivo dell’appalto.

1.2) Nelle more, la Micoperi chiese al proprio assicuratore (The Shipowners Mutual Protection and Indennity Association, società mutua assicuratrice con sede in Lussemburgo) di essere tenuta indenne dalle pretese della committente, e la compagnia, tramite il proprio incaricato H.C., concluse a Londra una transazione, da questi condotta e sottoscritta, per la somma di 5,8 milioni di dollari, oltre alla rinuncia, da parte della Micoperi, alla somma di 4 milioni 570 mila euro dovutale dalla Toreador quale corrispettivo dell’appalto.

2) L’assicuratore, dopo aver corrisposto il prezzo della transazione alla committente, chiese alla Micoperi la rifusione di quanto pagato sostenendo che il danno da questa cagionato aveva natura contrattuale, come tale escluso (ai sensi della clausola 28.3 del contratto di assicurazione) dalla copertura assicurativa.

2.1) Al rifiuto opposto dall’assicurata, la compagnia lussemburghese instaurò un giudizio dinanzi ad un collegio arbitrale inglese, così come previsto dal contratto.

3) A sua volta la Micoperi convenne, dinanzi al tribunale di Ravenna, sia l’assicuratore, sia la persona fisica che aveva condotto le trattative e transatto la lite, chiedendo:

– l’accertamento della inesistenza di una clausola compromissoria;

– l’accertamento della insussistenza di qualsiasi obbligazione di essa esponente nei confronti dell’assicuratore;

– l’accertamento della responsabilità dell’assicuratore e del suo incaricato per i danni subiti in conseguenza della vicenda giudiziaria sin lì svoltasi;

– la condanna di entrambi i convenuti al risarcimento dei danni in suo favore;

– la condanna dello H. quale responsabile dei danni da “transazione rovinosa”;

– la condanna del medesimo a manlevare essa istante da quanto costretta in ipotesi a dover corrispondere all’esito dell’instaurato giudizio arbitrale londinese, ovvero a qualsiasi altro titolo.

4) C.H., nel costituirsi, ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice italiano.

4.1) Egli sostiene che, ai sensi dell’art. 5, comma 3 del Regolamento CE 44/2001, la giurisdizione in tema di risarcimento del danno spetta al giudice del luogo in cui l’evento dannoso si è verificato, luogo da intendersi, tuttavia, non nel senso di “luogo del pregiudizio patrimoniale” risentito dalla vittima, bensì di “luogo di verificazione dell’evento” che quel pregiudizio aveva cagionato. Di conseguenza, avendo la Micoperi lamentato un pregiudizio scaturente dalla transazione a suo dire dannosa, il giudice italiano era privo di giurisdizione per essere stato l’atto transattivo (id est, l’evento di danno) stipulato a Londra.

5) Nel resistere con controricorso al gravame H., la Micoperi ha sostenuto:

– che l’art. 5.3 del regolamento CE stabilisce, in tema di fatti illeciti, che la giurisdizione spetta al giudice “del luogo dove l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”;

– che, nella specie, essa resistente aveva chiesto la condanna dello H. al risarcimento di un danno futuro, di quanto, cioè, avesse in ipotesi dovuto corrispondere all’assicuratore in caso di accoglimento della domanda introdotta dinanzi al collegio arbitrale londinese;

– che il danno conseguente all’accoglimento della domanda di rivalsa dell’assicuratore era un danno destinato a verificarsi in Italia, sede della Micoperi e luogo dell’eventuale esecuzione del lodo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato.

1.2. Come si è già avuto modo di esporre in narrativa, il petitum immediato della domanda proposta dalla odierna ricorrente dinanzi ai tribunale ravennate ha ad oggetto tanto la condanna dello H., in solido con la compagnia assicuratrice inglese, al risarcimento dei danni già subiti – onde l’inesattezza dell’affermazione della ricorrente secondo cui oggetto della domanda risarcitoria sarebbe stato il solo danno futuro -, sia la condanna del solo H. a tenerla indenne da qualsiasi esborso conseguente all’esito dell’arbitrato.

1.3. Causa petendi di tali pretese viene poi esplicitamente individuata dalla Micoperi nel negozio transattivo stipulata da C.H. a Londra nel novembre del 2008, nel corso della fase preliminare (mediation) svoltasi dinanzi all’autorità giudiziaria inglese. Ne consegue la evidente riduttività e la sostanziale irrilevanza della prospettazione della ricorrente, strumentalmente volta a porre l’accento, quoad iurisdictionis, sulla sola domanda di manleva, costruita in termini di condanna per danno futuro, domanda che (al di là ed a prescindere dalla sua stessa ammissibilità in iure poichè questione non esaminabile in questa sede – benchè, più che di danno futuro, sembrerebbe lecito discorrere di danno potenziale) l’art. 5, comma 1, n. 3 consentirebbe, secondo l’assunto della Micoperi, di azionare la pretesa dinanzi al giudice italiano, stante il riferimento al “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”.

1.4) E’, di converso, convincimento di questa corte regolatrice che, anche con riguardo ai danni futuri, ovunque essi possano concretamente realizzarsi e prender corpo, ciò che rileva, giusta disposto dell’art. 386 c.c., sia l’individuazione, quoad loci, della causa petendi (nella specie, la transazione), intesa come il (decisivo) fatto storico generatore dell’evento di danno, al di là ed a prescindere dalla concreta localizzazione delle singole conseguenze dannose destinate a verificarsi nel patrimonio del danneggiato (id est nel suo domicilio ovvero nella sua sede, come la stessa ricorrente mostra di ritenere quando, nell’atto di citazione – sub 2, lett. b) – asserisce che “i danni subiti e subendi in conseguenza della condotta illecita del sig. H. si sono verificati e si verificheranno in Ravenna, ove la Micoperi ha la sede legale).

2) Con ormai costante orientamento (a far data dalle sentenze Shevill e Marinari del 1995, seguite dalle pronunce Kronhofer del 10.6.2004 e Zuid Chemie del 16.7.2009) la corte del Lussemburgo ha sempre escluso che il “luogo ove l’evento dannoso si è verificato o possa verificarsi” sia legittimamente identificabile con quello in cui il patrimonio del danneggiato risenta delle conseguenze pregiudizievoli dell’evento di danno lamentato come ingiusto (al fine di evitare il pericoloso proliferare della prassi del cd. forum shopping). Con altrettanto costante orientamento, questa corte regolatrice, a far data dal 2003, ha puntualmente applicato tale regula iuris, in vicende anche analoghe (danni “da transazione rovinosa”) a quella per la quale è ancor oggi processo, ribadendo che in nessun caso il locus commissi delicti è sovrapponibile a quello in cui si determina l’impoverimento patrimoniale del soggetto che lamenta la ingiusta lesione di una situazione soggettiva giuridicamente tutelata, senza che tale principio soffra eccezioni di sorta con riguardo ai danni futuri, per i quali il criterio di collegamento resta in ogni caso individuato o dal fatto generatore dell’illecito (nella specie, la transazione inglese), ovvero dal luogo ove si sia prodotta le diretta ed immediata lesione del bene protetto (nella specie, il territorio inglese ove la transazione ebbe a perfezionarsi), ancorchè gli effetti mediati dell’evento di danno possano diversamente propagarsi nel tempo e nello spazio.

2.1) La ricorrente, con la sua impugnazione, sollecita, in realtà, la corte ad una revisione critica di tale orientamento, con argomentazioni non prive di suggestioni, specie con riguardo al profilo dei danni futuri.

2.2) E’ peraltro convincimento di queste sezioni unite che l’orientamento ormai consolidatosi in subiecta materia meriti incondizionata conferma, alla luce delle considerazioni che seguono.

3) Le decisioni della Corte di giustizia delle Comunità europee sui casi Shevill e Marinari possono ritenersi l’inevitabile approdo di un tormentato itinerario interpretativo che, dal lontano 1976, ha impegnato, non senza oscillazioni, giudici della comunità e non pochi autori, italiani e stranieri, sul tema della determinazione della giurisdizione di uno Stato membro secondo il disposto dell’art 5 n. 3 della Convenzione di Bruxelles (oggi trasfuso, senza sostanziali modifiche, nel regolamento 44/01).

3.1) La norma stabilisce che “il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente … in materia di delitti o quasi delitti, davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto (le lieu où le fait dommageable s’est produit)”. Altrettanto noto è che essa costituisce una deroga al principio generale previsto dalla convenzione in tema di forum litis, che viene collocato (art. 2) “nel luogo di domicilio del convenuto”.

3.2) La possibilità della non coincidenza temporale e, soprattutto, spaziale dei vari momenti caratterizzanti l’illecito civile (i ” delitti ed i quasi delitti “, secondo la terminologia adottata dal legislatore comunitario) e cioè la condotta, l’evento, i danno è stata, sempre più di frequente, causa dell’insorgere di controversie transnazionali nelle quali l’attore-danneggiato sostiene il suo buon diritto a convenire il danneggiante dinanzi ai giudici del suo paese, assumendo di aver ivi “subito un danno”. Costantemente si replica, da parte convenuta -spesso sollevando la questione della giurisdizione in via preventiva – che una interpretazione restrittiva, di tipo naturalistico, del concetto di “evento dannoso”, al contrario, si impone.

3.3) Utile punto di partenza delle riflessioni che seguiranno va ricercato nella sentenza della Corte di giustizia del 30 novembre 1976, in causa 21.76, tra gli attori olandesi della Bier e della Reinwater e la convenuta francese Mines de potasse d’Alsace. Due società fiamminghe, l’una di gestione di un vivaio di fiori, l’altra con compiti di migliorare la qualità delle acque del fiume Reno citano, dinanzi all’Arrondissementsrechtbank di Rotterdam, la società francese che, estraendo minerali in Alsazia, versava nel fiume diecimila tonnellate di cloruro di sodio al giorno, sì da cagionare un considerevole aumento del tasso di salinità delle acque. Il giudice olandese di prima istanza si dichiara incompetente, ritenendo di dover individuare l’evento dannoso di cui all’art. 5 comma 3 della Convenzione nell’attività di scarico dei sali effettuata in Francia. Interposto appello dalle società attrici, il Gerechthof dell’Aja sospende il procedimento, chiedendo alla Corte Europea una pronuncia che chiarisca a reale portata, quoad iurisdictionis della locuzione “evento dannoso”. L’organo giurisdizionale sovranazionale, seguendo itinerari motivazionali di carattere eminentemente pragmatico giunge all’affermazione del principio di diritto secondo il quale “qualora il luogo in cui avviene il fatto implicante una eventuale responsabilità da delitto o da quasi delitto non coincida con il luogo in cui tale fatto ha causato un danno, l’espressione luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto va intesa nel senso che essa si riferisce tanto al luogo ove è insorto il danno quanto al luogo ove si è verificato l’evento generatore dello stesso. Ne consegue che il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, sia dinanzi al giudice del luogo ove è insorto il danno sia dinanzi al luogo ove si è verificato l’evento dannoso” (Nel testo originale, più specificamente, il giudice comunitario parla di danno sopravvenuto: l’expression “lieu où le fait dommageable s’est produit” doit etre entendue…….à la fois le lieu où le domage est survenu, et le lieu de l’evenement causai) .

3.4) All’indomani della pubblicazione della sentenza, la dottrina si trovò profondamente divisa. Si sostenne che la decisione avrebbe consentito di adire il Tribunale, nella cui circoscrizione erano domiciliate, anche alle cd. “vittime secondarie” – identificando con tale termine tutti i soggetti che, dall’evento dannoso, avessero ricevuto conseguenze pregiudizievoli solo in via mediata; si replicò che essa fosse, al contrario, da circoscrivere ai casi in cui fin dall’inizio vi è una scissione dell’evento causale e della prima manifestazione del danno.

Dal suo canto, la giurisprudenza di questa corte, già prima della pronuncia della Corte di giustizia del 1976, aveva avuto modo di affrontare e prendere posizione sul tema: nel procedimento Nagel- Mowlem del 1974 per regolamento di giurisdizione, l’attrice, lamentati i postumi dannosi di un intervento di rinoplastica eseguito in Inghilterra, invocò una pronuncia che affermasse la competenza del giudice italiano, perchè “in quel territorio si erano prodotti gran parte dei danni”. La Corte, anticipando, sia pur in parte, la soluzione adottata in punto di diritto nella pronuncia Bier, ritenne fondato l’assunto sottolineando come, nel caso di specie, non fosse lecito discorrere di un danno realizzatosi immediatamente, nella sua interezza, come effetto contestuale dell’intervento chirurgico, bensì di un danno progressivo e continuativo, opinando che, “essendo alcune delle conseguenze dannose lamentate – indebolimento della vista, inabilità al lavoro, stato di depressione psichica – prodottesi, secondo l’assunto dell’attrice, nel territorio della Repubblica, il sanitario straniero potesse essere convenuto dinanzi al giudice italiano”.

3.5) Tale indirizzo interpretativo sarà riaffermato da questa Corte nella controversia tra la società Truckline Ferries France e l’italiana Siaf, che lamentò di aver subito un danno dal blocco delle proprie attività (e da un successivo ricorso di fallimento) occorsi ad opera della società francese. Queste sezioni unite, premesso un esplicito riferimento alla sentenza 21.76 della Corte di giustizia europea, che pure aveva operato una evidente distinzione tra luogo di verificazione dell’evento e luogo di produzione del danno, ribadì, tacitianamente, che l’attività dannosa addebitata alila convenuta si era “svolta in Italia”.

Non diversa soluzione venne adottata con la pronuncia Volksbank del 1990, che, oltre a ribadire il discutibile principio della sovrapposizione tra luogo dell’evento e luogo delle conseguenze dannose, estenderà la portata della regola di interpretazione enunciata dai giudice comunitario anche al luogo della condotta tenuta dal convenuto, affermando che “la espressione “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto” consente, a scelta dell’attore, la citazione del convenuto sia davanti al luogo del giudice ove è insorto il danno (luogo dell’azione delittuosa) sia a quello del luogo ove si è verificato l’evento dannoso”. Venne così realizzata una evidente – quanto non condivisibile – reductio ad unitatem non solo del concetto di danno -inteso tanto come evento fisico quanto come deminutio patrimoniale – quand’anche del diverso elemento dell’illecito, la condotta, antecedente logico e cronologico dell’evento.

4) Una inversione di tendenza sembrò cogliersi con la sentenza dell’aprile 1990 nella controversia Ingenieur bureau Kihm/ Fall.

Casazza. La questione, in punto di fatto, si presentò di notevole complessità (il curatore di un fallimento citò in giudizio in Italia una società svizzera – che aveva sottoposto a sequestro conservativo la somma di 450.000 franchi, di cui la società fallita era creditrice – assumendo che il danno, sotto il profilo delle conseguenze patrimoniali e sotto quello della violazione della par condicio creditorum si era, per la sua assistita, verificato in Italia), e verrà risolta nel senso che “se la giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero può essere riconosciuta soltanto ove in Italia si sia verificato l’evento dannoso … è di tutta evidenza che i pretesi fatti illeciti si sono verificati in Svizzera, e che pure in Svizzera si è concretato il danno di cui si pretende il risarcimento”. Il dictum di queste sezioni unite, nella specifica vicenda, non sembrò peraltro prestarsi ad una interpretazione univoca, potendo, da un canto, apparire un primo accoglimento della concezione (va detto, limitata esclusivamente quoad iurisdictiuonis) del danno-evento, ove sì discorre di un “fatto illecito” (evento) e della speculare realizzazione di un pregiudizio (danno) entrambi avvenuti in Svizzera, così che – assumendo il curatore, non senza ragione, che tutte le conseguenze patrimoniali pregiudizievoli si erano verificate in Italia – parve apparentemente compiuta la scelta in favore di un concetto di danno inteso come lesione ingiusta del bene giuridico protetto (anche se non de tutto escluso apparve – considerati anche i precedenti – una non improbabile opzione per la predicabilità del criterio, già indicato dalla Corte europea con la pronuncia 365.88, dell’immediatezza del danno-pregiudizio: avendo subito il sequestro conservativo del danaro in Svizzera, era in quel momento ed in quel luogo che la società fallita aveva ricevuto il primo danno patrimoniale “diretto”, tutti gli altri essendone conseguenza solo mediata ed indiretta).

5) La pronuncia Robobar/Finncold, del giugno 1993, segnerà, invece, un nuovo, pericoloso arretramento ermeneutico, oltrechè una scelta di un percorso interpretativo che la stessa Corte di giustizia europea aveva chiaramente mostrato di volere, se non abbandonare, quantomeno sensibilmente limitare: condotta alle sue logiche conseguenze, la tesi sostenuta in questa occasione dalla Corte impose, ancora una volta, di collocare il forum litis immancabilmente (anche) nel luogo di domicilio dell’attore, in patente contraddizione con la disciplina generale in tema di competenza sancita dall’art. 2 della convenzione, che indica nel domicilio del convenuto il criterio- cardine per la proposizione di azioni giudiziali in liti transnazionali. Ed ancora nell’aprile 1995 queste sezioni unite riaffermeranno che “per luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto deve intendersi anche quello in cui si determina l’evento di danno e, quindi, l’impoverimento patrimoniale del soggetto che si pretende leso, che, in concreto, va individuato in quello dove ha sede la società attrice”.

6) Dal suo canto, la giurisprudenza comunitaria, sino a tutto il 1990, chiamata ad interpretare la reale portata normativa della regola di giurisdizione sancita all’art. 5, n. 3 della Convenzione di Bruxelles, si segnalerà per il tentativo, essenzialmente pragmatico, di conciliare il principio normativo generale del foro del convenuto con l’esigenza “politica” di garantire una chance in più alla parte processualmente meno “forte” delle controversie giudiziarie transnazionali, e cioè l’attore: non diverso significato pare potersi attribuire al “principio della scelta” (appena temperato dalla esclusione dei soggetti indirettamente danneggiati dal fatto) riconosciuta a quest’ultimo tra il foro del luogo di consumazione “fenomenologica” dell’illecito e quello di verificazione del danno, inteso come vulnus diretto ed immediato ai patrimonio.

6.1) E’ -come si è avuto modo di rammentare in precedenza – dal 1995 (causa Shevill/Presse Alliance e Marinari/Lloyds Bank), che si assiste al revirement della giurisprudenza della corte europea, ed alla progressiva scomparsa della dicotomia tra le categorie del danno e del pregiudizio patrimoniale – fonte dell’equivoco della non accettabile teoria dell’electio fori ex latere actoris -, per riconoscersi rilevanza giuridica soltanto alla prima di esse al fine di determinare la competenza giurisdizionale di uno o piuttosto dell’altro Stato membro. Si dissolvono, così, molte delle ombre che avevano accompagnato la interpretazione della locuzione “evento dannoso”, che (con il tramonto della efficienza causale della categoria del “danno-pregiudizio”) si caratterizza, alfine, secondo i contenuti della fattispecie del cd. “danno iniziale”.

7) Lo stesso revirement permea, dal 2003, la giurisprudenza italiana, i cui approdi recenti l’odierno ricorrente chiede, oggi, al collegio di rimeditare. Ma proprio all’esito di una rimeditazione sul piano strettamente teorico della questione del danno iniziale queste sezioni unite ritengono che l’orientamento ormai consolidatosi presso la corte, sia pur di recente, meriti incondizionata conferma.

7.1) Prendendo le mosse da una – necessariamente sommaria – ricognizione della normativa italiana e della imponente dottrina che abbia affrontato ex professo il tema dell’illecito, sembra difatti possibile pervenire ad una soddisfacente ricostruzione degli aspetti morfologici e funzionali della categoria del torto aquiliano sub specie della sua rilevanza a fini di giurisdizione, onde verificare poi se, ad un esame comparato delle espressioni normative comunitarie, tale ricognizione evidenzi utili e significativi spunti di riflessione che consentano di approdare ad una più razionale ed efficace collocazione, sul piano interpretativo, del concetto di “evento dannoso”. Il tentativo di ricostruire la morfologia dell’illecito quale risulta dal dettato della norma comunitaria, beninteso, va rigorosamente circoscritto al momento processuale della determinazione della competenza giurisdizionale e, dunque, non sottende alcuna interferenza sul piano sostanziale di tale morfologia: è, in altri termini, una ricostruzione soltanto settoriale, alla ricerca di principi operanti esclusivamente quoad iurisdictionis.

7.2) E’ noto come lo studio dell’atto illecito abbia per molti decenni occupato la migliore dottrina italiana, divisa da sempre tra sostenitori della teoria dualistica e fautori di una tricotomia strutturale, condotta-evento-danno, con doppio nesso causale tra primo e secondo e tra secondo e terzo di tali, essenziali elementi del torto aquiliano. La disputa si arricchì notevolmente all’esito della sentenza 14 luglio 1986, n. 184 della Corte costituzionale che, quantomeno limitatamente alla fattispecie del cd. danno biologico, parve ravvivare le voci di chi aveva optato per la categoria del cd.

danno-evento (o “evento interno”) come vicenda unitaria, fuori della struttura dell’illecito restando il pregiudizio inteso come danno patrimoniale e morale. Ma la successiva sentenza del giudice delle leggi, chiamato, nel 1994, nuovamente a pronunciarsi sulla costituzionalità degli artt. 2043 e 2059 c.c., si pose, al di là delle espressioni di maniera usate, in rotta di aperta collisione sul tema della struttura dell’illecito, poichè il ritorno alla esigenza della prova della esistenza e della entità del danno ricondusse quest’ultimo alla sua originaria autonomia concettuale (quella che nella giurisprudenza di questa corte era stata evidenziata già nella celebre sentenza a sezioni unite del 1925). Danno non è più, allora, lesione di un interesse meritevole di tutela,ma piuttosto conseguenza ingiusta (e risarcibile) della lesione.

7.3) Il ritorno al concetto di danno-conseguenza sembrò ai più un ritorno al principio cardine della responsabilità civile, quello secondo il quale essa non si propone fini sanzionatori – come l’illecito penale – bensì scopi risarcitorio-ripristinatori, e parve anche il più aderente alla architettura del fatto illecito voluta dal legislatore italiano del ’42 (che, con ogni probabilità, non volle optare per un principio di ontogenesi del danno – il danno come in sè dell’evento – identificandolo invece, all’interno deila norma- cardine dell’art. 2043, come categoria filogenetica, riconnessa, cioè, al fatto, ma conseguenza distinta di esso). La sussunzione de fatto nella sfera del rilevante giuridico avviene, allora, proprio in conseguenza del riconoscimento di tale, autonoma sussistenza, poichè l’illecito, senza la ulteriore vicenda della produzione di un danno ingiusto, non “obbligherà il suo autore al risarcimento”, caratterizzandosi piuttosto secondo un modello di irrilevanza giuridica (per certi versi parificabile alla inqualificazione giuridica del negozio nullo). Paiono, allora, potersi correttamente individuare gli aspetti morfologici del fatto illecito disciplinato nell’ordinamento italiano nella tricotomia condotta, evento, danno contra ius., quelli funzionali essendo, invece, gli obblighi risarcitori secondo le regole degli artt. 2043 e 2059 c.c..

8) Così sommariamente ricostruite le linee essenziali della struttura del fatto illecito nell’ordinamento italiano, è necessario interrogarsi sulla possibilità di mutuare, da esse, strumenti adeguati di lettura della norma comunitaria, sempre mantenendosi rigorosamente coerenti con la premessa della assoluta autonomia della regola di giurisdizione.

8.1) Proprio il sistema italiano pare poter offrire un contributo non indifferente a tale indagine esegetica già attraverso una comparazione lessicale del tessuto normativo degli art. 2043 c.c. da una parte e 5 n. 3 della Convenzione di Bruxelles dall’altra.

Recita, difatti, l’art. 2043: “Qualunque: a) fatto, b) doloso o colposo,che cagioni ad altri c) un danno ingiusto,obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Dal suo canto l’art. 5, n. 3 della Convenzione, riprodotto oggi nel regolamento del 2001, sulla premessa che il convenuto domiciliato in uno Stato contraente ben può essere citato in altro Stato contraente, limita tale possibilità di vocatio in ius “in materia di a) delitti o quasi delitti,davanti al giudice del luogo in cui b) l’evento dannoso è avvenuto”. Profonde appaiono, pertanto, le differenze strutturali tra i due impianti normativi, se l’illecito “domestico” si snoda secondo le scansioni temporali CON DOTTA-EVENTO-EVENTO ILLECITO-EVENTO ILLECITO DANNOSO-EVENTO DANNOSO INGIUSTO, mentre l’illecito pensato quoad iurisdictionis dal legislatore comunitario si colloca entro le più ristrette categorie della CONDOTTA ILLECITA (id est il delitto – il quasi delitto) e dell’EVENTO DI DANNO. Ad una struttura tripartita del nostro sistema normativo fa dunque da contralto la dicotomia del secondo, e tanto appare già chiaro nel solo soffermarsi al piano strettamente letterale della interpretazione. In entrambi i casi, il momento risarcitorio è fuori dalla morfologia delle fattispecie ma, nel primo sistema, la ingiustizia del danno fa assumere a quest’ultimo dignità di elemento strutturale,poichè, implicando una valutazione anche sostanziale, e non soltanto limitata alla individuazione della competenza territoriale, qualifica l’iliecito nella sfera del giuridicamente rilevante; nel secondo sistema, (che non si occupa, ovviamente, di aspetti sostanziali) il concetto di danno ingiusto è del tutto irrilevante, ed il centro gravitazionale dell’illecito si sposta sull’evento, la cui qualifica di “dannoso” altro non significa che “astrattamente lesivo di un bene o interesse giuridicamente tutelati”. Può così proporsi una definizione della locuzione “evento dannoso” che, intesa come fatto, causalmente connesso alla condotta, generativo di una concreta lesione del diritto o dell’interesse protetto, consenta il definitivo abbandono dell’equivoco connaturato alle espressioni “danno”, “pregiudizio” e quant’altro, definizioni che, inconsapevolmente, potrebbero nuovamente, in futuro, spostare l’asse dell’illecito descritto nella norma comunitaria dall1 evento alle conseguenze patrimoniali.

8.2) Ciò consente di individuare, con sufficiente rigore concettuale, la struttura dell’illecito disciplinato a livello comunitario ai (soli) fini di determinazione della competenza giurisdizionale – senza che questa ricostruzione pretenda di incidere minimamente sui problemi di qualificazione strutturale dei singoli diritti interni.

8.3) Così precisati il concetto di “danno diretto” elaborato dalla Corte di giustizia e fatto proprio da questa stessa corte regolatrice, è ripristinato il principio della eccezionalità della collocazione del forum litis al di fuori dello Stato di domicilio del convenuto, e può dirsi definitivamente tramontata quella inaccettabile facoltà di indiscriminata electio fori attribuita all’attore che ancora alcuni anni fa costituiva la irredimibile conseguenza di una visione non sufficientemente autonoma del concetto di illecito a fini di giurisdizione.

8.4) Nè tale soluzione implica il rischio di vanificare, nella sostanza, la portata della norma speciale, riconducendo la vicenda della competenza giurisdizionale nuovamente ed esclusivamente nell’orbita di attrazione del foro del convenuto. La perplessità, ad una più attenta riflessione, non ha ragion d’essere, perchè tradisce l’equivoco di fondo dell’approccio all’analisi degli elementi dell’illecito, confondere e sovrapporre, cioè, il concetto di condotta con quello di evento. La norma comunitaria, invece, va correttamente interpretata nel senso di estendere la competenza giurisdizionale ai casi in cui 1) la condotta si perfezioni in un momento diverso (ed in uno Stato diverso) rispetto all’evento dannoso; 2) l’evento si qualifichi come dannoso in un momento (ed in uno Stato) diverso da quello della sua verificazione naturalistica.

Quest’ultima proposizione merita – del tutto ovvia risultando la prima -qualche ulteriore chiarimento, onde evitare il rischio di ricadere inconsapevolmente e nuovamente nell’equivoco interpretativo dell’evento inteso come pregiudizio patrimoniale e, di qui, alla predicazione della regola di competenza del forum actoris. L’evento dannoso, ed i comportamento “delittuoso o quasi-delittuoso” che lo presuppongono, sono, ovviamente, fattispecie astratte di tutela erga omnes previste in ossequio alla regola di comportamento del ngeminem ledere. Ma, nel momento in cui sorge la esigenza di determinare la competenza giurisdizionale, esse si sono già relativizzate, hanno, cioè, già chiaramente fissato i due poli soggettivi del danneggiante e del danneggiato. Così, un evento illecito diviene dannoso quando provoca la lesione concreta del bene protetto in relazione a quel determinato soggetto che si fa attore nel processo che va ad intentare. Utilizzando, al fine di migliore comprensione, una vicenda concreta tratta proprio dall’esperienza della giurisprudenza comunitaria, e cioè il più volte citato caso Bier/Mine de potasse d’Alsace, la società mineraria francese compie una attività fisica di scarico di sali minerali nel Reno (condotta);

ne consegue il fatto naturale dell’immissione dei sali nel fiume (evento); questo fatto risulterà anche illecito (perchè contrario alle norme antinquinamento previste dall’ordinamento francese), ma, ciononostante, ancora indifferente rispetto all’attore Bier. Esso diventerà rilevante (evento dannoso) solo al momento del contatto dell’acqua salinizzata con la coltivazione dei fiori della società olandese. E che ciò sia vero è confermato dal fatto che, ove per ipotesi le acque del fiume, in territorio francese, fossero state oggetto di scarico di una sostanza, da parte di altra ditta, che avesse assorbito per una qualche reazione chimica i sali precedentemente versati, ecco che nessun evento dannoso si sarebbe prodotto per la coltivatrice di fiori dei Paesi Bassi. Si coglie cosi, in tutta la sua portata, l’importanza della soluzione che riconnetta al termine “lesione del diritto protetto” una indispensabile connotazione di concretezza, e che non sovrapponga il concetto di evento dannoso nè a quello di atto genericamente illecito nè, per converso, a quella di prejudicè subi. Proseguendo nell’esempio, se la coltivazione di fiori della società con sede in Olanda si fosse trovata sulle sponde del Reno in Germania, la scelta del forum litis sarebbe stata, per l’attrice, tra la Francia e la Germania stessa,gli Stati, cioè, di domicilio del convenuto (art. 2) o di luogo di verificazione dell’evento dannoso (art. 5 n. 3). Si limita, così, sensibilmente il problema della moltiplicatio fori, secondo l’auspicio della giurisprudenza comunitaria, ma non si vanifica del tutto fa deroga speciale al principio del foro del convenuto, lasciando all’attore la concreta possibilità di scelta del giudice in quei casi in cui realmente una condotta abbia determinato il prodursi o di un evento dannoso diversamente dislocato, ovvero di una pluralità di eventi dannosi (e non di semplici conseguenze patrimoniali plurime, benchè dirette, di un unico evento).

Sulla base delle considerazioni che precedono, la corte ritiene di dover confermare la propria giurisprudenza in tema di individuazione della competenza giurisdizionale internazionale.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate.

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso e dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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