Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14644 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. I, 26/05/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 26/05/2021), n.14644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3740/2019 proposto da:

C.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Damiano Fiorato,

giusta mandato in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2886/2018 del Tribunale di GENOVA, pubblicato

il 17 dicembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con decreto del 17 dicembre 2018, il Tribunale di Genova ha rigettato il ricorso proposto da C.L., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il richiedente aveva dichiarato di avere lasciato il proprio paese nel 2010, arrivando in Italia nel 2015, dopo essersi rifugiato in Senegal per 4 anni, per timore di essere ucciso dai fratellastri, avendo involontariamente causato la morte di uno di essi e per il timore di essere arrestato a seguito della denuncia di tale evento.

3. Il Tribunale ha ritenuto che i fatti esposti, anche ove corrispondenti al vero, non integravano una persecuzione personale dovuti a motivi di discriminazione, poichè il ricorrente stesso aveva prospettato il timore di essere ucciso per vendetta da uno dei fratellastri; che in ogni caso il racconto non era credibile perchè molto generico e perchè non riscontrato documentalmente con specifico riferimento al ricovero in ospedale del fratello e al successivo decesso di quest’ultimo, nonchè alla denuncia penale presentata nei suoi confronti; che non sussistevano nemmeno i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, poichè il (OMISSIS) era stato oggetto di un importante cambiamento politico con il nuovo presidente, A. B., e che il nuovo stato di diritto consentiva di invocare la tutela dello Stato rispetto alle minacce di morte dei fratelli; che non sussistevano le condizioni di vulnerabilità in quanto le dichiarazioni del richiedente circa la fuga e i timori in caso di rimpatrio, oltre ad essere poco credibili, non avevano trovato riscontro nelle COI facilmente consultabili sullo stato di diritto rappresentato dal (OMISSIS) e, comunque, non vi era stata alcuna integrazione in Italia, considerato il giudizio penale ancora pendente e il fatto che lo stesso richiedente aveva dichiarato di vivere a Milano senza una fissa dimora.

4. C.L. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa sull’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere il Tribunale applicato correttamente la normativa in materia di protezione umanitaria in relazione alla sua situazione personale.

2.1 Le censure si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053/2014; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., 25 settembre 2018, n. 22598).

La parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 4 agosto 2017, n. 19547).

2.2 Ed invero, con specifico riferimento alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b) e c) il giudice di merito basandosi su fonti di informazione internazionale, aggiornate al 2017, ha affermato che il (OMISSIS) era stato oggetto di un importante cambiamento politico con il nuovo presidente, A. B., e che il nuovo stato di diritto consentiva di invocare la tutela dello Stato rispetto alle minacce di morte dei fratelli per i fatti eventualmente da lui commessi comunque a 15 anni e che non sussistevano nemmeno i presupposti di cui all’art. 14, lett. C richiamato poichè il paese non era interessato da un conflitto armato.

Si tratta di un apprezzamento, di merito, che fa sì che nel presente giudizio di cassazione non si possa far questione dell’esistenza di un “danno grave” o di “minaccia, grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

2.3 Anche in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria, il motivo si rileva inammissibile, in quanto il ricorrente censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale, in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità, il giufice ha affermato che non sussistevano le condizioni di vulnerabilità perchè le dichiarazioni del richiedente circa la fuga e i timori in caso di rimpatrio, oltre ad essere poco credibili, non avevano trovato riscontro nelle COI facilmente consultabili sullo stato di diritto rappresentato dal (OMISSIS) e, comunque, non vi era stata alcuna integrazione in Italia, considerato il giudizio penale ancora pendente e il fatto che lo stesso richiedente aveva dichiarato di vivere a Milano senza una fissa dimora.

2.4 Questa Corte ha, più volte, affermato che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ed infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Così facendo, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459). 3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il Tribunale omesso una compiuta ricerca sulla regione di provenienza dopo il cambio di regime, specificamente sulla situazione di corruzione della polizia e sull’impossibilità di un giusto processo, e per non avere esaminato la sussistenza di un avviato percorso di integrazione nel Paese di accoglienza e la vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro nel paese di origine.

3.1 Anche il terzo motivo è inammissibile.

3.2 Ed invero, premesso che il Tribunale ha esaminato, come già detto, in modo specifico la situazione del (OMISSIS) e ha, altresì, escluso che vi fosse stata un’effettiva integrazione del ricorrente in Italia, considerato il giudizio penale ancora pendente e il fatto che lo stesso richiedente aveva dichiarato di vivere a Milano senza una fissa dimora, tutte ragioni del decidere, non espressamente censurate dal ricorrente, le doglianze, in verità, riguardano, sostanzialmente, il complessivo ed intero governo del materiale istruttorio, totalmente obliterando che la valutazione delle risultanze istruttorie rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità.

In definitiva la censura sopra descritta è volta, ancora una volta, a sollecitare una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito sulla base delle risultanze istruttorie acquisite al processo che è inammissibile in questa sede.

Anche di recente questa Corte ha affermato il principio che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476).

4. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna C.L. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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