Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14644 del 14/07/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14644 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA
sul ricorso 593-2012 proposto da:
CAVALLO

FERNANDO

CVLFDN57B27L049D,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo
studio dell’avvocato SEBASTIANO MASTROBUONO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE
MAGGIO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2015
contro

710
SCEU

TOMMASO

SCETMS57S22D761N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, V.MUGGIA 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO LIBERATORE, che lo rappresenta e

Data pubblicazione: 14/07/2015

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE IAIA giusta
procura a margine del controricorso;
– contrari corrente –

avverso la sentenza n. 171/2011 della CORTE D’APPELLO
DI LECCE SEZ.DIST. DI TARANTO, depositata il 07/05/2011

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/03/2015 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato SIMONA RENDINA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

R.G.N. 267/2008;

R.g.n. 593-12 (ud. 18.3.2015)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Con sentenza del 7 maggio 2011 la Corte d’Appello di Lecce,
Sezione Distaccata di Taranto, provvedendo sull’appello principale di
Fernando Cavallo in proprio e nella qualità di presidente del “Centro Sportino
Le Monacelle” di Taranto e su quello incidentale di Tommaso Treu, li

accoglieva entrambi e, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale
di Taranto del 4 luglio del 2007 (che aveva accolto la domanda per l’importo
di € 30.936,24), rideterminava in E 11.685,86 (oltre accessori) in favore dello
Sceu il danno da risarcirsi da parte dei ricorrenti al medesimo in relazione alla
domanda da lui proposta nel luglio del 1994 per ottenere il risarcimento dei
danni sofferti in occasione di un sinistro avvenuto il 10 ottobre del 1993,
allorquando, nel corso di una delle prime lezioni di equitazione presso gli
impianti del detto Centro, sotto la guida e le direttive del gestore ed istruttore
Cavallo, era stato bruscamente disarcionato e colpito al volto dagli zoccoli del
cavallo montato, riportando contusioni escoriate multiple al capo ed al viso e,
particolarmente, una profonda ferita lacero-contusa alla guancia sinistra, che
avevano reso necessario un intervento chirurgico di sutura della lacerazione.
§2. Al ricorso, che prospetta tre motivi, ha resistito con controricorso lo
Sceu.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Con l’unico motivo si deduce “omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 n. 5)
nonché violazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.)”.
In realtà, la lettura dell’illustrazione del motivo evidenzia che si
articolano, poi, tre distinte censure.

3
Est. Co s. Raffaele Frasca

R.g.n. 593-12 (ud. 183.2015)

§1.1. Con la prima si deduce “erronea individuazione della norma
regolatrice della controversia”, assumendosi che la Corte territoriale avrebbe
collocato la vicenda sotto la norma dell’art. 2050 c.c. senza un accertamento
specifico, cioè senza tenere presente il principio di diritto secondo cui (viene
citata Cass. n. 11861 del 1998) l’attività di equitazione non è di per sé

circa il se il suo svolgimento in concreto abbia assunto caratteristiche tale da
renderla oggettivamente pericolosa.
§1.1.1. Il motivo è inammissibile, perché la Corte territoriale ha, in
realtà, ampiamente motivato che nell’occasione in cui lo Sceu subì
l’infortunio l’attività di equitazione in cui era impegnato era riconducibile alla
norma dell’art. 2050 c.c. giacché la lezione era una di quelle iniziali: è
sufficiente rinviare all’uopo alla motivazione di cui alla pagina 6 della
sentenza, che viene del tutto ignorata dai ricorrenti. Ne segue che la
prospettazione del ricorso non si correla all’effettiva motivazione della
sentenza impugnata e tanto integra inammissibilità del motivo (si veda, in
termini, fra tante, Cass. n. 359 del 2005).
Il motivo, in ogni caso, è ulteriormente inammissibile anche perché è
articolato in violazione della norma dell’art. 366 n. 6 c.p.c., giacché vi si
evocano genericamente una testimonianza e deduzioni che sarebbero state
fatte nell’atto di appello, ma lo si fa senza fornire l’indicazione specifica di
quanto si deduce, cioè: a) senza riprodurre il contenuto dell’articolato della
prova testimoniale e delle relative dichiarazioni, rese dal fratello dell’attore, e
senza alternativamente riprodurle indirettamente facendo riferimento al
relativo verbale, di cui neppure si indica l’udienza; b) senza indicare se e dove
esso sarebbe esaminabile in questo giudizio di legittimità e senza nemmeno
fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio (come ammette Cass.
sez. un. n. 22726 del 2011 per esentare parte ricorrente dall’onere di cui al n.
4 del secondo comma dell’art. 369 c.p.c., sottolineando, però, l’esigenza
Est. Cons Raffaele Frasca

considerabile come attività pericolosa, occorrendo, invece, un accertamento

R.g.n. 593-12 (ud. 18.3.2015)

dell’indicazione);

c) senza riprodurre né direttamente né indirettamente,

indicando la parte dell’atto in cui l’indiretta riproduzione troverebbe
corrispondenza, le deduzione dell’atto di appello che si assumono non
considerate dalla Corte territoriale.
§1.2. Con la seconda censura si deduce “omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio”.

Anche tale censura, lamentando l’acritica valutazione della detta
testimonianza da parte della sentenza impugnata, è inammissibile ex art. 366
n. 6 c.p.c., dato che non si rispetta l’onere di indicazione specifica da detta
norma prevista (sui cui contenuti si rinvia a Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e
Cass. sez. un. n. 28547 del 2008 ed alla successiva giurisprudenza, fra cui
Cass. n. 7455 del 2013, che ha sottolineato come l’art. 366 n. 6 c.p.c.
costituisca il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza
dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione).
L’inammissibilità discende anche dall’assoluta mancanza di
specificazione di quale sia la parte della motivazione cui la censura si riferisce
e di quale fosse il tenore dell’atto di appello cui la Corte territoriale avrebe
dovuto dare risposta a riguardo della detta testimonianza.
§1.3. Con la terza censura si prospetta “omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione anche in ordine al quantum debeatur”.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 6 perché si fonda sulla
c.t.u. di cui non fornisce l’indicazione specifica, astenendosi dal precisare se e
dove essa sarebbe esaminabile in questa sede ove prodotta e astenendosi
alternativamente dal fare riferimento alla presenza nel fascicolo d’ufficio
della Corte territoriale, in quanto vi fosse stato inserito quello d’ufficio del
primo giudice. Inoltre, non si riproducono né direttamente né indirettamente i
passi della c.t.u. che si dicono criticati nell’atto di appello e riguardo ai quali è
denunciato il vizio di motivazione.

5
Est. Cons. 1affae1e Frasca

R.g.n. 593-12 (ud. 18.3.2015)

Si aggiunga che il motivo è ulteriormente inammissibile perché vi si
ignorano le ampie considerazioni con cui la Corte territoriale ha
ridimensionato la quantificazione del danno.
§2. L’inammissibilità di tutti i motivi comporta quella del ricorso.
§3. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si

P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti alla
rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano
in euro duemilacinquecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali
ed accessori come per legge.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 18

li

Il Presidente il
■,—, fb 44 1 14

liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014.

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