Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1465 del 19/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 19/01/2018, (ud. 08/11/2017, dep.19/01/2018),  n. 1465

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Il fatto.

1.1. Nel 2003 la società Laboratori Piazza s.n.c. convenne dinanzi al Tribunale di Treviso le società CEV s.p.a. e M. s.n.c., esponendo che:

(-) la M. era una propria agente, e disponeva di un magazzino a Treviso, ove era custodita merce della Laboratori Piazza s.n.c.;

(-) accanto a questo magazzino esisteva un cantiere, ove operava la società CEV s.p.a.;

(-) il 28 giugno 2002 il braccio di una gru per l’edilizia, operante nel suddetto cantiere, si staccò e crollò sul magazzino della M., danneggiando le merci ivi contenute di proprietà dell’attrice.

Chiese pertanto la condanna delle convenute al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti appena descritti.

1.2. Le società convenute si costituirono negando la propria responsabilità.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la società CEV s.p.a. chiamò comunque il fabbricante della gru (la società Potain Sud Europa s.r.l., che in seguito muterà ragione sociale in Manitowoc Crane Group Italy S.r.l.; d’ora innanzi, per brevità, “la Manitowoc”).

Nei confronti del terzo chiamato la CEV domandò di essere tenuta indenne nel caso di accoglimento della domanda attorea.

1.3. Anche la società Laboratori Piazza s.n.c., dopo tre mesi dalla notifica della prima citazione, convenne dinanzi al Tribunale di Treviso la Manitowoc, prospettando i fatti sopra descritti, e chiedendo la condanna anche di essa al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del crollo.

Le due cause vennero riunite.

1.4. La società Manitowoc, costruttrice della gru, chiese di essere manlevata dal proprio assicuratore della responsabilità civile, la società RAS s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in Allianz; d’ora innanzi, sempre e comunque, “la Allianz”), che provvide perciò a chiamare in causa.

La Manitowoc dedusse che, essendo avvenuto il sinistro il 26 giugno 2002, la propria eventuale responsabilità per quell’evento era garantita dalla polizza stipulata con la Allianz, avente durata dal 1 gennaio 2001 al 1 gennaio 2003. Soggiunse che tale polizza prevedeva una franchigia di Euro 4.547, e che di conseguenza per la parte eccedente tale importo aveva diritto ad essere garantita dal proprio assicuratore.

1.5. La società Allianz si costituì esponendo che:

(-) aveva stipulato con la Potain due successivi contratti di assicurazione della responsabilità civile: uno (contraddistinto dal n. (OMISSIS)) di durata dal 1 gennaio 2001 al 31 dicembre 2002; l’altro (contraddistinto dal n. (OMISSIS)) di durata dal 1 gennaio 2003 al 1 gennaio 2004;

(-) tutti e due i contratti contenevano una clausola (cosiddetta claims made), in virtù della quale l’assicuratore si era obbligato a tenere indenne l’assicurato non già per i danni da questi causati a terzi nel periodo di vigenza del contratto, ma per i danni il cui risarcimento fosse stato richiesto all’assicurato, la prima volta, durante il periodo di efficacia della polizza;

(-) il terzo danneggiato Laboratori Piazza s.n.c. aveva avanzato le proprie pretese nei confronti della Manitowoc soltanto nell’anno 2003, sicchè la garanzia invocata dall’assicurato era soggetta alle regole previste dalla seconda delle suddette polizze (ovvero quella stipulata per il periodo 2003-2004, n. (OMISSIS));

(-) la polizza in questione prevedeva, a differenza dell’altra, una franchigia non di Euro 4.547, ma del maggior importo di Euro 150.000, eccedente il danno patito dalla Laboratori Piazza s.n.c..

Sicchè, essendo il danno patito dal terzo danneggiato inferiore alla franchigia, l’assicurato non poteva pretendere alcun indennizzo.

1.6. Con sentenza 2 febbraio 2007 n. 128 il Tribunale di Treviso: (-) accolse la domanda attorea nei confronti della CEV e della Manitowoc;

(-) dichiarò nulla, ai sensi dell’art. 1341 c.c., la clausola claim’s made contenuta nella polizza n. (OMISSIS), e di conseguenza accolse la domanda di garanzia proposta dalla Manitowoc nei confronti della Allianz.

1.7. La sentenza venne appellata in via principale dalla Allianz, ed in via incidentale da tutte le altre parti ad eccezione della M..

Con sentenza 3 febbraio 2014 n. 264, la Corte d’appello di Venezia accolse l’appello principale e rigettò quelli incidentali.

La Corte d’appello accertò in fatto che:

(a) il sinistro si verificò nel 2002, ma la prima richiesta di risarcimento dei danni da esso causati pervenne alla CEV l’anno dopo;

(b) la polizza stipulata dalla CEV con la Allianz a copertura dei rischi della responsabilità civile da prodotti difettosi, valida per l’anno 2003 (n. (OMISSIS)), prevedeva che “l’assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato durante il periodo di efficacia dell’assicurazione e notificate alla società (assicuratrice) durante il medesimo periodo”.

Ciò posto in fatto, la Corte d’appello ritenne in iure che:

a) la clausola sopra trascritta non rendesse nullo il contratto ai sensi dell’art. 1895 c.c.;

(b) la clausola stessa non fosse vessatoria, perchè non aveva l’effetto di restringere la responsabilità dell’assicuratore, ma solo di delimitare l’oggetto del contratto.

Quest’ultimo, infatti, definiva per patto espresso il “sinistro” assicurato come “la richiesta di risarcimento di danni per i quali è prestata l’assicurazione”; se dunque le parti avevano liberamente pattuito di considerare “sinistro” la richiesta di risarcimento inviata dal terzo danneggiato all’assicurato, nella specie tale “sinistro” era avvenuto nel 2003, e dunque nella vigenza della polizza n. (OMISSIS).

Ai patti di tale polizza, pertanto, occorreva guardare per stabilire la fondatezza della pretesa dell’assicurato (giacchè quella polizza era il contratto da reputare vigente all’epoca in cui pervenne all’assicurato la richiesta di risarcimento da parte del terzo), e non ai patti previsti dal contratto vigente all’epoca in cui l’assicurato provocò il danno.

Dopo avere stabilito ciò, la Corte d’appello concluse che sebbene al momento del fatto la CEV fosse assicurata da una polizza che prevedeva una franchigia di soli 4.457 Euro, nel caso di specie dovesse applicarsi la maggiore franchigia di 150.000 Euro, perchè tale era la misura della franchigia prevista dal contratto vigente all’epoca in cui la Laboratori Piazza domandò di essere risarcita.

E poichè il danno causato dall’assicurata CEV era inferiore a tale limite, rigettò la domanda di garanzia.

1.8. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Manitowoc con ricorso fondato su cinque motivi.

Hanno resistito con controricorso la CEV e la Allianz.

2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso.

2.1. Coi primi due motivi di ricorso la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 1322 e 1917 c.c..

2.2. Sotto il primo profilo rileva che la Corte d’appello ha ritenuto applicabile al caso di specie la franchigia di 150.000 Euro in virtù della clausola c.d. claim’s made contenuta nel contratto, per effetto della quale si doveva considerare “sinistro”, a tutti i fini contrattuali (e dunque non solo ai fini del pagamento dell’indennizzo), l’invio della richiesta di risarcimento all’assicurato da parte del danneggiato.

Osserva la ricorrente che tale clausola è un patto atipico, ed i patti atipici sono validi solo se “diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, giusta la previsione di cui all’art. 1322 c.c., e che l’indagine sulla meritevolezza della clausola claim’s made inserita nella polizza n. (OMISSIS) mancò del tutto nella sentenza d’appello.

Sostiene poi che la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la meritevolezza della suddetta clausola non riguardandola in sè, ma collegandola a tutti gli altri patti contrattuali. Se avesse compiuto tale indagine, prosegue la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto concludere che il combinato disposto della clausola claim’s made col patto che consentiva all’assicuratore di recedere dopo ogni sinistro, sortiva un effetto perverso ed immeritevole di tutela, in quanto consentiva alla compagnia di sottrarsi al pagamento dell’indennizzo per tutti i sinistri già avvenuti, ma per i quali il terzo danneggiato non avesse fatto pervenire la sua richiesta di risarcimento all’assicurato durante la vigenza del contratto.

2.3. Sotto altro profilo, la ricorrente sostiene che la clausola claim’s made inserita nella polizza n. (OMISSIS) sarebbe comunque nulla perchè contrastante con l’art. 1917 c.c., comma 1, e la sua pattuizione finisce per snaturare la causa stessa del contratto di assicurazione della responsabilità civile.

Nè, prosegue la ricorrente, potrebbe ritenersi che la deroga all’art. 1917 c.c., comma 1, sia consentita dall’art. 1932 c.c., asserendo che tale ultima norma non prevede espressamente l’inderogabilità della prima.

D’una simile previsione secondo la ricorrente non vi sarebbe stato bisogno, in quanto l’inderogabilità del primo comma dell’articolo 1917 c.c. sarebbe “in re ipsa”: se, infatti, fosse consentito alle parti derogare liberamente a quella norma, il contratto da esse stipulato non potrebbe più qualificarsi come “assicurazione”, ma sarebbe un contratto diverso e per di più immeritevole di tutela.

3. Le eccezioni della società Allianz.

3.1. La società Allianz ha eccepito l’inammissibilità del motivo, sostenendo che sulla questione della validità della clausola claim’s made inserita nella polizza n. (OMISSIS) si sarebbe formato il giudicato.

L’eccezione è così argomentata in diritto:

(-) il Tribunale ritenne la clausola claim’s made valida, ma vessatoria; (-) nessuno ha impugnato tale statuizione di validità;

(-) ergo, l’immeritevolezza della clausola ex art. 1322 c.c. non può essere fatta ora valere in questa sede.

3.2. Tale eccezione preliminare è infondata.

In primo grado la società Manitowoc vide accolta la propria domanda di garanzia nei confronti dell’assicuratore, sicchè non aveva alcun interesse ad impugnare la sentenza sulla questione della conformità della suddetta clausola al disposto dell’art. 1322 c.c..

A fronte dell’appello principale proposto dalla Allianz, la quale si dolse dell’accoglimento della domanda di garanzia, la Manitowoc si limitò a riproporre le difese già svolte in primo grado circa la validità della clausola, e tanto bastava perchè potesse ritenersi ancora sub iudice la questione della validità e meritevolezza della clausola in esame.

4. Il problema sottoposto alla Corte.

4.1. Il ricorso proposto dalla Manitowoc pone a questo Collegio il problema di stabilire se nell’assicurazione della responsabilità civile sia consentito alle parti convenire che per “sinistro” debba intendersi, sia ai fini del pagamento dell’indennizzo, sia a tutti gli altri fini contrattuali, non la causazione d’un danno a terzi da parte dell’assicurato, ma eventi diversi, come la circostanza che il danneggiato abbia domandato il risarcimento all’assicurato-responsabile.

4.2. Tale questione appare di particolare importanza per le sue implicazioni teoriche e pratiche.

Sul piano dei presupposti teorici a monte, infatti, la soluzione del suddetto problema esige che si stabilisca se la peculiare struttura del contratto di assicurazione riverberi effetti sull’autonomia negoziale, limitandola.

Sul piano delle conseguenze pratiche a valle, la soluzione che, in un senso o nell’altro, si volesse dare al suddetto problema riverbererà effetti sulla validità delle clausole c.d. claim’s made. Se, infatti, si negasse la facoltà, per le parti d’un contratto di assicurazione della responsabilità civile, di qualificare “sinistro” eventi diversi dalla causazione d’un danno da parte dell’assicurato, sarà necessario stabilire se le suddette clausole siano meritevoli di tutela non solo nella parte in cui escludano il diritto dell’assicurato all’indennizzo, ove la richiesta di risarcimento da parte del danneggiato pervenga dopo la scadenza del contratto; ma anche nella parte in cui, stabilendo che per “sinistro” debba intendersi la richiesta di risarcimento pervenuta all’assicurato, fanno sì che contenuto, misura e limiti del credito indennitario dell’assicurato vadano determinati in base ai patti contrattuali vigenti al momento della suddetta richiesta, e non al momento della commissione dell’illecito da parte dell’assicurato.

4.2. Ritiene dunque questo Collegio che la soluzione di tali problemi meriti di essere devoluta all’esame delle Sezioni Unite di questa Corte; ed al fine di offrire a queste ultime un contributo di riflessione, esprime l’opinione che le soluzioni preferibili alle accennate questioni siano le seguenti:

(a) nell’assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di “sinistri” fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c. ovvero, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917 c.c., comma 1;

(b) nell’assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca che la spettanza, la misura ed i limiti dell’indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l’assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all’assicurato di essere risarcito.

Ciò per le ragioni che seguono.

5. Nozione di “sinistro” ed autonomia negoziale nel contratto di assicurazione.

5.1. Stabilisce l’art. 1882 c.c. che l’assicurazione contro i danni è il contratto col quale l’assicuratore si obbliga a rivalere l’assicurato del danno ad esso prodotto “da un sinistro”.

In base al testo considerato il Thesaurus della nostra lingua (Battaglia, Grande dizionario etimologico della lingua italiana, Torino 1998, vol. 19^, p. 75, ad vocem), il lemma “sinistro” ha il significato – per quanto rileva ai nostri fini – di “evento sfavorevole, dannoso; disgrazia, sciagura; incidente, avversità”.

Questo è indubbiamente il significato avuto presente dal legislatore, non solo nel codice civile, ma in centinaia di testi normativi.

Che in materia assicurativa “sinistro” sia sinonimo di “evento dannoso” emerge dal codice civile (cfr. gli artt. 1892, 1898, 1900, 1905); dal codice della navigazione (cfr. gli artt. 191,209,343,353,514,727,832 cod. nav.); dal regolamento di esecuzione del codice della navigazione (cfr. gli artt. 93, 94, 465, 466 bis, 523 reg. esec. cod. nav.); dall’art. 642 c.p.; dall’art. 110 c.p.m.p.; per non dire di una infinità di fonti normative di secondo grado, quali i regolamenti ministeriali o delle autorità di vigilanza (ad esempio, il D.M. 30 gennaio 2009, n. 19, art. 1, comma 1, lett. (h-bis), il quale definisce “sinistro” “l’azione od omissione che causa il danno patrimoniale”; ovvero, analogamente, l’art. 1, comma 1, lett. (f), del Provvedimento ISVAP 25.8.2010 n. 2827).

Che per “sinistro” debba intendersi “evento dannoso” è confermato, infine, dalla legislazione comunitaria: in tal senso infatti il lemma “sinistro” è usato nel testo italiano della Direttiva 2009/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009 (“Concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità”) e della Direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 “In materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II)”). Nell’uno e nell’altro caso il lemma “sinistro” si è tradotto il francese “accident” e l’omofono inglese “accident”, che hanno pur essi il significato di “fatto dannoso”, e non di “richiesta risarcitoria”.

In conclusione, per l’interpretazione letterale, il lemma “sinistro” che compare nell’art. 1882 c.c. indica un evento avverso, dannoso e non voluto dall’assicurato.

5.2. Il “sinistro” di cui è menzione nell’art. 1882 c.c. è l’avveramento del rischio di cui all’art. 1895 c.c.: quest’ultimo è il rischio in astratto, l’altro è il rischio in concreto o rischio avverato.

Tra rischio e sinistro esiste dunque un rapporto di circolarità: se manca il primo non può avvenire il secondo; ed il secondo deve essere conseguenza di un rischio assicurabile.

Il rischio assicurabile nell’assicurazione contro i danni è quello che ha ad oggetto un evento dalle seguenti caratteristiche: sia futuro, possibile, incerto, oggettivamente esistente e non artificialmente creato, derivante da causa non voluta, pregiudizievole per l’assicurato Il “sinistro” di cui all’art. 1882 c.c., di conseguenza, anche per l’interpretazione sistematica, oltre che per quella letterale, deve essere un evento avverso, pregiudizievole e non voluto.

5.3. Assicurato ed assicuratore hanno ampia facoltà di trascegliere quali rischi assicurare, entro quali limiti, a quali condizioni e per quale valore.

Non hanno, invece, la facoltà di pattuire che per “sinistro” debba intendersi un evento privo dei caratteri di incertezza, possibilità, dannosità, indesiderabilità.

Non l’hanno perchè, se fosse altrimenti, nulla distinguerebbe più l’assicurazione dalla scommessa. E’ insegnamento risalente e autorevole, infatti, che nell’assicurazione il rischio è effettivamente esistente; nella scommessa il rischio è artificialmente creato dalle parti.

E prevedere che l’assicuratore si obblighi a dare “100” all’assicurato, in presenza d’un evento che non sia dannoso di per sè, ma debba considerarsi tale per patto contrattuale, costituisce giustappunto una scommessa.

In conclusione, se le parti hanno la facoltà di assicurare qualsiasi tipo di rischio, non hanno la facoltà di definire “sinistro” un evento che non costituisca avveramento del rischio assicurato, e sia privo dei caratteri di quello: ovvero non volizione e dannosità.

5.4. Il problema appena esaminato non è nuovo: tutta la storia del diritto delle assicurazioni è costellata di periodici scivolamenti del contratto d’indennità verso il contratto d’azzardo, per fini più o meno commendevoli; e sempre il legislatore od i giureconsulti intervennero ad impedire questo fenomeno, consapevoli che il rilievo economico-sociale del contratto di assicurazione non può tollerare degenerazioni funzionali.

Nelle assicurazioni marittime medioevali e rinascimentali, ad esempio, al fine di prevenire contestazioni pretestuose da parte dell’assicuratore circa l’esistenza e l’entità del pregiudizio patito dall’assicurato, cominciarono a diffondersi clausole che elevavano al rango di sinistro non l’affondamento della nave, ma la richiesta del beneficiario (le clausole “interesse o non”, “habeat vel non”, “valguen mas o menys”, “esclusa ogni prova del carico e della proprietà”, “vuoto per pieno”, ed altre similari).

La liceità di patti simili (le cc.dd. “scommesse sul felice arrivo della merce a destinazione”, o “assicurazione impropria”) fu aspramente avversata da insigni giureconsulti (il S., il Ba., l’ E.) i quali ravvisarono nel concetto di “interesse” (ovvero la sussistenza, in capo al beneficiario, di un “interesse assecurari”) il criterio discriminante tra il trasferimento del rischio per una causa “giusta e utile” e l’alea artificialmente creata dalle parti, che caratterizza invece la scommessa.

Se ne dedusse che quando le parti concordano di qualificare “sinistro” un evento al cui avverarsi l’assicurato non ha un interesse contrario, “dessa non è una vera assicurazione, e non ne ha che il nome”.

Ed infatti anche le leggi marittime di quasi tutti gli Stati europei vietarono, a più riprese, i patti assicurativi volti a sganciare il diritto all’indennizzo dall’avverarsi d’un “sinistro” che non fosse un evento dannoso e non voluto (a (OMISSIS)).

In conclusione, i giuristi di tutte le epoche hanno avuto sempre ben chiaro ciò: che quando, sotto la spinta delle prassi commerciali o della convenienza degli affari, si lasciasse alle parti la facoltà di definire quomodolibet la nozione di “sinistro” in campo assicurativo, si finirebbe per sovvertire la funzione e la natura del contratto d’assicurazione, che si trasformerebbe da patto d’indennità in scommessa.

6. Si è dunque visto che:

(a) nell’assicurazione danni il “sinistro” di cui all’art. 1882 c.c. deve consistere in un evento dannoso e non voluto;

(b) non è consentito alle parti derogare a tali criteri;

(c) il patto col quale si qualificasse come “sinistro” un evento privo del carattere di dannosità, ovvero al cui avverarsi l’assicurato non abbia un interesse contrario, sarebbe una scommessa e non un’assicurazione.

In quanto tale, sarebbe nullo se stipulato da una impresa di assicurazione, la quale ha l’obbligo di limitare la propria attività alla stipula di contratti assicurativi (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209), salve le eccezioni previste dalla legge (tra le quali ovviamente non rientra la raccolta di scommesse).

I principi sin qui riassunti sono pacifici per secolare dottrina.

Occorre ora chiedersi se essi possano soffrire eccezione, nel campo dell’assicurazione della responsabilità civile.

6.1. L’assicurazione della responsabilità civile è un sottotipo dell’assicurazione danni. Se ne distingue perchè la “cosa” esposta al rischio non è un bene determinato, ma il patrimonio dell’assicurato. Per questa ragione la si definisce “assicurazione di patrimoni”, per distinguerla dalle “assicurazioni di cose”.

Nessuno, tuttavia, ha mai dubitato che anche nell’assicurazione della responsabilità civile, in quanto sottotipo dell’assicurazione danni, debba sussistere un rischio ed un interesse.

Il rischio nell’assicurazione di responsabilità civile è così definito dall’art. 1917 c.c., comma 1: “nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto”.

Dunque secondo la previsione legislativa nell’assicurazione di responsabilità civile il rischio in astratto è l’impoverimento dell’assicurato; il “sinistro” (o rischio in concreto) è la causazione, da parte dell’assicurato, d’un danno a terzi del quale debba rispondere.

6.2. Chiediamoci dunque: potrebbero le parti d’un contratto di assicurazione della responsabilità civile pattuire che il “sinistro”, ovvero il rischio avverato, possa consistere in un fatto diverso dalla commissione d’un illecito aquiliano da parte dell’assicurato, ed in particolare nella ricezione, da parte di questi, d’una richiesta di risarcimento?

Non potrebbero farlo: perchè se lo potessero, si produrrebbero sei conseguenze talmente paradossali, da risultare inaccettabili a qualsiasi ordinamento civile.

6.3. In primo luogo, la richiesta di risarcimento non è un “fatto dannoso”.

L’obbligazione risarcitoria sorge in capo all’assicurato quando con la sua condotta causa il danno (art. 1173 c.c.), non certo quando il danneggiato gliene chieda conto e ragione.

Anche in mancanza di tale richiesta, infatti, l’assicurato sarebbe pur sempre debitore della vittima, e nessuno oserebbe negare che l’assicurato si impoverisce non quando paga, ma quando nel suo patrimonio sorge l’obbligazione risarcitoria.

Del resto, a ragionare diversamente, si perverrebbe all’assurdo che non potrebbe considerarsi “danno” lo spontaneo pagamento del debito da parte dell’assicurato, prima ancora d’una richiesta risarcitoria, così come gli imporrebbe di fare l’art. 1219 c.c..

Ecco dunque la prima assurdità: se si ritenesse valida la clausola che qualifica “sinistro” la richiesta risarcitoria del terzo, si farebbe dipendere l’obbligazione dell’assicuratore da un evento non dannoso, in deroga a quanto stabilito dall’art. 1882 c.c..

6.4. In secondo luogo, l’assicurato non ha un interesse contrario alla richiesta risarcitoria: tutt’altro, ha un interesse positivo alla sua presentazione.

Se, infatti, quella richiesta non gli pervenisse nel termine di efficacia contrattuale, egli perderebbe la copertura assicurativa.

Ecco dunque la seconda assurdità: se si ritenesse valida la clausola che qualifica “sinistro” la richiesta risarcitoria del terzo, si farebbe dipendere l’obbligazione dell’assicuratore dall’avverarsi di un evento al cui avverarsi l’assicurato non ha un interesse contrario, in deroga a quanto stabilito dall’art. 1882 c.c..

6.5. In terzo luogo, l’attribuzione della qualifica di “sinistro” alla richiesta risarcitoria del terzo renderebbe impossibile l’adempimento dell’obbligo di salvataggio, di cui all’art. 1914 c.c.. Per adempiere tale obbligo, infatti, l’assicurato dovrebbe rendersi irreperibile alle richieste del terzo, ovvero non accettare le raccomandate o le notificazioni da questo speditegli.

6.6. In quarto luogo, se fosse lecito alle parti qualificare “sinistro” la richiesta risarcitoria del terzo, l’assicurato non potrebbe mai avere nessuna copertura nell’ipotesi di assicurazione della responsabilità civile per conto altrui (art. 1891 c.c.), ad esempio quella stipulata dal datore di lavoro a beneficio dei dipendenti.

Stabilisce, infatti, l’art. 1900 c.c. che “l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o da colpa grave del contraente”, e questa Corte ha sempre ritenuto che tale norma si applichi anche all’assicurazione della responsabilità civile.

Sicchè, nell’ipotesi in cui il contraente dovesse patire danno per opera dell’assicurato, e gliene chiedesse il risarcimento, a rigore l’assicurato non avrebbe diritto all’indennizzo, perchè il “sinistro” consisterebbe nella richiesta di risarcimento, e una richiesta di risarcimento non potrebbe che essere stata scritta volontariamente, e quindi con dolo.

6.7. In quinto luogo, se fosse lecito alle parti qualificare “sinistro” la richiesta risarcitoria del terzo, si perverrebbe all’assurdo che anche una richiesta infondata costituirebbe un “sinistro”, a farebbe scattare per l’assicuratore il diritto di recesso, come previsto nel contratto stipulato tra Allianz e Manitowoc.

Per contro, proprio la necessità che la richiesta risarcitoria, per far scattare l’obbligo indennitario, abbia un minimo di fondamento, rende palese che non quella richiesta costituisce il danno patito dal patrimonio dell’assicurato, ma la precedente condotta illecita di quest’ultimo.

6.8. In sesto luogo, se fosse lecito alle parti qualificare “sinistro” la richiesta risarcitoria del terzo, si perverrebbe al seguente ulteriore paradosso: che nel caso di morte dell’assicurato, cesserebbe il rischio ex art. 1896 c.c. e si scioglierebbe il contratto, e gli eredi dell’assicurato che avesse commesso un danno sarebbero sempre e comunque privi della copertura assicurativa.

La morte dell’assicurato, infatti, fa cessare il rischio che questi possa causare danni a terzi, ma non fa certo cessare il “rischio” che i terzi si rivolgano agli eredi del responsabile.

Il che a sua volta produce l’ulteriore assurdità che qualunque parente di persona assicurata contro i rischi della r.c., in virtù di un contratto contenente clausole come quelle adottate dalla Allianz, o provvede ad assicurarsi anche lui mentre l’assicurato è in vita, o rinuncia all’eredità.

7. Alla luce di tutto quanto esposto sin qui, deve concludersi che nel campo del contratto di assicurazione della responsabilità civile l’autonomia negoziale delle parti non è illimitata.

Esse non possono attribuire la qualifica di “sinistro” ad un evento che non sia pregiudizievole per il patrimonio dell’assicurato, ed al cui avverarsi l’assicurato non abbia un interesse contrario.

Se lo facessero, quel patto mai potrebbe qualificarsi “assicurazione”, ma sarebbe un contratto di altro tipo, la cui validità sarebbe da vagliare caso per caso, e che comunque in quanto contratto non assicurativo non potrebbe mai essere stipulato da un assicuratore, a pena di nullità, ex art. 11 cod. ass., comma 2.

7.1. Il corollario di quanto precede è il seguente: che ai fini della soluzione del problema qui in esame è del tutto irrilevante la circostanza che l’art. 1932 c.c., nell’elencare le norme inderogabili dalla volontà delle parti, non faccia cenno dell’art. 1917 c.c., comma 1.

Di prevedere l’inderogabilità di quella norma non v’era infatti bisogno, per la semplice ragione che derogare all’art. 1917 c.c., comma 1, significa stipulare un contratto che non è un’assicurazione della responsabilità civile.

Si consideri, del resto, che anche l’art. 1882 c.c. non compare tra le norme dichiarate “inderogabili” dall’art. 1932 c.c.: e certo nessuno vorrà sostenere che un contratto privo dei requisiti di cui all’art. 1882 c.c. possa qualificarsi un’assicurazione sì, ma “atipica”.

8. Validità del patto di esclusione dell’indennizzo per le richieste postume.

8.1. Come già detto, il contratto stipulato dalla Manitowoc con la Allianz conteneva due patti:

(a) col primo, si qualificava “sinistro” la richiesta di risarcimento pervenuta all’assicurato durante la vigenza del contratto;

(b) col secondo si stabiliva che “l’assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato durante il periodo di efficacia dell’assicurazione e notificate alla società (assicuratrice) durante il medesimo periodo”.

Tutti e due sono stati invocati dall’assicuratore, al fine di negare la propria obbligazione.

Pertanto, anche nell’ipotesi in cui si ritenesse invalido il patto sub (a), resterebbe da stabilire se il patto sub (b) non sia di per sè sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di garanzia.

La clausola sopra trascritta, infatti, anche se cadesse la pattuizione che eleva al rango di “sinistro” la richiesta risarcitoria del terzo, teoricamente sarebbe di per sè sufficiente a giustificare il rigetto della pretesa dell’assicurato.

8.2. La clausola di cui s’è detto al p. precedente è nota nella prassi commerciale come “clausola claim’s made”.

Della validità delle clausole dette claim’s made si sono già occupate le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016.

Con quella decisione le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che:

(a) la clausola claim’s made, nella parte in cui consente la copertura di fatti commessi dall’assicurato prima della stipula del contratto, non è nulla, e non rende nullo il contratto di assicurazione per inesistenza del rischio, ai sensi dell’art. 1895 c.c.;

(b) la clausola claim’s made, nella parte in cui subordina l’indennizzabilità del sinistro alla circostanza che il terzo danneggiato abbia chiesto all’assicurato il risarcimento entro i termini di vigenza del contratto, delimita l’oggetto di questo, e non la responsabilità dell’assicuratore, e di conseguenza non è vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c.;

(c) la clausola claim’s made, pur non essendo vessatoria, potrebbe tuttavia risultare in singoli casi specifici non diretta a “realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, ai sensi dell’art. 1322 c.c.. Quest’ultima valutazione tuttavia va compiuta in concreto e non in astratto, valutando:

(c1) se la clausola subordini l’indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto;

(c2) la qualità delle parti;

(c3) la circostanza che la clausola possa esporre l’assicurato a “buchi di garanzia”.

8.3. I problemi posti a questo Collegio dal ricorso oggi in esame sono dunque ulteriori e diversi rispetto a quelli esaminati e decisi dalle Sezioni Unite con la sentenza appena ricordata.

A tali quesiti questo Collegio auspica che le Sezioni Unite diano (risposta stabilendo che la clausola claim’s made, nella parte in cui esclude il diritto dell’assicurato all’indennizzo quando la richiesta di risarcimento gli pervenga dal terzo dopo la scadenza del contratto, sia dichiarata immeritevole di tutela sempre e comunque, per le ragioni che seguono.

8.4. La “meritevolezza” di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa. Secondo la Relazione al Codice civile, la meritevolezza è un giudizio (non un requisito del contratto, come erroneamente sostenuto da parte della dottrina), e deve investire non il contratto in sè, ma il risultato con esso perseguito.

Tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, p. 603, 2^ capoverso). Principio che, se pur anteriore alla promulgazione della Carta costituzionale, è stato da questa ripreso e consacrato nell’art. 2 Cost., secondo periodo; art. 4 Cost., comma 2, e art. 41 Cost., comma 2.

Affinchè dunque un patto atipico possa dirsi “immeritevole”, ai sensi dell’art. 1322 c.c., non è necessario che contrasti con norme positive: in tale ipotesi sarebbe infatti di per sè nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c.. L’immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati. Il giudizio di immeritevolezza, in definitiva, non costituisce che una parafrasi moderna del secolare ammonimento di Paolo nei Libri 62^ ad edictum, ovvero non omne quod licet, honestum est (Dig., 50, 17^, 144).

8.5. Questa Corte, pur evitando definizioni generali della nozione di “immeritevolezza”, in passato ha più volte implicitamente affermato i principi appena esposti.

E’ stata ritenuta “immeritevole” la clausola, inserita in una concessione di derivazione di acque pubbliche, che imponeva al concessionario il pagamento del canone anche nel caso di mancata fruizione della derivazione per fatto imputabile alla p.a. concedente, per contrarietà al principio di cui all’art. 41 Cost., comma 2. (Sez. U, Sentenza n. 4222 del 17/02/2017).

Immeritevole è stato ritenuto il contratto finanziario che addossava alla banca vantaggi certi e garantiti, ed al risparmiatore non garantiva alcuna certa prospettiva di lucro (è la nota vicenda del contratto “(OMISSIS)”, che prevedeva l’acquisto di prodotti finanziari, emessi da una banca, mediante un mutuo erogato dalla stessa banca, e poi costituiti in pegno a garanzia del mancato rimborso del finanziamento: ex aliis, in tal senso, Sez. 1, Sentenza n. 22950 del 10/11/2015; per una vicenda analoga ed una analoga statuizione, relativa al contratto finanziario denominato “(OMISSIS)”, si veda altresì Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19559 del 30/09/2015).

Immeritevole, altresì, è stato ritenuto il contratto atipico stipulato tra farmacisti, in virtù del quale gli aderenti si obbligavano a non aprire al pubblico il proprio esercizio commerciale nel giorno di sabato, in quanto contrastante con la “effettiva realizzazione di un assetto concorrenziale del mercato” (Sez. 3, Sentenza n. 3080 del 08/02/2013).

Immeritevole, ancora, è stata ritenuta la clausola, inserita in un mutuo di scopo per l’acquisto d’un bene mobile, che obbligava il mutuante al pagamento delle rate persino nel caso di mancata consegna del bene da parte del venditore (Sez. 3, Sentenza n. 12454 del 19/07/2012).

Immeritevole, poi, è stata ritenuta la clausola contrattuale che vietava al conduttore di ospitare stabilmente persone non appartenenti al suo nucleo familiare, in quanto contrastante coi doveri di solidarietà (Sez. 3, Sentenza n. 14343 del 19/06/2009).

Immeritevole, altresì, è stato ritenuto il contratto fiduciario in virtù del quale ad una banca, presso cui il cliente aveva depositato somme di denaro su un libretto di risparmio ed aperto un conto corrente, di compensare l’attivo del primo con il passivo del secondo (Sez. 1, Sentenza n. 1898 del 19/02/2000).

Immeritevole, ancora, è stato ritenuto il patto parasociale in virtù del quale i soci firmatari si obbligavano, in occasione delle deliberazioni assembleari di nomina degli amministratori e dei sindaci, a votare in conformità alle indicazioni formulate da uno di essi (Sez. 1, Sentenza n. 9975 del 20/09/1995).

Nè può tacersi, infine, un richiamo alla importante decisione pronunciata dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di esercizio officioso, da parte del giudice, del potere di ridurre la clausola penale manifestamente eccessiva (Sez. U, Sentenza n. 18128 del 13/09/2005). Nella motivazione di tale sentenza, infatti, in piena sintonia col p. 603 della Relazione al Codice civile sopra ricordato, si è ribadito che l’autonomia negoziale delle parti non è sconfinata, ma è circoscritta entro il limite della meritevolezza, travalicato il quale l’ordinamento cessa di apprestarle tutela.

8.6. Riducendo a “sistema” le motivazioni dei precedenti appena ricordati, se ne ricava che sono stati ritenuti immeritevoli, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2, contratti o patti contrattuali che, pur formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o per effetto di:

(a) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra (sentenze 22950/15, cit.; 19559/15, cit.);

(b) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra (sentenze 4222/17; 3080/13; 12454/09; 1898/00; 9975/95, citt.);

(c) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti (sentenza 14343/09, cit.).

E’ alla luce di questi criteri che va valutata, pertanto, la meritevolezza della clausola claim’s made, come già ritenuto da questa Sezione (Sez. 3, Sentenza n. 10506 del 28.4.2017; Sez. 3, Sentenza n. 10509 del 28.4.2017).

8.7. Ebbene, alla stregua dei suddetti criteri la clausola claim’s made inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile non appare destinata a perseguire interessi meritevoli di tutela, sotto nessuno dei tre aspetti indicati al p. che precede.

8.7.1. In primo luogo, la clausola claim’s made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto attribuisce all’assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita.

La clausola claim’s con esclusione delle richieste postume riduce infatti il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall’assicurato nella prossimità della scadenza del contratto. E’ infatti praticamente impossibile che la vittima d’un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento illico et immediate al responsabile, come nel celebre aneddoto di Lucio Verazio, narrato da Aulo Gellio (Gellio, Notti Attiche, 20^, 1, 13).

Ciò determina uno iato tra il tempo per il quale è stipulata l’assicurazione (e verosimilmente pagato il premio), e il tempo nel quale può avverarsi il rischio. E’ vero che tale iato ricorre anche in alcuni tipi assicurativi (ad es., nei trasporti marittimi, nei quali la copertura inizia al momento della caricazione anche se il contratto è stato stipulato prima di tale momento), ma è altresì vero che in quei contratti prima dell’inizio della copertura, o dopo la sua fine, non è possibile l’avveramento del rischio (la merce non può essere perduta dal vettore marittimo prima della caricazione o dopo la scaricazione), mentre nell’assicurazione della responsabilità civile è ovviamente possibile che l’assicurato causi danni a terzi anche negli ultimi mesi, o giorni, od ore precedenti la scadenza del contratto.

8.7.2. In secondo luogo, la clausola claim’s made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto pone l’assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra.

La clausola claim’s made, infatti, fa dipendere la prestazione dell’assicuratore della responsabilità civile non solo da un evento futuro ed incerto ascrivibile a colpa dell’assicurato, ma altresì da un ulteriore evento futuro ed incerto dipendente dalla volontà del terzo danneggiato: la richiesta di risarcimento.

L’avveramento di tale condizione, tuttavia, esula del tutto dalla sfera di dominio, dalla volontà e dall’organizzazione dell’assicurato, che non ha su essa ha alcun potere di controllo. Ciò determina conseguenze paradossali, che l’ordinamento non può, ai sensi dell’art. 1322, c.c., avallare.

La prima è che la clausola in esame fa sorgere nell’assicurato l’interesse a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in aperto contrasto col principio secolare (desumibile dall’art. 1904 c.c.) secondo cui il rischio assicurato deve essere un evento futuro, incerto e non voluto.

La seconda conseguenza paradossale è che la clausola claim’s made con esclusione delle richieste postume pone l’assicurato nella seguente aporia: sapendo di avere causato un danno, se tace e aspetta che sia il danneggiato a chiedergli il risarcimento, perde la copertura; se sollecita il danneggiato a chiedergli il risarcimento, viola l’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1915 c.c..

8.7.3. In terzo luogo, la clausola claim’s made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto può costringere l’assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.

La clausola in esame infatti, elevando la richiesta del terzo a “condizione” per il pagamento dell’indennizzo, legittima l’assicuratore a sottrarsi alle proprie obbligazioni ove quella richiesta sia mancata: con la conseguenza che se l’assicurato adempia spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo glielo richieda (come correttezza e buona fede gli imporrebbero), l’assicuratore potrebbe rifiutare l’indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all’assicurato, sicchè è mancata la condicio iuris cui il contratto subordina la prestazione dell’assicuratore (si veda, al riguardo, la fattispecie concreta già decisa da Sez. 3, Sentenza n. 5791 del 13/03/2014).

Esito, si diceva, paradossale e come tale non ammissibile, posto che quanto più l’assicurato è zelante e rispettoso dei propri doveri di solidarietà sociale, tanto meno sarà garantito dall’assicuratore.

8.7.4. In quarto luogo, la clausola claim’s made consente all’assicuratore – in contrasto con elementari regole di correttezza e buona fede – di modulare le condizioni generali di contratto, di fatto imposte all’assicurato, in base ad eventi che notoriamente sono avvenuti, ma per i quali il terzo danneggiato non abbia ancora, per avventura, fatto pervenire alcuna richiesta all’assicurato. Ne è un esempio proprio la vicenda oggi all’esame di questa Corte, nella quale l’assicuratore ha curiosamente deciso di innalzare la franchigia da 4.000 a 100.000 Euro dopo l’avveramento del sinistro (che in un contesto economico sociale di una piccola città come Treviso non potè non avere avuto una certa eco: venne distrutto un magazzino, crollò una gru, si ferirono due persone), ma prima che il terzo danneggiato rivolgesse le proprie richieste all’assicurato.

9. La questione della validità e/o della meritevolezza della clausola claim’s made ha avuto vasta eco in dottrina, la quale sul punto si è divisa.

Una parte ha sostenuto l’invalidità o l’immeritevolezza della clausola, con argomenti in buona parte coincidenti con quelli esposti nei p.p. che precedono.

Altra parte ha invece difeso la validità della clausola in questione, con argomenti che paiono a questo Collegio insostenibili.

Questi argomenti sono così riassumibili:

(a) la clausola claim’s made non sarebbe atipica, e quindi sfuggirebbe al vaglio di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c.;

(b) la clausola claim’s made è consentita dal principio di libertà negoziale, di cui all’art. 1322 c.c.;

(c) la clausola claim’s made è diffusa in tutti i Paesi del mondo, e vietarla nuocerebbe all’economia nazionale;

(d) la clausola claim’s made consente all’impresa di assicurazione risparmi sugli indennizzi, sull’accantonamento delle riserve sinistri e sui costi gestione; se mancasse, i costi dell’assicurazione di responsabilità civile diverrebbero “proibitivi”.

9.1. Il primo argomento è manifestamente infondato. Si sono già esposte le ragioni per le quali, per la nostra legge, “sinistro” può essere solo un fatto dannoso e non voluto, e nell’assicurazione della r.c. tali requisiti li possiede il “fatto” rappresentato dal sorgere della responsabilità dell’assicurato, non il “fatto” rappresentato dall’inoltro d’una richiesta risarcitoria.

9.2. Il secondo argomento è stato già confutato ai p. 7.1, 8 e ss. che precedono.

L’autonomia negoziale, nel campo assicurativo, incontra due limiti: non può sostituire un rischio reale con un rischio artificiale, pena la trasformazione dell’assicurazione in scommessa; e non può pattuire clausole che assoggettino senza corrispettivo una parte all’altra.

9.3. Il terzo ed il quarto argomento hanno ben poco di giuridico, e sono perciò irrilevanti in questa sede.

Varrà la pena comunque soggiungere che affermare che la clausola claim’s made sia diffusa “in tutto il mondo” è, puramente e semplicemente, falso.

Essa, al contrario, è stata contrastata dalle Corti Supreme di tutto il mondo, e là dove è ammessa lo è stata solo grazie all’intervento del legislatore: ad esempio in Belgio (L. 25 giugno 1992, art. 78), in Spagna (L. 30 novembre 1995), in Francia (L. 1 agosto 2003, n. 2003-706).

Che l’assenza di patti claim’s made comporti “costi insopportabili” per l’assicuratore è, del pari, affermazione che merita una piccola chiosa.

9.4. La clausola claim’s made venne escogitata da broker assicurativi statunitensi alla metà degli anni Ottanta, al fine di attenuare gli effetti di un orientamento giurisprudenziale delle Corti di quel Paese, le quali ritennero che, nel caso di danni causati dalla diffusione di un farmaco rivelatosi dannoso, fossero obbligati a tenere indenne la ditta produttrice tutti gli assicuratori succedutisi dall’epoca di diffusione del farmaco, sino alla manifestazione dei suoi effetti: decisione che comportò ovviamente la responsabilità di tutti gli assicuratori che ebbero la sventura di assicurare la ditta produttrice dal 1942 al 1985, epoca della decisione (lo stabilì la Corte Suprema dell’Indiana con sentenza 12.9.1985, nel caso Eli Lilly contro The Home Insurance Company).

Sicchè è agevole concludere che la clausola claim’s made sorse per limitare i rischi, per l’assicuratore, derivanti dall’affermazione di principi giuridici inconcepibili nel nostro ordinamento.

E’ ovvio che poi, esportata quella clausola, essa consentì risparmi di spesa: ma poichè nel nostro ordinamento non sono possibili condanne come quella del caso Eli Lilly, non sembra lecito sostenere che la clausola claim’s made evita “costi insostenibili”. Essa non è affatto quel baluardo contro il rischio di tracolli finanziari che certa dottrina vorrebbe far credere, ma è più banalmente una clausola conveniente per l’assicuratore: e va da sè che la validità dei contratti non si giudica in base alla loro convenienza per l’una o per l’altra parte.

10. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, questo Collegio chiede alle Sezioni Unite di stabilire se siano corretti i seguenti principi:

(a) nell’assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di “sinistri” fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c. ovvero, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917 c.c., comma 1;

(b) nell’assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca che la spettanza, la misura ed i limiti dell’indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l’assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all’assicurato di essere risarcito.

PQM

la Corte rimette il ricorso al Primo Presidente, affinchè valuti l’opportunità di assegnarlo alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 8 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018

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