Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14651 del 14/07/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14651 Anno 2015
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: D’AMICO PAOLO

erroneamente ritenuto che la sua domanda fosse sfornita di prova
in ordine alla titolarità del diritto di proprietà dell’immobile
de quo

ed alla sussistenza di un comodato fra le parti ed

insisteva per l’accoglimento delle originarie domande.
Nubola si costituiva sostenendo la correttezza della
decisione impugnata della quale chiedeva la conferma.
La Corte d’appello di Roma, pronunciando sull’appello
proposto da Antonio Scancella avverso la sentenza del Tribunale
di Roma ed in riforma della stessa, ha dichiarato risolto il
contratto di comodato ed ha condannato l’appellato Carlo Nubola
all’immediato rilascio del suddetto appartamento, in favore di
Antonio Scancella; ha condannato Carlo Nubola a pagare in favore
di Scancella la somma di 25.000,00 a titolo di indennizzo per
l’occupazione dell’immobile.
Propone ricorso per cassazione Carlo Nubola, con due motivi.

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Data pubblicazione: 14/07/2015

Resiste con controricorso Antonio Scancella che presenta
memoria.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso Carlo Nubola denuncia
«violazione e falsa applicazione delle norme relative al

Sostiene parte ricorrente che la Corte d’appello ha
erroneamente configurato come comodato il rapporto fra Antonio
Scancella e la defunta figlia Liana Scancella e Carlo Nubola
avente ad oggetto l’appartamento sito in Roma.
Ad avviso del Nubola, con due scritture private (3 maggio
1988 e 9 maggio 1988 riportate in parte a p. 6 del ricorso)
Antonio Scancella riconosceva a Liana e Loreto Scancella la
proprietà dei due appartamenti al secondo piano, i due garages
al piano terra, l’area e la terra circostante al fabbricato.
Tanto per il notevole apporto economico sostenuto dalla figlia
Liana e dall’altro figlio Loreto. Pertanto ad avviso del
ricorrente non può sussistere un contratto di comodato.
Il motivo è inammissibile per mancato rispetto dell’art. 366
n. 6 c.p.c..
Il ricorrente contesta la qualificazione giuridica del
contratto, quale comodato di immobile, data in sede di merito.
Tale contestazione è effettuata sulla base di due scritture
private, senza indicare in quale sede processuale esse sarebbero
state prodotte; inoltre, della scrittura privata del 9 maggio

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• VI

contratto di comodato (artt. 1803 e seguenti c.c.).»

1988 non vi è menzione in sentenza e se in relazione alla stessa
si è instaurato il contraddittorio.
In tema di ricorso per cassazione, l’art. 366, primo comma,
n. 6, c.p.c., novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006, oltre a
richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei

esige che sia specificato in quale sede processuale il documento
risulti prodotto; tale prescrizione va poi correlata
all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369,
secondo coma, n. 4 c.p.c., per cui deve ritenersi, in
particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato
prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi
nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo,
purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato
prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora
il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla
controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto
nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se
cautelativamente si rivela opportuna la produzione del
documento, ai sensi dell’art. 369, coma 2, n. 4, c.p.c., per il
caso in cui la controparte non si costituisca in sede di
legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo
produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non
prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della
sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 c.p.c.)

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contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso,

oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e
formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento
della possibilità di produrlo, mediante la produzione del
documento, previa individuazione e indicazione della produzione
stessa nell’ambito del ricorso (Cass. S.U., 25 marzo 2010, n.

2. Con il secondo motivo si denuncia «violazione e falsa
applicazione delle norme relative all’onere della prova (art.
2697 comma I c.c.) ed alla forma della domanda nel ricorso (art.
414 c.p.c.)»
Afferma il ricorrente Nubola che Antonio Scancella non ha
assolto all’onere della prova da cui era gravato ex art. 2697

A fondamento delle proprie richieste, prosegue il Nubola,
Antonio Scancella ha prodotto esclusivamente la sentenza n.
14749/1988 del Tribunale di Roma, con la quale era stato
disposto “il trasferimento da Frassoldati Andrea, Fabrizio,
Filippo e Pietro e Casini Bianca a Scancella Antonio della
proprietà del terreno di 590 mq sito in via della Pisana n.
321”, unitamente alla nota di trascrizione eseguita presso la
Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma l del 23 dicembre
1988 e della raccomandata del 25 febbraio 2005 con la quale lo
stesso Scancella invitava esso Nubola a rilasciare
l’appartamento per cui è causa.

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7161; Cass., S.U., 2 dicembre 2008, n. 28547).

Inoltre prosegue il Nubola, nel dispositivo della suddetta
sentenza n. 14749/1988 si parla esclusivamente del terreno e
nulla viene detto circa l’immobile per cui è causa.
È quindi evidente che la suddetta sentenza nulla prova circa
il presunto contratto di comodato stipulato fra lo stesso

Si deve peraltro osservare, prosegue il medesimo Nubola, che
l’art. 414 c.p.c. dispone che il ricorso introduttivo deve
contenere «l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il
ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che
si offrono in comunicazione.»
Antonio Scancella non ha prodotto invece alcun documento
circa l’esistenza del presunto contratto di comodato, né ha
richiesto l’ammissione di prove testimoniali all’uopo.
Il motivo è inammissibile.
Va al riguardo posto in rilievo che, come si è ripetutamente
affermato, i motivi dedotti a fondamento dell’invocata
cassazione della decisione impugnata debbono recare (fra
l’altro) l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed
esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o
principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale
non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo, abbia
avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa
la pronunzia di merito, in termini cioè insufficienti ed
inidonei a consentire di bene intendere il significato e la

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Scancella e la defunta Liana Scancella e Carlo Nubola.

portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice

a quo

(v. Cass., 4 giugno 1999, n. 5492).
Quando nel ricorso per Cassazione è – come nel caso denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non
vengono indicate anche le argomentazioni in diritto contenute

medesime, il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla
Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito
istituzionale di verificare il fondamento della denunziata
violazione (Cass., 18 aprile 2006, n. 8932; Cass., 20 gennaio
2006, n. 1108; Cass., 8 novembre 2005, n. 21659). Non è infatti
sufficiente un’affermazione – come nella specie – apodittica e
non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente
viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi
fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la
pronunzia impugnata (Cass., 18 aprile 2006, n. 8932; Cass., 15
febbraio 2003, n. 2312; Cass., 21 agosto 1997, n. 7851).
Nella specie, come si ricava dal contesto del motivo, pur
denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto
in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte
ricorrente, lungi dall’indicare erronea interpretazione di norme
da parte della Corte di merito e dal fornire la prospettazione
di diversa lettura ritenuta viceversa “corretta” delle medesime,
si limita a sostanzialmente dolersi dello sfavorevole esito
della lite, contrario alle proprie aspettative, per essere state

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nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le

le risultanze di causa valutate in modo difforme dal proprio
convincimento. A tale stregua la formulata denunzia esula dalla
previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.
In conclusione,

il ricorso deve essere dichiarato

inammissibile, con condanna di parte ricorrente alle spese del

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte
ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si
liquidano in 8.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre spese
generali ed accessori di legge.
Roma, 13 aprile 2015

giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

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