Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14643 del 11/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14643 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 6298-2011 proposto da:
PANAPESCA S.P.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore 00161570478, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 36, presso lo studio
dell’avvocato CORRADO SELVANETTI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GENTILI PAOLO, giusta delega in
2013

atti;
– ricorrente –

1128

contro

COCCHETTI
N

SILVIA

CCCSLV55B56D612N,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PRISCIANO 43, presso lo

Data pubblicazione: 11/06/2013

studio

dell’avvocato

TUFANI

GIUSEPPE,

che

lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO
CATTANI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 155/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/03/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
AMOROSO;
udito l’Avvocato TOTINO CARLO per delega GENTILI
PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’inammissibilità, in subordine rigetto.

di FIRENZE, depositata il 04/03/2010 r.g.n. 106/09;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza 15.07.08 il Tribunale di Pistoia, accogliendo la domanda di
Cocchetti Silvia proposta nei confronti della datrice di lavoro società Panapesca
s.p.a., dichiarava illegittimo il licenziamento a lei intimato in data 24.03.2004 per
superamento del periodo di comporto, ed emetteva a suo favore i provvedimenti di
cui all’art. 18 legge n. 300/1970 condannando la datrice di lavoro a pagarle €
15.000,00 a titolo di risarcimento del danno alla persona, oltre spese di causa e di

2. La società Panapesca appellava tale sentenza davanti alla Corte d’appello
di Firenze chiedendone la totale riforma, con rigetto del ricorso introduttivo di primo
grado e condanna della Cocchetti alla restituzione di tutte le somme versate a suo
favore in esecuzione della sentenza impugnata, oltre interessi legali; in subordine, in
parziale riforma della sentenza impugnata, chiedeva di ridurre la quantificazione
delle somme dovute alla ricorrente in conseguenza dell’attività lavorativa da essa
prestata successivamente al 24.03.2004 (in ragione dell’aliunde pereeptum); infine,
riconosciuta altresì la natura professionale della patologia lamentata dalla lavoratrice,
chiedeva limitarsi l’eventuale condanna al risarcimento del danno al solo danno
sprovvisto di copertura assicurativa Inail, ovvero al danno c.d. differenziale e/o
complementare, con vittoria di spese per entrambi gradi.
La Cocchetti si costituiva resistendo all’appello e chiedendone il rigetto; con
appello incidentale, in parziale riforma della sentenza appellata, chiedeva che il
risarcimento di tutti danni (da demansionamento, alla salute, alla vita di relazione,
all’esistenza e/o immagine professionale, al diritto alla serenità sul luogo di lavoro,
danno morale ex art. 2059 c.c., danno biologico) le fosse quantificato in misura
maggiore rispetto a quella riconosciuta, in via equitativa, dal Giudice di primo grado
(€ 15.000,00); chiedeva che tale determinazione fosse effettuata con apposita CTU
(come già richiesto in primo grado), oltre al risarcimento delle spese (sia mediche
che non) sostenute in ragione dei fatti per cui era causa.
La Corte d’appello di Firenze con sentenza del 9 febbraio 2010, in parziale
riforma della sentenza appellata, ha rigettato l’appello principale in punto di
illegittimità del licenziamento; ha invece accolto l’appello principale quanto alla
domanda risarcitoria rigettando l’appello incidentale sul punto; ha compensato per
un terzo le spese del grado e posto gli altri due terzi a carico dell’appellante
Panapesca spa.
3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con tre motivi.
6298 11 r.g.n.

3

ud. 27 marzo 2013

CTU.

Resiste con controricorso la parte intimata che ha eccepito la tardività del
ricorso.
La ricorrente ha anche depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il ricorso, articolato in tre motivi, la società ricorrente contesta la
ritenuta sussistenza del demansionamento e del mobbing lamentato dalla ricorrente
sostenendo che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che la patologia

(familiari e comunque extralavorative).
Lamenta altresì il mancato accoglimento dell’eccezione di aliunde pereeptum
2. Il ricorso — i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente — è
infondato.
3. Innanzi tutto va rigettata l’eccezione della resistente di inammissibilità del
ricorso per tardività della sua notifica.
Al fine della tempestività dell’impugnazione deve infatti considerarsi la data
della consegna della copia del ricorso all’ufficiale giudiziario (nella specie, 4 marzo
2011) e non già – come erroneamente ritiene la resistente – quella del
perfezionamento della notifica.
Questa Corte (ex plurimis Cass., sez. lav., 13 gennaio 2010, n. 359) ha più
volte affermato che la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, dal lato
dell’istante, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, posto che,
come affermato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 69 del 1994 e n. 477 del
2002, il notificante deve rispondere soltanto del compimento delle formalità che non
esulano dalla sua sfera di controllo, secondo il «principio della scissione soggettiva
del momento perfezionativo del procedimento notificatorio».
Quindi nella specie va ritenuto che la notifica del ricorso sia stata tempestiva
con riferimento alla data della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, desumibile
dal timbro e dalla firma di quest’ultimo sull’atto.
4. Nel merito le censure della ricorrente non hanno fondamento.
La ricorrente, dipendente della Società ricorrente a far tempo dal 2.01.2002
con mansioni di impiegata di secondo livello, è stata licenziata per superamento del
periodo di comporto. La lavoratrice ha sostenuto però che la malattia per la quale
aveva superato il periodo di comporto (frequenti stati depressivi, ansie e crisi di
panico) era stata causata da demansionamento illegittimo e da altri comportamenti
datoriali integranti la condotta di mobbing.
6298 11 r.g.n.

4

ud. 27 marzo 2013

accertata avesse origine nell’attività lavorativa, laddove la stessa aveva altre cause

Tale impostazione è stata accolta dal Giudice di primo grado, che ha anche
riconosciuto alla ricorrente il risarcimento del danno alla persona, e la Corte
d’appello ha confermato tale pronuncia nella parte in cui ha ravvisato la
responsabilità della Società datrice nella lesione della salute della dipendente che ne
aveva determinato il superamento del periodo di comporto per malattia e la
conseguente illegittimità del licenziamento.
Tale convincimento è sorretto da adeguata motivazione, immune da vizi di

La Corte d’appello ha fatto riferimento al teste Notari, che in particolare ha
riferito in ordine all’atteggiamento tenuto dal coordinatore per le vendite nei
confronti della Cocchetti, per la quale vi fu un vero e proprio svuotamento di
mansioni al fine “di rendere la vita impossibile alla dipendente e di costringerla a
dimettersi”. In tale contesto oppositivo per la lavoratrice i giudici, sia di primo grado
che d’appello, hanno ritenuto, con tipica valutazione di merito ad essi devoluta, che le
assenze per malattia della lavoratrice fossero dovute all’illegittimo e discriminatorio
comportamento datoriale e che quindi non fossero da computare ai fini del periodo
di comporto.
Va in proposito ribadito (cfr. Cass., sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785) che
per “mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del
superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del
lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati
comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di
persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e
l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e
del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva
del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di
carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano
stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il
dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità
del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore
gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova
dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.
A tale principio si è correttamente attenuta la Corte territoriale.
5. Generica è poi è la deduzione circa il mancato accoglimento dell’eccezione
di aliunde perceptum.
6298 11 r.g.n.

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ud. 27 marzo 2013

contraddittorietà o illogicità.

Va in proposito ribadito (cfr. Cass., sez. lav., 17 novembre 2010, n. 23226)
che in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che contesti la richiesta
risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l’ausilio di presunzioni
semplici, della prova dell’aliunde pereeptum o dell’aliunde pereipiendurn, a nulla
rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del
dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia
l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito

6. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in
dispositivo con distrazione in favore degli avvocati Giuseppe Tufani e Paolo Cattanei
dichiaratisi antistatari.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna ricorrente al pagamento delle spese di
questo giudizio di cassazione liquidate in euro 50,00 (cinquanta) per esborsi oltre
euro 4.000,00 (quattromila) per compensi d’avvocato, oltre accessori di legge, che
distrae in favore degli avvocati Giuseppe Tufani e Paolo Cattanei dichiaratisi
antistatari.
Così deciso in Roma il 27 marzo 2013
Il Consigliere

Il Presidente

del licenziamento, riduttiva del danno patito.

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