Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14650 del 14/07/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14650 Anno 2015
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 12084-2012 proposto da:
DE BLASIO ETTORE DBLTTR54M20F839L, BRANDI NUNZIA
BRNNNZ24E50F839L, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZALE CLODIO, 56 4 ° P. INT. 8, presso lo studio
dell’avvocato GIOVANNI BONACCIO, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato M.EUGENIA VALAZZI
2015

giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –

886
contro

PERNICE LAURA MARIA LUISA;
– intimata –

1

Data pubblicazione: 14/07/2015

avverso la sentenza n. 290/2011 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 01/04/2011 R.G.N. 492/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/04/2015 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto.

2

udito l’Avvocato M. EUGENIA VALAZZI;

Svolgimento del processo

Aldo De Blasio, Nunzia Brandi ed Ettore De Blasio
convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Urbino, Laura
Pernice esponendo: di aver abitato per lunghi periodi nella
piccola porzione di un immobile sito in Urbino, – di proprietà

e Nunzia Brandi, aveva vissuto sino alla separazione con la
moglie Laura Pernice la quale successivamente aveva continuato
a goderne -, dove avevano depositato molti mobili di famiglia.
Gli attori chiedevano la restituzione dei suddetti mobili
– posto che all’atto di rilascio dell’immobile era stata
constatata la mancanza degli stessi – e la condanna della
convenuta al risarcimento dei danni nella misura di C
21.670,00 oltre accessori, per i danni causati
all’appartamento.
Parte convenuta chiedeva il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Urbino rigettò la domanda di restituzione
dei beni mobili di proprietà dell’attore esistenti all’interno
dell’immobile sito in Urbino ed accolse parzialmente la
domanda di risarcimento del danno condannando la convenuta al
pagamento della somma di

e

3.377,76, oltre accessori.

Proposero appello Aldo De Blasio, Nunzia Brandi ed Ettore
De Blasio chiedendo la condanna di Laura Maria Luisa Pernice
alla restituzione ai rispettivi proprietari dei mobili ed
oggetti di cui all’apposito elenco, nonché il rimborso delle

3

u

di Ettore De Blasio ove quest’ultimo, figlio di Aldo De Blasio

spese necessarie per il ripristino dell’immobile e il
risarcimento dei danni arrecati allo stesso.
Laura

Maria

Luisa

Pernice

chiedeva

il

rigetto

dell’appello e proponeva appello incidentale.
La Corte d’appello di Ancona, in parziale accoglimento

ha

respinto la domanda di restituzione ed ha

condannato l’appellata al pagamento, in favore di Ettore de
Blasio, dell’ulteriore somma di 6.254,00; ha respinto
l’appello incidentale; ha condannato l’appellata a rifondere
in favore degli appellanti un terzo delle spese di lite di
entrambi i gradi del giudizio, compensate per la restante
parte.
Propongono ricorso per cassazione Nunzia Brandi ed Ettore
De Blasio con dodici motivi.
Parte intimata non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

l. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia
«contraddittorietà, illogicità ed insufficienza della
motivazione (art. 360 n.
Sostengono

i

5 c.p.c.).»

ricorrenti

che

la Corte d’appello

illogicamente grava gli appellanti anche dell’onere probatorio
relativo alla consegna della parte dei mobili già ammessa
dalla Pernice. E non si comprende, a loro avviso, perché
vengano introdotti nuovi elementi da provare quali la
precedente disponibilità dei beni mobili da parte dei De

4

dell’appello,

Blasio, la presenza degli stessi all’interno dell’abitazione e
la loro successiva mancanza.
La prova di tali elementi, secondo i ricorrenti, è
inutile non avendo la convenuta formulato tempestiva
opposizione in merito e trattandosi di fatti non controversi.
E comunque i ricorrenti segnalano la grave
contraddittorietà della sentenza che ha mutato le proprie
argomentazioni facendone conseguire oneri probatori a loro
esclusivo carico.
2. Con il secondo motivo si denuncia «violazione degli
artt. 167 c.p.c. e 2697 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.).»
I ricorrenti censurano la sentenza della Corte d’appello
che, nonostante il mancato rispetto da parte della convenuta
dell’onere di specificare quali erano i singoli beni donati e
quali acquistati, ha posto a carico degli attuali ricorrenti
l’onere della prova su tutti i fatti di causa, ivi compresi
quelli dedotti dalla convenuta e non controversi.
Ad avviso dei ricorrenti il giudice ha erroneamente
applicato l’art. 2697 c.c. esonerando la Pernice da qualsiasi
onere probatorio relativo agli opposti titoli di godimento dei
beni (proprietà per donazione e proprietà per acquisto)
attribuendo oneri probatori esclusivamente agli appellanti
attuali ricorrenti.
3. Con il terzo motivo si denuncia «Omessa motivazione violazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 n. 3 e n. 5).»

5

‘ì’y

Ritengono i ricorrenti che la Corte non si è espressa
sulle loro eccezioni in ordine all’asserita donazione. La
controparte, per i ricorrenti, non ha prodotto alcun atto
scritto pubblico, come richiesto dalla legge, ma si è limitata
ad affermare che i beni erano stati donati, senza fornire

I tre motivi, che per la stretta connessione devono
essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in
base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può
validamente concederla in comodato ed è, in conseguenza,
legittimato a richiederne la restituzione, allorché il
rapporto venga a cessare. Pertanto, il comodante che agisce
per la restituzione della cosa nei confronti del comodatario
non deve provare il diritto di proprietà, avendo soltanto
L’onere di dimostrarne la consegna e il rifiuto di
restituzione, mentre spetta al convenuto dimostrare di
possedere un titolo diverso per il suo godimento (Cass., 5
settembre 2013, n. 271).
L’impugnata sentenza, in applicazione dei suddetti
principi, ha ritenuto che i coniugi Di Blasio non hanno
fornito la prova dell’intervenuta consegna dei beni mobili
attraverso la prova della precedente disponibilità e della
presenza dei suddetti mobili nell’abitazione della Pernice.
Non si riscontra pertanto alcun vizio di motivazione
della sentenza impugnata, in riferimento alla mancata prova

6

alcuna indicazione dei medesimi.

dei

presupposti

utili

all’accoglimento

dell’azione

di

restituzione, considerando che la contraddittorietà della
motivazione deve aver ad oggetto un fatto controverso e
decisivo e non valutazioni che si assumano genericamente
illogiche.

è esatto affermare che la convenuta non ha specificamente
contestato il fatto posto a fondamento della pretesa attorea,
ossia la restituzione dei mobili.
Infatti, emerge dall’impugnata sentenza che la Pernice ha
obiettato che gli arredi di cui i coniugi De Blasio chiedevano
la restituzione costituivano, in gran parte, oggetto di
donazione da parte dei predetti in favore della coppia; per
altra parte si trattava di beni acquistati direttamente dalla
stessa Pernice o dai suoi genitori in ordine ai quali gli
attori non potevano vantare alcun diritto.
Il generico riconoscimento, da parte della Pernice, della
consegna di alcuni mobili non consente l’individuazione e la
riconducibilità degli stessi a quelli indicati nell’elenco dei
coniugi Di Blasio. Correttamente la sentenza impugnata ha
ritenuto che i coniugi Di Blasio non hanno fornito la prova
che ciascun bene mobile, singolarmente individuato, sia stato
consegnato nel corso degli anni alla Pernice. Pertanto non si
pone un problema del titolo di detenzione.

7

17’.,

Quanto alla pretesa violazione dell’art. 167 c.p.c., non

4. Con il quarto motivo si denuncia «omessa valutazione
di prove testimoniali – Contraddittorietà ed insufficiente
motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.)»
5. Con il quinto motivo si denuncia «omessa valutazione
di prove testimoniali dei testi assunti in prova delegata

(Brandi Massimo, Brandi Maria, Donatella Corrado, Rosalia
Rubinacci, Enrica Punzo, Antonio Brandi, Michela Gabriele,
Mariangela Fressa) – Insufficiente motivazione (art. 360 n. 3
e n. 5 cpc).»
6.

Con il sesto motivo si denuncia «insufficiente,

illogica e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5
c.p.c.).»
7. Con il settimo motivo si denuncia «erronea motivazione
(art. 360 n. 5 c.p.c.).»
Dal quarto al settimo motivo i ricorrenti sostengono che
le deposizioni dei testi erano determinanti ai fini della
prova della proprietà dei mobili e della consegna dei mobili e
degli oggetti. In particolare i ricorrenti censurano la
sentenza impugnata per non aver attribuito valore probatorio
alle diverse testimonianze e sostengono che, contrariamente a
quanto esposto nella sentenza, i testi hanno riconosciuto che
alcuni beni dei coniugi De Blasio – Pernice provenivano dalla
casa di Napoli dei ricorrenti.
I motivi sono infondati.

8

avanti il Tribunale di Napoli – Sez. Distaccata di Casoria

L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei
testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle
risultanze della prova testimoniale, il giudizio
sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni
invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze

motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al
giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della
propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre,
non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni
del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere
ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni
difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i
rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati
specificamente, sono logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Cass., 21 luglio 2010, n. 17097).
Nella specie la Corte d’appello ha adeguatamente indicato
le varie ragioni per cui ha ritenuto le prove testimoniali non
sufficienti a integrare la prova richiesta, non avendo gli
stessi testimoni specificamente individuato i beni per cui è
causa.
8. Con l’ottavo motivo si denuncia «omessa valutazione di
documenti e di comportamenti processuali ed extraprocessuali
art. 360 n. 5 c.p.c.»
Sostengono i ricorrenti che il

giudice d’appello ha

omesso ogni riferimento ad una serie di elementi acquisiti nel

9

I>

probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la

processo che risultano decisivi; in particolare, dai documenti
di causa e dagli atti penali depositati risultano le seguenti
circostanze: a) la Pernice ammette di aver asportato dalla
casa coniugale beni ritenuti di sua proprietà; b) ella è stata
sorpresa in flagrante dai carabinieri mentre, insieme al

autovettura; c) la teste Clini ha visto che la Pernice portava
via quadri ed oggetti d’argento dalla casa coniugale.
Il motivo è inammissibile per mancato rispetto dell’art.
366 n. 6 c.p.c., non risultando se, dove e quando sono stati
depositati i documenti di cui sopra e dove gli stessi si
trovino attualmente.
In tema di ricorso per cassazione, l’art. 366, primo
comma, n. 6, c.p.c., novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006,
oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e
dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del
ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale
il documento risulti prodotto; tale prescrizione va poi
correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui
all’art. 369, secondo coma, n. 4 c.p.c., per cui deve
ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il
documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso
ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la
produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che
il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è
rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle

10

padre, prelevava un cassettone per caricarlo nella sua

fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che
il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito
di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la
produzione del documento, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n.
4, c.p.c., per il caso in cui la controparte non si

produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora
si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito,
relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del
ricorso (art. 372 c.p.c.) oppure di documento attinente alla
fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e
comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo,
mediante la produzione del documento, previa individuazione e
indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso
(Cass. S.U., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass., S.U., 2 dicembre
2008, n. 28547).
9. Con il nono motivo si denuncia «contraddittoria
insufficiente motivazione – violazione dell’art. 345 c.p.c. art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.»
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata laddove
quest’ultima non ha ammesso la testimonianza di Filippo De
Blasio (figlio di Ettore De Blasio e Laura Pernice). Essi
chiedono a questa Corte che a Filippo De Blasio vengano
sottoposti i capitoli già indicati nella memoria ex art. 184
c.p.c.
Il motivo è infondato.

11

costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza

L’art. 345, terzo comma, c.p.c., come modificato dalla
legge 26 novembre 1990, n. 353, nell’escludere l’ammissibilità
di nuovi mezzi di prova nel giudizio di secondo grado, ivi
compresi i documenti, consente al giudice di appello di
ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano

che ritenga, nel quadro delle risultanze istruttorie già
acquisite, indispensabili perché dotate di un’influenza
causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite
come rilevanti, hanno sulla decisione finale della
controversia. Tale facoltà, comunque, quand’anche si ritenesse
di carattere discrezionale, non può mai essere esercitata in
modo arbitrario, dovendo essere espressa in un provvedimento
motivato, il cui contenuto è censurabile in sede di
legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. (Cass.,
19 aprile 2006, n. 9120).
Nel caso in esame l’impugnata sentenza ha ritenuto che,
anche ad ammettere la suddetta prova testimoniale,
quest’ultima non consentirebbe comunque l’esatta
individuazione dei beni oggetto di restituzione.
10. Con il decimo motivo si denuncia «contraddittoria,
insufficiente e omessa valutazione di prove (art. 360
c.p.c.).»
Con tale motivo i ricorrenti lamentano l’omessa
valutazione delle prove da parte della sentenza impugnata per
gli oggetti che si trovavano nella cassaforte della casa.

12

I)

potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, quelle

11. Con l’undicesimo motivo si denuncia «illogicità e
contraddittorietà della motivazione art. 360 n. 5 c.p.c.»
Ritengono i ricorrenti che la decisione della sentenza
sia illogica. Infatti la Corte, pur riconoscendo che
l’asportazione della stufa stube è stata effettuata dalla

l’idrolavaggio del pavimento, ma non riconosce il danno per la
ricostruzione della canna fumaria.
Il

decimo

e

l’undicesimo

motivo,

da

trattare

unitariamente per via della loro stretta connessione, sono
infondati.
Il vizio di omessa o insufficiente motivazione,
deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c.,
sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale
risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o
deficiente esame di punti decisivi della controversia e non
può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle
prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché
la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il
potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma
solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e
della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta
dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare
le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare
le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e
scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee

13

Pernice, liquida il costo dell’asportazione delle macerie e

a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 18 marzo 2011, n.
6288).
L’impugnata sentenza non presenta alcuna contraddizione e
svolge una approfondita analisi sia in riferimento alla
mancata prova dei presupposti utili per l’accoglimento

riconoscimento del danno per la ricostruzione della canna
fumaria. Si tratta di considerazioni di fatto sviluppate in
modo giuridicamente e logicamente corretto che in questa sede
non è dato sindacare. E comunque il ricorrente effettua una
generica contestazione senza criticare la sentenza impugnata.
12. Con il dodicesimo motivo si denuncia «insufficiente e
contraddittoria motivazione art. 360 n. 5 c.p.c..»
La parziale compensazione delle spese di secondo grado,
per i ricorrenti, non appare congruamente motivata ove si
pensi alla vicenda che è stata oggetto della causa ed al
comportamento processuale della convenuta.
Il motivo è infondato.
Premesso infatti che nella fattispecie si applica l’art.
92 nell’originaria formulazione, non viola tale norma, né
quella di cui all’art. 91 c.p.c., la disposta compensazione
delle spese effettuata dal giudice in appello, con riferimento
al ridotto accoglimento della domanda.
La nozione di soccombenza reciproca, che consente la
compensazione parziale o totale tra le parti delle spese
processuali (art. 92, secondo coma, c.p.c.), sottende – anche

14

dell’azione di restituzione, sia in riferimento al

in relazione al principio di causalità – una pluralità di
domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano
trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti,
ovvero anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda
proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne

quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente
quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico
capo (Cass., 21 ottobre 2009, n. 22381).
In tema di regolamento delle spese processuali, il
sindacato della corte di cassazione è limitato ad accertare
che non risulti violato il principio secondo il quale le spese
non possono essere poste a carico della parte vittoriosa.
Pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito la valutazione
dell’opportunità di compensare a norma dell’originaria
formulazione dell’art. 92 c.p.c (applicabile nella fattispecie

ratione temporls)

in tutto o in parte le spese di lite, e ciò

sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di
concorso con altri giusti motivi (Cass., 14 novembre 2002, n.
16012; Cass., l ottobre 2002, n. 14095; Cass., 11 novembre
1996, n. 9840).
Nel caso in esame il giudice d’appello non ha emesso
alcuna condanna alle spese nei confronti degli attuali
ricorrenti e correttamente l’impugnata sentenza ha applicato
l’art. 92, 2 0 comma, c.p.c., per l’accoglimento parziale delle

15

siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero

domande proposte dagli attuali ricorrenti.

Ha perciò

condannato la Pernice a rifondere, in favore dei Di Blaisio,
in terzo delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio
per il rigetto delle domande non accolte.
13. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e in

provvede sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Roma, 13 aprile 2015

assenza di attività difensiva di parte intimata non si

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