Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14650 del 17/06/2010

Cassazione civile sez. II, 17/06/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 17/06/2010), n.14650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso per revocazione proposto da:

A.A., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. SCODELLARI Francesco, per

legge domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di

Cassazione, piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Venezia n. 2795 in data 20

novembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27 aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 24 febbraio 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: “Con verbale di contestazione di illecito amministrativo in data 24 gennaio 2005, il Comando Carabinieri per la Sanità contestava al Dott. A.A. la violazione amministrativa prevista della L. 5 febbraio 1992, n. 175, artt. 1, 2 e 4, e successive modiche ed integrazioni, sanzionati dal R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 201, per avere effettuato la pubblicità sanitaria della propria professione di medico chirurgo e del proprio studio medico privato, con mezzi non consentiti ed in assenza di specifica autorizzazione della competente autorità, in quanto mai richiesta, apponendo all’esterno dell’edificio una targa muraria riportante i dati inerenti la professione sanitaria e l’orario di apertura dello studio medico.

Seguiva l’ordinanza-ingiunzione del Ministero della salute, con la quale veniva ingiunto il pagamento della somma di Euro 5.164,00.

Il Giudice di pace di Soave respingeva l’opposizione proposta dall’interessato ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22, e segg..

La pronuncia del primo giudice è stata confermata dal Tribunale di Venezia con sentenza del 20 novembre 2008.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale il Dott. A. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.

Ha resistito, con controricorso, l’intimato Ministero della salute.

Il primo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto) ed il secondo mezzo (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) denunciano che la sentenza impugnata abbia erroneamente negato la violazione del principio del contraddittorio, nonostante l’ordinanza- ingiunzione del Ministero contesti, per richiamo al verbale di contestazione di illecito amministrativo, la contemporanea violazione di norme diverse (L. 5 febbraio 1992, n. 175, artt. 1, 2 e 4).

I due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di sanzioni amministrative, non comporta alcuna invalidità l’avere riportato nel verbale di contestazione un testo di legge diverso da quello violato, ove l’interessato sia stato posto in condizione di conoscere adeguatamente il fatto ascrittogli e dunque di esercitare il diritto di difesa (Cass., Sez. 2^, 30 gennaio 2008, n. 2201).

Nella specie la sentenza impugnata si è attenuta a questo principio, dopo avere rilevato, con congrua ed adeguata motivazione, che dal testo del verbale e dell’ordinanza-ingiunzione era perfettamente chiaro che la contestazione fosse riconducibile, in realtà, alla sola L. n. 175 del 1992, artt. 1 e 2, essendo la menzione, tra le norme violate, anche dell’art. 4 il frutto di un mero errore materiale, agevolmente desumibile da molti positivi riscontri offerti dal contesto.

A tale riguardo, il Tribunale ha correttamente valorizzato le seguenti circostanze: il fatto che l’ordinanza-ingiunzione si riferisce alla pubblicità della professione di medico attraverso la apposizione di targa nell’edificio dello studio, e non invece alla pubblicità relativa a case di cura private, gabinetti ed ambulatori;

il richiamo, fatto dall’ordinanza-ingiunzione, alla L. n. 175 del 1992, art. 2, prevedente l’autorizzazione del sindaco, con omissione di qualsivoglia riferimento alla autorizzazione regionale di cui alla L. n. 175 del 1992, art. 5.

Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione di legge) sostiene che i primi due commi del R.D. n. 1256 del 1934, art. 201, sarebbero stati abrogati dalla L. n. 175 del 1992, che, ridisciplinando l’intera materia, prevederebbe ora l’applicazione della sola sanzione disciplinare, con il venir meno della originaria sanzione amministrativa.

Il mezzo è manifestamente infondato.

Questa Corte (Sez. 2^, 28 maggio 2008, n. 14006) ha già ritenuto che la L. 5 febbraio 1992, n. 175, recante norme in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie, comminando la sospensione dall’esercizio professionale a carico di coloro che effettuino pubblicità senza l’autorizzazione ovvero con mezzi e forme non disciplinati dalla legge, non prevede una contravvenzione amministrativa ma una fattispecie di illecito disciplinare; e che la violazione contestata (l’avere il medico effettuato la pubblicità sanitaria mediante l’apposizione di targa senza essere in possesso della relativa autorizzazione) riveste il carattere sia di illecito amministrativo sia di illecito disciplinare, essendo da escludere la tacita abrogazione del R.D. n. 1265 del 1934, art. 201.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.

Letta la memoria di parte ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che, in ordine alla chiarezza in punto di contestazione del fatto, va ribadito che il verbale di accertamento contiene la puntuale descrizione del fatto addebitato, consistente nell’avere il contravventore effettuato la pubblicità sanitaria della propria professione di medico chirurgo e del proprio studio medico privato apponendo all’esterno dell’edificio, in assenza della specifica autorizzazione della competente autorità, una targa muraria riportante i dati inerenti la professione sanitaria e l’orario di apertura dello studio medico;

che siffatta descrizione del fatto contestato è idonea a garantire l’esercizio del diritto di difesa dell’incolpato, a nulla rilevando la circostanza che il verbale medesima rechi – accanto al richiamo delle norme di legge che sanzionano la fattispecie come illecito amministrativo – l’indicazione di norme non pertinenti (nella specie, la L. n. 175 del 1992, art. 4), atteso che questo errore non è tale da implicare in concreto un pregiudizio del suddetto diritto del contravventore;

che il principio di diritto sulla vigenza – alla stregua del quadro normativo vigente al momento del verificarsi della condotta – del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 201, è stato ribadito da Cass., Sez. 2^, 9 marzo 2010, n. 5727, la quale ha affermato che la L. 5 febbraio 1992, n. 175, recante “Norme in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie”, comminando la sospensione dall’esercizio professionale a carico di coloro che effettuino pubblicità senza l’autorizzazione ovvero con mezzi e forme non disciplinati dalla legge, non prevede una contravvenzione amministrativa ma una fattispecie di illecito disciplinare; e che pertanto va escluso che detta legge abbia comportato la tacita abrogazione del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 201 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), che assoggetta a sanzione amministrativa pecuniaria la violazione delle norme sulla pubblicità in materia sanitaria da esso previste;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 800,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2010

 

 

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