Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14642 del 18/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 18/07/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 18/07/2016), n.14642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3283/2015 proposto da:

B.S., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE,rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA PANSERA e

STEFANIA SCAGLIONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA BOLOGNA POLICLINICO (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO ROMEI, rappresentata e difesa dall’avvocato

CARLO ZOLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 835/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 31/07/2014, R.G. N. 187/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato SIMONETTA MARCHETTI per delega STEFANIA SCAGLIONE e

MARIA PANSERA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 835 del 2014, depositata il 31 luglio 2014, rigettava l’impugnazione proposta da B.S., collaboratore professionale infermiere del Policlinico (OMISSIS), e nei confronti dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna Policlinico (OMISSIS), avverso la sentenza n. 1061 del 2012, resa tra le parti dal Tribunale di Bologna, che aveva rigettato la domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogato al suddetto lavoratore il 10 gennaio 2011, a seguito di contestazione di addebito in data 8 novembre 2010.

2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il B. prospettando due motivi di ricorso.

3. Resiste l’Azienda ospedaliera con controricorso

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte d’Appello, nel confermare la legittimità del licenziamento, premetteva in fatto che:

il sig. B. si era recato nei giorni dal 15 al 19 settembre presso il reparto ove era ricoverata la sig.ra R. appositamente per far visita a quest’ultima, allontanandosi dal proprio reparto e abbandonando il proprio posto di lavoro;

l’assistenza della sig.ra R. non rientrava tra i compiti istituzionali del B. che era addetto ad altro reparto;

i colleghi del B., esaminati come testimoni ( M., Ra., G. e L.), avevano tutti concordemente riferito di avere visto, attraverso il monitor, il B. recarsi al letto della paziente, chinarsi sulla stessa, darle un bacio, accarezzarla e poi infilare una mano sotto le lenzuola da cui la ragazza era coperta;

la teste L. aveva riferito, inoltre, di essere stata chiamata dalla R. che le chiese di non far entrare nessuno nella stanza e, in particolare, l’infermiere col camice verde come quello indossato dal B.;

la R., esaminata come testimone, aveva riferito di essere stata aiutata da Stefano che le comprava i giornali, la accompagnava in bagno e a volte le accarezzava le mani per darle forza, senza fare cenno alcuno a molestie subite ad opera dello stesso.

Tanto premesso, la Corte d’Appello rilevava che l’univocità delle dichiarazioni rese dal testimoni colleghi del B., il fatto che tali dichiarazioni descrivessero ciò che gli infermieri avevano direttamente visto attraverso il monitor collegato alla stanza della R., la non equivocità dei gesti posti in essere dal B. rispetto alla paziente come descritti dai testimoni, l’anomalia, non adeguatamente spiegata dall’appellante, del suo rapporto particolare con quella paziente ricoverata in un reparto diverso da quello ove egli prestava servizio, la comprensibile ritrosia della R. nel riferire eventi, circostanze spiacevoli, costituivano indizi gravi, precisi e concordanti idonei a far ritenere raggiunta la prova della condotta addebitata.

2. Con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Premette il ricorrente che gli era stato contestato di avere avuto un comportamento scorretto con una paziente R. F.A. in ben due occasioni il 15 settembre 2010 e il 19 settembre 2010.

Il ricorrente si duole che la Corte d’Appello pur richiamando fra gli elementi di giudizio la dichiarazione scritta resa dalla sig.ra R. “dichiaro che l’infermiere B.S. non mi ha mai infastidito durante la mia degenza anzi si è sempre comportato in maniera seria e professionale”, ha completamente omesso di prenderla in considerazione ai fini della decisione, come invece avrebbe dovuto fare, omettendo in tal modo l’esame di un fatto decisivo ai fini della pronuncia.

La suddetta dichiarazione era stata confermata all’udienza del 6 marzo 2012 tenutasi presso il Tribunale. Nella medesima udienza la R., chiamata a confronto con la teste L., dichiarava “ricordo di aver chiamato la L. e di averle chiesto di non fare entrare il B. senza di lei perchè non avevo capito le sue intenzioni ed in seguito ho verificato che mi voleva solo aiutare”.

La Corte d’Appello, senza considerare in modo oggettivo i fatti emersi in sede processuale, rilevava, invece “la comprensibile ritrosia della paziente a riferire eventi e circostanze spiacevoli”, così effettuando una valutazione non consentitagli.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione ed errata applicazione delle norme di diritto: artt. 2727, 2728 e 2729 c.c.; art. 116 c.p.c..

Il ricorrente censura la sentenza di appello per aver posto a fondamento della sussistenza della prova della condotta ad esso ascritta indizi gravi precisi e concordanti, facendo erronea applicazione dell’istituto delle presunzioni, senza tener conto di quanto dichiarato dalla paziente.

4. Anche il secondo motivo di ricorso, pur rubricato violazione di legge, si sostanzia nella censura della valutazione effettuata dalla Corte d’Appello degli esiti probatori.

4.1. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono inammissibili, in quanto le censure per come formulate, in relazione alla statuizione assunta dalla Corte d’Appello sopra riportata, esulano dalla previsione normativa dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come novellato, e si palesano generiche.

4.2. Il testo vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, a mente della quale è motivo di ricorso per cassazione un “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, trova applicazione nella fattispecie in esame, secondo quanto previsto dall’art. 54, comma 3, della stessa legge, perchè la sentenza gravata è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012.

Come affermato da questa Corte a Sezioni Unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., S.U., n. 8053 del 2014).

4.3. Va, inoltre considerato, come questa Corte abbia già avuto modo di affermare che sono riservate al giudice del merito la interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. Ne consegue che è insindacabile in sede di legittimità il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.

In particolare, in tema di prova per presunzioni, il giudice, chiamato a esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti, deve esplicitare il criterio logico posto a base della selezione degli indizi e le ragioni del suo convincimento, tenendo conto che il relativo procedimento è necessariamente articolato in due momenti valutativi: il primo, dl tipo analitico, volto a selezionare gli elementi che presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria, il secondo, di tipo sintetico, tendente ad una valutazione complessiva di tutte le emergenze precedentemente isolate, per accertare se esse siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva; è, pertanto, sindacabile in sede di legittimità la motivazione di tale percorso logico-giuridico quando siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un’oggettiva portata indiziante (Cass., n. 23201 del 2015).

4.4. Nella specie, la Corte d’Appello ha preso in esame, con congrua motivazione, le complessive risultanze istruttorie, comprese quelle richiamate nel motivo di ricorso, ponendo a fondamento della propria decisone una pluralità di elementi in ragione della loro concordanza, secondo un corretto iter-logico giuridico, che dà attuazione ai suddetti principi di diritto.

4.5. E’ evidente, quindi, che il ricorrente, attraverso i vizi denunciati, censura la motivazione della Corte d’Appello al di fuori dei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro cento per esborsi, Euro tremilacinquecento per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2016

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