Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14645 del 13/06/2017


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Cassazione civile, sez. un., 13/06/2017, (ud. 06/12/2016, dep.13/06/2017),  n. 14645

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente di Sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26548/2014 R.G. proposto da:

D.F.C., rappresentata e difesa dall’avv. Maria Pina

Benedetti, con domicilio eletto in Roma, via G. Avezzana, n. 2/B,

presso lo studio dell’avv. Raffaella Antrilli;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CASOLI, IN PERSONA DEL SINDACO P.T. rappresentato e difeso

dall’avv. Marcello Russo, con domicilio eletto in Roma, via Nizza,

n. 63, presso lo studio dell’avv. Marco Croce;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DEL DEMANIO, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via del Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, n.

143, depositata in data 4 luglio 2014;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 6 dicembre 2016

dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;

sentito per la ricorrente l’avv. Benedetti;

sentito per il controricorrente Comune di Casoli l’avv. E. Russo,

munito di delega;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, il quale ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato in data 12 agosto 2011 il Comune di Casoli ingiungeva alla sig.ra D.F.C., quale proprietaria di un capannone ricevuto in donazione dal marito sig. S.D., di demolire detto fabbricato in quanto insistente su area demaniale costituita dall’alveo del fiume Aventino; successivamente veniva emesso l’ordine di demolizione d’ufficio. Dichiarato il proprio difetto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo, davanti al quale entrambi i provvedimenti venivano distintamente impugnati, i giudizi venivano riassunti davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (d’ora in poi, per brevità, T.S.A.P.), che, previa riunione dei procedimenti, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile il ricorso relativo alla diffida a demolire, ed in parte inammissibile ed in parte infondato l’altro.

2. Affermata la competenza del Comune, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 35, ad emettere l’ordine di demolizione, per quanto in questa sede maggiormente rileva, è stato affermato che:

– la natura demaniale dell’area su cui parte del fabbricato insisteva era desumibile già dall’esame degli atti di cessione del bene, compreso quello di trasferimento, a seguito di aggiudicazione, in favore del S. nell’ambito del procedimento fallimentare a carico della ditta che lo aveva realizzato;

– trattandosi di illecito di natura permanente, la ricorrente non poneva non considerarsi responsabile dell’abuso; inoltre il provvedimento adottato non era soggetto a valutazioni di natura discrezionale circa la sussistenza dell’attualità dell’interesse al raggiungimento del risultato;

– la tesi della ricorrente secondo cui si sarebbe verificato l’effetto dell’alluvione impropria previsto dall’art. 942 c.c., nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte con la L. n. 37 del 1994, non poteva essere condivisa, sia perchè il fiume (OMISSIS) non aveva cambiato alveo, nè si era spostato da una riva all’altra, ma aveva solo ridotto temporaneamente la sua portata, sia perchè le circostanze invocate avrebbero dovuto essere accertate prima dell’entrata in vigore della suddetta novella, implicando per altro tale accertamento la cognizione dell’A.G.O.;

– la deduzione concernente la cessazione della pertinenzialità, intesa quale funzione di salvaguardia del rischio idraulico, aveva carattere di novità, ed era quindi inammissibile.

3. Per la cassazione di tale decisione la sig.ra D.F. propone ricorso, affidato a diciotto motivi, illustrati da memoria, cui resistono con controricorso l’Agenzia del demanio e il Comune di Casoli, che ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della decisione, relativamente alla declaratoria di improcedibilità del ricorso concernente la dedotta illegittimità dell’invito a demolire, in quanto emessa in violazione degli artt. 2 e 4 del c.p.a.: si afferma che, trattandosi di questione mai sollevata dalle parti, le stesse avrebbero dovuto essere poste in condizione di interloquire al riguardo.

2. Con il secondo mezzo si deduce la nullità della decisione impugnata in relazione alla statuizione sopra indicata, per difetto assoluto di motivazione, non avendo il TSAP esplicitato il percorso logico argomentativo in merito alla sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del procedimento n. 224 del 2014.

3. Con la terza censura, deducendosi violazione dell’art. 35 c.p.c. e art. 100 c.p.c., si prospetta la nullità della sentenza, sempre con riferimento alla declaratoria di improcedibilità del primo ricorso: si assume che, poichè l’ordine di demolizione emesso successivamente costituiva un atto dovuto e “consequenziale” rispetto alla precedente diffida, l’interesse alla pronuncia relativa all’impugnazione della stessa non sarebbe venuto meno a seguito dell’emanazione del provvedimento avente ad oggetto la demolizione d’ufficio.

4. Con il quarto motivo, denunciandosi violazione del D.Lgs. n. 112 del 1998, artt. 86 e 89, del principio di specialità, dell’art. 118 Cost. e dell’art. 35 del TUE sostiene che erroneamente il T.S.A.P.. avrebbe affermato la competenza del Comune e non della Regione ad emettere gli atti impugnati, posto che la repressione degli abusi concernenti il demanio idrico è attribuita, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1998, alle Regioni.

5. Con il quinto mezzo si deduce la nullità della decisione impugnata, per difetto assoluto di motivazione, in relazione all’accertamento dell’insistenza sul fabbricato del quale è stata ordinata la demolizione su area demaniale.

6. Con la censura successiva il vizio motivazionale viene dedotto in relazione alla riferibilità dell’ordine di demolizione alla sig.ra D.F. quale proprietaria dell’immobile, senza alcuna adeguata argomentazione in merito a detta qualità.

7. Con il settimo motivo si denuncia violazione del D.P.R. n. 380 del 1981, art. 35, per aver esteso al proprietario la nozione di responsabile dell’abuso.

8. Con il mezzo successivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per non aver il TSAP esaminato la questione di invalidità dell’ordinanza di demolizione, consistente nell’indicazione della ricorrente quale titolare del permesso di costruire, in contrasto con la precedente ordinanza in cui tale titolarità era stata attribuita alla ditta D..

9. Con la nona censura si denuncia difetto assoluto di motivazione in merito al mero richiamo alla pericolosità della costruzione rapportata alle piene straordinarie del fiume (OMISSIS), a fronte della dedotta risalenza nel tempo della costruzione, tale da imporre la ricorrenza dell’interesse pubblico all’adozione di sanzioni ripristinatorie.

10. Con il decimo motivo si deduce violazione dell’art. 111 Cost., art. 3 c.p.a. e art. 132 c.p.c., sostenendosi che con motivazione meramente apparente il T.S.A.P. avrebbe esaminato la questione della perdita della natura demaniale dell’area a seguito dello spostamento di una riva del fiume (OMISSIS) in epoca anteriore alla modifica dell’art. 942 c.c., introdotta dalla L. n. 37 del 1994, art. 1.

11. Con il motivo successivo si contesta l’affermazione del T.S.A.P. secondo cui la D.F. non avrebbe potuto invocare l’applicazione dell’art. 942 c.c., nella originaria formulazione, trattandosi di questione riservata all’Ago, in quanto sulla competenza del T.S.A.P. si era formato il giudicato.

12. La dodicesima censura riprende il tema della perdita del carattere demaniale dell’area ai sensi dell’art. 942 c.c.: si sostiene che la questione avrebbe potuto essere esaminata in via incidentale dal T.S.A.P..

13. Con il mezzo successivo si deduce che sarebbe stato violato l’art. 11 preleggi, comma 3, laddove, ai fini dell’applicazione dell’art. 942 c.c., nel testo anteriore alla riforma del 1994, si è fatto riferimento al momento dell’accertamento, e non già a quello in cui si sarebbe verificato il fenomeno del ritiro di una riva del fiume (OMISSIS).

14. Con il quattordicesimo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla declaratoria di inammissibilità, in quanto nuova, della questione relativa alla cessazione del vincolo di pertinenzialità dell’area.

15. La successiva censura è incentrata sull’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, quale il ritiro del fiume a partire dall’anno 1974.

16. Con il sedicesimo mezzo si deduce difetto assoluto di motivazione in merito alle modalità dell’esecuzione della demolizione.

17. Il motivo successivo attiene alla responsabilità della D.F. in merito alle spese della demolizione: il T.S.A.P. non avrebbe reso alcune motivazione in merito al contrasto di tale disposizione con la precedente diffida, in cui venivano indicati come responsabili solidali anche il Servizio genio Civile e l’Agenzia del Demanio.

18. L’ultimo mezzo attiene ancora all’interpretazione dell’art. 35 TUE, sostenendosi che sulla la ricorrente, in quanto non responsabile dell’abuso, non dovrebbero gravare le spese di demolizione.

19. I primi tre motivi, che riguardano, sotto diversi profili, la pronuncia di inammissibilità in relazione all’impugnazione proposta avverso la diffida a demolire, vanno esaminati congiuntamente, in quanto intimamente correlati.

19.1. Deve preliminarmente rilevarsi che non coglie nel segno la deduzione inerente alla violazione del principio contenuto nell’art. 101 c.p.c., comma 2, che non si applica alle questioni di rito relative a requisiti di ammissibilità della domanda previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo (Cass., 21 luglio 2016, n. 15019).

19.2. La dedotta violazione del vizio di omessa motivazione in relazione alla pronuncia emessa in rito dal T.S.A.P. è inammissibile. Giova in proposito rilevare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, non è predicabile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine ad “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte di Cassazione, essendo giudice del fatto, inteso in senso processuale, accerta la sussistenza o meno della violazione denunciata prescindendo dalla motivazione resa dal giudice del merito (Cass., 30 luglio 2015, n. 16164).

19.3. La statuizione impugnata è conforme all’orientamento, condiviso dal Collegio, secondo cui, sebbene la diffida non rinnovabile a demolire, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 35, in quanto dotato di autonoma capacità lesiva (T.A.R. Piemonte, 7 luglio 2009, n. 2005; T.A.R. Abruzzo Pescara, 14 gennaio 2010, n. 23), sia immediatamente impugnabile, nella specie il provvedimento risulta superato dalla successiva ordinanza di demolizione, avente natura di provvedimento di conferma in senso proprio, dotato pertanto di autonoma capacità lesiva (T.A.R. Campania, 10 ottobre 2014, n. 5261). Ne consegue che l’impugnazione del provvedimento successivo, dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del destinatario, nonchè di maggiore ampiezza rispetto alla mera diffida (in quanto contenente anche un giudizio sintetico – valutativo, di natura discrezionale, in essa assente, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria), e, quindi, non meramente confermativo, si rivela idonea a rendere priva di ogni utilità, per sopravvenuta carenza di interesse, la pronuncia sul ricorso proposto avverso il precedente provvedimento (Cons. Stato, 9 luglio 2014, n. 3491; id., 25 giugno 2013, n. 3457).

20. Del pari infondata è la quarta censura, con la quale si deduce l’incompetenza del Comune di Casoli in ordine all’emissione degli atti impugnati, in contrasto con l’esplicita previsione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 35, comma 2, nonchè con l’orientamento giurisprudenziale ad essa inerente (T.A.R. Campania, Napoli, 24 maggio 2016, n. 2638; Cass., Sez. U, 18 aprile 2003, n. 6347).

21. Il sesto e il settimo motivo, con i quali la ricorrente contesta la riferibilità nei propri confronti dell’abuso posto alla base del provvedimento impugnato, e, pertanto, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati. Le doglianze in esame, fondate sull’attribuzione ad altri della realizzazione del manufatto, si pongono infatti in contrasto con la natura permanente dell’illecita occupazione del suolo ritenuto demaniale, opportunamente richiamata nella decisione impugnata, di talchè la stessa D.F., attualmente proprietaria del bene, in virtù di tale principio, correttamente è stata considerata – secondo la terminologia adoperata del citato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 35 – “responsabile dell’abuso” (Cons. Stato, 31 marzo 2014, n. 1517).

22. L’ottava censura presenta un ineludibile profilo di inammissibilità, in quanto non coglie – in relazione agli aspetti denunciati nei due precedenti motivi – l’essenza della relativa statuizione, che non si fonda, come sembra sostenersi nel ricorso – sulla circostanza, denunciata come erronea, della titolarità del permesso di costruire in capo alla sig.ra D.F., anzichè alla ditta D., bensì sul rilievo, sopra esaminato, inerente alla natura permanente dell’illecito. Il T.S.A.P., così implicitamente condividendo la doglianza concernente la titolarità in capo a terzi del permesso di costruire, ha infatti affermato: “E’ vero che la ricorrente non è colei che commise la costruzione in difformità alla licenza edilizia n. 5096/1987, ma ciò non elide gli obblighi di ripristino della legalità, cui la sanzione del D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 35, è preordinata”.

23. Il quinto motivo, i successivi, dal nono al tredicesimo, nonchè il quattordicesimo, che vanno esaminati congiuntamente in quanto attinenti alla fondamentale questione della demanialità o meno del terreno sul quale venne realizzato il bene oggetto del provvedimento di demolizione, debbono essere accolti, in quanto fondati.

24. Vale bene prendere le mosse dalle critiche alle affermazioni del T.S.A.P. secondo cui la ricorrente non avrebbe interesse a contestare la natura demaniale dell’area parzialmente occupata dal proprio manufatto, perchè non menzionata nè nella perizia di stima redatta nell’ambito del procedimento di vendita fallimentare degli immobili poi acquistati dal proprio dante causa, nè nel decreto di trasferimento in favore di quest’ultimo. Non dubitandosi del potere del T.S.A.P. in sede di legittimità, in unico grado, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143, di pronunciare, anche in via incidentale, in merito a questioni pregiudiziali che riguardano una controversia rientrante nella propria cognizione, in quanto l’art. 197 del citato R.D. gli attribuisce anche la giurisdizione sulle questioni pregiudiziali attinenti alla demanialità delle acque, siano esse da decidere in via meramente incidentale ovvero con efficacia di giudicato (Cass., Sez. U, 8 ottobre 2009, n. 151; Cass., Sez. U, 12 novembre 2003, n. 17015; Cass., 6 dicembre 2012, n. 17438, in motivazione), deve constatarsi che l’accertamento della natura demaniale del terreno su cui insiste la costruzione in relazione alla quale è stato emesso l’ordine di demolizione impugnato costituisce l’aspetto fondamentale della presente controversia, che di certo non può determinarsi soltanto sulla base di quanto più o meno implicitamente risultante dagli atti della procedura del fallimento della ditta che aveva realizzato il capannone, evidentemente riferibili alle risultanze catastali e alle trascrizioni formate in epoca precedente alla realizzazione del fenomeno alluvionale dedotto dalla ricorrente.

25. In relazione alla verifica della ricorrenza o meno dell’evento naturale testè indicato, e, quindi, delle relative conseguenze di natura giuridica, deve poi rimarcarsi l’erronea prospettiva in cui si colloca la decisione impugnata, laddove afferma la necessità, ai fini dell’accertamento della perdita della natura demaniale del terreno abbandonato dal fiume (OMISSIS), di tener conto del dato normativo vigente al momento dell’accertamento stesso, non potendosi “invocare adesso, innanzi a questo Giudice, l’applicazione diretta del vecchio testo del medesimo art. 942 c.c., in quanto ciò implica sia la cognizione dell’AGO, sia l’assenza di ogni automatico trasferimento”.

25.1. Quanto alla questione di natura giurisdizionale, deve rilevarsi che, oltre al già evidenziato potere di cognizione in via incidentale in capo al T.S.A.P. anche in relazione a diritti che, pur non costituendo l’oggetto di specifiche domande, risultavano posti a fondamento di eccezioni riguardanti l’illegittimità del provvedimento impugnato, il T.S.A.P. stesso non avrebbe dovuto dubitare della propria competenza giurisdizionale, non avendo rimesso alle sezioni unite di questa Corte di cassazione la relativa questione, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, comma 3, dopo che la causa era stata riassunta davanti a sè a seguito della sentenza del T.A.R. di Pescara n. 309 del 20 giugno 2012, che aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, in favore dello stesso T.S.A.P.. Per il vero l’affermazione secondo cui “l’applicazione diretta del vecchio testo dell’art. 942 c.c., implica sia la cognizione dell’AGO, sia l’assenza di ogni automatico trasferimento” sembra costituire un mero obiter dictum, reso nell’ambito della seconda ratio decidendi, del tutto autonoma, fondata sull’affermazione dell’inapplicabilità della suddetta norma nel caso in cui l’evento invocato non fosse stato accertato “prima dell’entrata in vigore della novella del 1994”.

25.2. In ordine a tali aspetti di natura sostanziale, mette conto di evidenziare che, secondo l’originaria formulazione dell’art. 942 c.c., “il terreno abbandonato dall’acqua corrente, che insensibilmente si ritira da una delle rive portandosi sull’altra, appartiene al proprietario della riva scoperta, senza che il confinante della riva opposta possa reclamare il terreno perduto”. Con la L. 5 gennaio 1994, n. 37, art. 1, la norma suddetta è stata modificata nel senso che i terreni abbandonati dalle acque correnti “appartengono al demanio pubblico”.

In relazione ai profili di diritto intertemporale inerenti a tale successione di norme, questa Corte ha costantemente ribadito, contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata, che le disposizioni della L. 5 gennaio 1994, n. 37, artt. 3 e 4, sostitutive degli artt. 946 e 947 c.c. – le quali escludono la sdemanializzazione dei terreni comunque abbandonati per fenomeni di inalveamento, a seguito sia di eventi naturali che di fatti artificiali indotti dall’attività antropica – sono prive di efficacia retroattiva (Cass., 6 febbraio 2007, n. 2608; Cass., Sez. U, 26 luglio 2002, n. 11101; Cass., 14 gennaio 1997, n. 300).

Deve quindi constatarsi che in parte qua la decisione impugnata non si è conformata al suddetto principio di diritto, che viene in questa sede ribadito e che dovrà essere applicato in sede di rinvio.

26. Il T.S.A.P. ha poi escluso che nella specie ricorresse un’ipotesi riconducibile nella previsione di perdita della demanialità, perchè l’acqua fluente del fiume (OMISSIS) non avrebbe cambiato alveo, nè si sarebbe spostata da una riva all’altra, ma avrebbe ridotto temporaneamente la propria portata, ragion per cui non sarebbe venuta meno la pericolosità idraulica.

Per valutare la fondatezza delle censure sollevate al riguardo dalla ricorrente, occorre considerare che la stessa sentenza impugnata muove – senza contestarne la veridicità – dalla circostanza dedotta dalla D.F. secondo cui il ridimensionamento del fiume sulla sponda destra sarebbe avvenuto da lungo tempo e che dal nuovo argine e il confine della proprietà della ricorrente intercorrerebbero circa novanta metri.

Deve preliminarmente constatarsi che lo stesso T.S.A.P., nell’esaminare il quarto motivo di ricorso (pag. 8) ha fatto riferimento alla “permanente pericolosità idraulica dell’opera abusiva rispetto alle piene straordinarie del fiume (OMISSIS)”, in contrasto con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “gli alvei dei fiumi e dei torrenti, costituiti da quei tratti di terreno sui quali l’acqua scorre fino al limite delle piene normali, rientrano nell’ambito del demanio idrico, per cui le sponde o rive interne – ossia quelle zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie – sono comprese nel concetto di alveo e costituiscono quindi beni demaniali, a differenza delle sponde e rive esterne, le quali, essendo soggette alle sole piene straordinarie, appartengono, invece, ai proprietari dei fondi rivieraschi, e sulle quali può perciò insistere un manufatto occupato da persone” (Cass., 29 marzo 1976, n. 1127; Cass., Sez. U, 18 dicembre 1998, n. 12701).

27. Posto che il tema centrale della controversia, sostanzialmente eluso nella decisione impugnata, riguardava la perdita o meno della demanialità dell’area interessata dal manufatto, in quanto abbandonata dalle acque correnti nella vigenza dell’art. 942 c.c., nel testo anteriore alla suddetta L. n. 37 del 1994 (questione di non difficile soluzione, posto che lo stesso T.S.A.P. dà atto che la prima concessione edilizia rilasciata dal Comune di Casoli per la realizzazione del capannone risale all’anno 1979), deve affermarsi che da una lettura coordinata della norma contenuta nell’art. 942 c.c., nel quadro dei principi regolatori delle vicende dei beni demaniali, emerge che l’alveo abbandonato fisiologicamente perdeva, comunque, il suo connotato “naturale” di demanialità. Essa, infatti, in quel contesto normativo veniva estesa al terreno interessato dallo scorrimento delle acque pubbliche in considerazione dalla funzione, che esso assumeva, di supporto e contenimento del corso ordinario del fiume, per cui veniva automaticamente meno in conseguenza di fenomeni non transitori incidenti in senso terminativo su quella funzione (Cass., 9 ottobre 1991, n. 10607).

Non è chi non veda come l’abbandono della sponda di un fiume, che non abbia carattere transitorio, e che non venga determinata da attività antropica, comporti la perdita della demanialità, in base alla suddetta previsione normativa, anche quando a detto abbandono non corrisponda una perdita di terreno da parte del confinante della riva opposta, che, ai fini della rilevata perdita di funzione di supporto e di contenimento, non assume alcun rilievo. Sotto tale profilo vale bene richiamare una sia pure non recente decisione di questa Corte (Cass., 17 luglio 1969, n. 2640), in cui si afferma che il terreno rimasto abbandonato dall’acqua corrente viene, a seguito della cessazione della materiale destinazione all’uso pubblico, implicitamente sdemanializzato ed accede al fondo privato in conseguenza dell’estinzione della proprietà della p.a. ed in virtù della forza assorbente della proprietà, “senza alcuna correlazione tra il fenomeno giuridico della sdemanializzazione della riva abbandonata e quella della sussunzione nel Demanio fluviale di quella ricoperta dalle acque, intercorrendo tali fenomeni fra i singoli proprietari da un lato e la p.a. dall’altro”.

Deve quindi affermarsi che dall’esame delle ipotesi dell’alluvione impropria e dell’abbandono dell’alveo, figure specifiche di un unico fenomeno generico (accessione da immobile ad immobile) emerge un aspetto comune, costituito dal fatto che, a seguito della deviazione o dello spostamento del corso dell’acqua, una porzione di terreno, che prima costituiva parte integrante dell’alveo, cessa di appartenervi (Cass., 8 agosto 1957, n. 3358), di tal che anche l’ipotesi del ritiro di una sola sponda, non temporaneo e non dovuto a fenomeni naturali, comporta la perdita della demanialità del relativo terreno, ai sensi dell’art. 942 c.c., nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte con la L. n. 37 del 1994.

28. Rimanendo assorbite le ulteriori censure, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al T.S.A.P. affinchè accerti la legittimità del provvedimento impugnato, con particolare riferimento alla sussistenza o meno del presupposto della demanialità del terreno su cui insiste la porzione di manufatto per cui è causa, applicando i principi sopra indicati e provvedendo, altresì, in merito al regolamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

PQM

 

Rigetta i motivi dal primo al quarto, nonchè il sesto e il settimo; dichiara inammissibile l’ottavo, accoglie i motivi dal nono al tredicesimo, nonchè il quinto e il quindicesimo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, al T.S.A.P., in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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