Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14642 del 14/07/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14642 Anno 2015
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SESTINI DANILO

Od. 12/03/2015

SENTENZA
PU

sul ricorso 27566-2013 proposto da:
ROSSI

SABINA

RSSSBN69T56H501R,

elettivamente

domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso
lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIACOBBE, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
670

SALVATORE ARMENTO giusta procura speciale in calce
al ricorso;
– ricorrentecontro

Data pubblicazione: 14/07/2015

FONDAZIONE MONTE TABOR in liquidazione e in
concordato preventivo (già FONDAZIONE CENTRO SAN
RAFFAELE DEL MONTE TABOR), in persona dei
liquidatori Prof. FRANCESCO PERRINI, Prof. EMANUELE
RIMINI e Dott. CLAUDIO MACCHI, elettivamente

presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che
la rappresenta e difende giusta procura speciale in
calce al controricorso;
PAPPONE CARLO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio
dell’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato TULLIA TORRESI
giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti nonché contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA, FONDIARIA SAI SPA, NUOVA
TIRRENA SPA, CASA DI CURA MONTEVERGINE SPA, STABILE
GIUSEPPE, DE SIMONE ANTONIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 3229/2013 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 19108/2013,
R.G.N. 3294/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 12/03/2015 dal Consigliere
Dott. DANILO

SESTINI;

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35,

udito l’Avvocato GIOVANNI GIACOBBE;
udito l’Avvocato ANGELA DONATACCIO per delega;
udito l’Avvocato GREGORIO IANNOTTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso pe

riferimento ai motivi n. 6 e 7.

e

o

raccoglimento del ricorso p.q.r. con particolare

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Sabina Rossi agì nei confronti del prof. Carlo
Pappone, responsabile del laboratorio di
elettrofisiologia presso l’Ospedale San Raffaele
di Milano, nonché contro la Fondazione Centro San

Montevergine s.p.a. e i medici Giuseppe Stabile e
Antonio De Simone, per essere risarcita dei danni
conseguenti ad un intervento cui si era sottoposta
in data 11.2.1996, presso l’anzidetta Casa di Cura
(nel corso del quale il Pappone era stato
coadiuvato dallo Stabile e dal De Simone), al
quale aveva fatto seguito un esame
elettrofisiologico effettuato dal medesimo
Pappone, nel successivo mese di aprile, presso
l’Ospedale San Raffaele.
L’attrice dedusse che il Pappone avrebbe dovuto
procedere ad ablazione (tramite erogazione di
energia a radio frequenza) di una minuscola
formazione muscolare che costituiva una via di
conduzione elettrica secondaria ed anomala
rispetto al nodo atrioventricolare e che alterava
la regolarità della pulsazione cardiaca; aggiunse
che l’intervento non aveva avuto esito positivo e
che -per di più- era stato danneggiato
irrimediabilmente
atrioventricolare

proprio
deputato

il
alla

nodo
fisiologica

conduzione elettrica al muscolo cardiaco, ma che ciononostante- nel corso del successivo controllo
effettuato nell’aprile ’96, il Pappone l’aveva
3?Nlk

Raffaele del Monte Tabor, la Casa di Cura Privata

rassicurata sul fatto che non esistevano più
problemi.
Nel giudizio si costituirono tutti i convenuti
e vennero chiamate in causa -dalla Casa di Cura
Montevergine, ai fini dell’eventuale manleva- la

Assicurazioni s.p.a. e la Nuova Tirrena s.p.a..
Il Tribunale di Milano accertò la
responsabilità del Pappone e della Casa di Cura
Montevergine (condannandoli, in solido, al
pagamento di poco più di 138.000,00 euro, oltre
accessori e spese), dichiarò le compagnie
assicuratrici tenute a manlevare la Casa di Cura e
rigettò la domanda nei confronti degli altri
convenuti.
Disposta nuova C.T.U. medico-legale,

la Corte

di Appello di Milano ha riformato la

sentenza,

escludendo ogni responsabilità contrattuale del
Pappone e della Casa di Cura e condannando la
Rossi a restituire alle compagnie assicuratrici
quanto da esse versato in esecuzione della
sentenza di primo grado.
Ricorre per cassazione la Rossi, affidandosi a
sette motivi; resistono, a mezzo di distinti
controricorsi, il Pappone e la Fondazione Monte
Tabor in liquidazione e in concordato preventivo,
mentre gli altri intimati non svolgono attività
difensiva. Sia la Rossi che il Pappone hanno
depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4

Milano Assicurazioni s.p.a, la Fondiaria

l.

Col primo motivo (“violazione e falsa

applicazione di legge: artt. 275, 352, 112, 101
cpc in relazione all’art. 360 comma 1 n.ri 3 e 4
cpc; omessa motivazione circa un fatto controverso
decisivo”), la Rossi deduce la nullità della

dell’udienza di discussione orale, benché la
ricorrente ne avesse fatto richiesta in sede di
precisazione delle conclusioni, ribadendola nella
memoria di replica mediante rinvio alle predette
conclusioni.
1.1. La censura è infondata giacché l’omessa
fissazione, nel giudizio d’appello, dell’udienza di
discussione orale non comporta necessariamente la
nullità della sentenza per violazione del diritto di
difesa; atteso, infatti, che l’art. 360, n. 4, cod.
proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di
attività del giudice che comportino la nullità della
sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse
all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria,
ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio
subito dal diritto di difesa della parte in
dipendenza del denunciato “error in procedendo”, per
configurare una lesione del diritto di difesa non
basta affermare genericamente che la mancata
discussione ha impedito al ricorrente di esporre
meglio la propria linea difensiva, ma è necessario
indicare quali siano gli specifici aspetti che la
discussione avrebbe consentito di evidenziare o di
approfondire, colmando lacune e integrando gli
5

sentenza perché emessa senza fissazione

argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti
atti difensivi (cfr. Cass. n. 18618/2003).
2. Col secondo motivo (che deduce errores in
procedendo in relazione agli artt. 342 e 112
C.P.C. e omessa motivazione), la ricorrente si

considerazione l’eccezione di inammissibilità
dell’appello per carenza di specificità dei
relativi motivi.
2.1. Anche questo motivo è infondato in quanto
l’atto di appello del Pappone (che si esamina a
fronte della deduzione di un error in procedendo)
contiene, oltre a specifiche censure in rito,
doglianze di merito che, sebbene circoscritte al
tema dell’esclusione del nesso di causa fra
l’intervento di ablazione e il blocco nel nodo
atrioventricolare, risultano sufficientemente
specifiche e contengono, oltre a quella
‘volitiva’, una parte ‘argomentativa’ volta a
confutare le ragioni poste a fondamento della
sentenza impugnata.
Appaiono così rispettati i criteri individuati
dalla giurisprudenza di legittimità che, senza
richiedere un particolare rigore di forme (cfr.
Cass. n. 6978/2013), ritiene soddisfatto il
requisito della specificità quando, secondo una
verifica da effettuarsi in concreto, l’atto di
impugnazione consenta di individuare le ragioni
del gravame e le statuizioni impugnate, sì da
consentire al giudice di comprendere con certezza
6

duole che la Corte non abbia preso in

il contenuto delle censure e alle controparti di
svolgere senza alcun pregiudizio la propria
attività difensiva (ex multis, Cass. n. 22502/2014
e Cass. n. 22781/2014).
3.

Il terzo motivo (che deduce error in

omessa motivazione) censura la sentenza per non
avere tenuto conto di un’ulteriore ragione di
inammissibilità dell’appello, dovuta al fatto che,
con esso, era stato introdotto un tema di indagine
totalmente nuovo; la Rossi evidenzia che,
“abbandonata la tesi di una preesistente patologia
della paziente, in ordine alla quale si era svolto
il contraddittorio nel corso del giudizio di primo
grado, il prof. Pappone aveva introdotto nel
processo fatti del tutto nuovi ed eventuali,
proponendo l’ipotesi che la patologia dedotta
dall’attrice si sarebbe verificata a distanza di
quattro anni dal primo intervento — e sarebbe
stata riconducibile a ragioni diverse dal primo
intervento, ovvero ad eventuali malattie virali,
miocardite o varicella, e non più ad una
preesistente patologia”.
3.1. Premesso che anche in questo caso la
deduzione di un error in procedendo consente
l’esame diretto degli atti processuali
interessati, deve rilevarsi che, nella comparsa di
risposta depositata in primo grado, il Pappone
aveva affermato che, nel corso dell’intervento di
ablazione, aveva accertato che il normale sistema
7

procedendo per violazione dell’art. 345 C.P.C. e

di conduzione (quello del nodo AV) non era integro
e, considerato il rischio che l’ablazione totale
della via secondaria dirottasse la conduzione
lungo il sistema di conduzione non integro,
desistette dall’ablazione; aveva aggiunto che

della successiva visita effettuata il 16.4.96,
aveva dato atto che “la conduzione lungo il nodo
A.V. era fortemente depressa” e che “la capacità
conduttiva del nodo A.V. era inferiore rispetto a
quella della via accessoria”; aveva affermato altresì- che “il blocco del nodo atri-ventricolare
non è, necessariamente ed esclusivamente,
riconducibile … ad un’errata esecuzione della
procedura ablativa della via secondaria, compiuta
dal prof. Pappone, ma è, più verosimilmente,
ricollegabile ad una preesistente, non
diagnosticabile malattia”.
Con l’atto di appello, il Pappone aveva
sottolineato che “durante la procedura si
documentò solamente un ritardo della conduzione AV
e non un blocco AV totale” e che dunque “non
esiste nessun nesso di causa-effetto tra la
procedura iniziale (effettuata quattro anni prima)
e l’insorgenza del blocco AV completo (osservato
solo quattro anni dopo la procedura)”, tanto più
che non si poteva escludere che il blocco AV
totale fosse stato provocato da una banale
infezione virale.
8

nella relazione esplicativa rilasciata all’esito

La censura è infondata: per quanto faccia
indubbiamente registrare uno spostamento di
‘accento’ delle difese (dall’ipotesi di patologie
preesistenti interessanti il nodo
atrioventricolare a quella di fattori patologici

strategia difensiva è rimasta complessivamente
immutata, nel senso della esclusione di un nesso
causale fra l’intervento di parziale ablazione e
la patologia che rese necessario il successivo
impianto del pace maker.
4.

Col quarto motivo (che deduce “violazione

e falsa applicazione di legge: art. 210 comma l
cpc, anche in riferimento all’art. 116, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 cpc;
omessa e/o insufficiente motivazione su fatto
controverso in relazione all’art. 360 coma l n.
5”), la Rossi evidenzia che la sentenza impugnata
ha omesso di considerare che il giudice di prime
cure aveva ordinato un’esibizione documentale (di
“tracciati poligrafici afferenti alle pratiche
sanitarie di cui l’attrice fu oggetto presso la
Casa di Cura Montevergine e presso l’Ospedale San
Raffaele”), cui i convenuti non avevano
ottemperato, e si duole che, nel rigettare le
censure da essa mosse con l’appello incidentale,
la Corte abbia sostenuto che la Rossi non aveva
rinnovato la richiesta istruttoria e che, per
altro verso, la richiesta non poteva essere
accolta “stante l’evidente funzione di supplenza
9

successivi capaci di determinare il blocco), la

che l’evasione di un ordine di tal fatta avrebbe
avuto in relazione all’onere della prova
incombente sulla Rossi medesima”.
4.1. La

censura,

benché

prospettata

in

relazione a tre distinti vizi ex art. 360 C.P.C.,

tratte le dovute conseguenze -ex art. 116 C.P.C.dalla mancata osservanza dell’ordine di esibizione
emesso dal giudice di primo grado, introducendo
pertanto una doglianza di tipo motivazionale.
Sennonché, dovendosi applicare il nuovo testo
dell’art. 360 n. 5 C.P.C. (in quanto la sentenza è
stata pubblicata nell’agosto 2013), difettano le
condizioni (come individuate da Cass., S.U. n.
8053/2014) per scrutinare la censura, dato che la
Corte si è comunque pronunciata sulla questione e
la “riduzione al minimo costituzionale del
sindacato di legittimità sulla motivazione” (come
da S.U. citata) non consente la valutazione della
sufficienza della motivazione adottata dal giudice
di appello.
Il motivo è dunque inammissibile.
5. Egualmente inammissibile è il quinto motivo
(“violazione e falsa applicazione di legge: art.
112 cpc in relazione all’art. 360 n. 4 cpc; omessa
motivazione su fatto controverso in relazione
all’art. 360 comma l n. 5 cpc”), che censura la
sentenza per non avere esaminato l’istanza con cui
la Rossi aveva richiesto l’ammissione (“solo in
quanto occorrer possa”) di una prova per testi.
10

lamenta -nella sostanza- che non siano state

Dall’esame

dell’articolato

istruttorio

trascritto in ricorso, non emerge infatti la
decisività dei capitoli di prova, dal momento che
essi ripropongono circostanze già ampiamente
risultanti aliunde, senza introdurre elementi di

6.

Il sesto motivo deduce “violazione e falsa

applicazione di legge: artt. 2909 cc, 324, 329 e
ss cpc, con riferimento all’art. 360 comma
3 e

4

i n.ri

cpc; insufficiente e/o contraddittoria

motivazione su fatto controverso: art. 360 comma l
n 5 cpc”: ribadendo quanto dedotto in sede di
gravame, la Rossi evidenzia che la sentenza del
Tribunale di Milano presentava “due distinti capi
della decisione, determinativi della
responsabilità del prof. Pappone, autonomi l’uno
dall’altro” e che, “non avendo il prof. Pappone
impugnato il capo di decisione configurante il
titolo di responsabilità conseguente alla mancata
informativa”, detto capo “deve ritenersi coperto
da giudicato”.
6.1. Al riguardo, la Corte di merito ha
affermato che, “una volta ritenuto insussistente
qualsiasi profilo di colpa professionale, l’omessa
informazione sui rischi connessi all’attività
medica, e segnatamente sui rischi connessi
all’intervento chirurgico, intanto assurge a fonte
autonoma di responsabilità in quanto sia stata
accompagnata dalla specifica allegazione da parte
del danneggiato del suo probabile rifiuto
11

sostanziale novità.

all’intervento ove lo stesso fosse stato informato
delle sue conseguenze pregiudizievoli, fattispecie
questa del tutto esclusa nel caso di specie,
stante l’acclarata volontà della Rossi di
sottoporsi ad ulteriore intervento ablativo ove

precedentemente subito”.
6.2. Le censure sono fondate.
La sentenza di primo grado -che deve essere
esaminata, sul punto, essendo lamentato un error
in procedendo attinente al giudicato- rileva
espressamente (a pag. 10) che la responsabilità
del Pappone va affermata “sia in ragione della
carente prestazione professionale, sia per la
violazione dell’obbligo contrattuale di fornire
una piena informativa sui rischi
dell’intervento”.
A fronte di un’affermazione di responsabilità
riferita a due diversi titoli, il Pappone si è
limitato ad impugnare la statuizione di
responsabilità fondata sulla “carente prestazione
professionale”, con la conseguenza che si è
formato il giudicato quanto alla responsabilità da
inadempimento dell’obbligo informativo e di
acquisizione del consenso informato.
Né può ritenersi, come sembra fare il giudice
di appello, che l’impugnazione in ordine alla
affermata carenza della prestazione professionale
finisca con il ridondare sulla violazione
dell’obbligo informativo, in quanto una siffatta
12

fosse risultata l’inefficacia di quello

affermazione urta contro la pacifica distinzione,
nell’ambito della prestazione medica, del profilo
relativo all’informazione (e all’acquisizione del
consenso) da quello concernente l’esecuzione
dell’intervento.

Corte Costituzionale n. 438/2008- il consenso del
paziente svolge (ex artt. 2, 13 e 32 Cost.) una
funzione di sintesi tra due diritti fondamentali
della persona, quello all’autodeterminazione e
quello alla salute, e che -secondo l’orientamento
costante di questa Corte (cfr. Cass., S.U. n.
26972/2008 e Cass. n. 2847/2010)- l’inadempimento
da parte del sanitario dell’obbligo di richiedere
al paziente l’espressione del consenso informato
costituisce -in ogni caso- violazione del diritto
inviolabile alla autodeterminazione.
Ciò comporta che la responsabilità del
sanitario per violazione dell’obbligo di acquisire
il consenso informato discende dal solo fatto
della sua condotta omissiva, a prescindere dalla
circostanza che il trattamento sia stato eseguito
correttamente o meno (fermo restando che la
corretta esecuzione influenzerà la liquidazione
del danno, che -ovviamente- dovrà essere
rapportato

alla

sola

all’autodeterminazione);

lesione
sotto

del
tale

diritto
profilo,

infatti, ciò che rileva è che, a causa del deficit
di informazione, il paziente non sia stato messo
in

condizione di

assentire
13

al

trattamento

Va infatti ribadito che -come sottolineato da

sanitario con una volontà consapevole delle sue
implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti,
una lesione di quella dignità che connota
l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza,
fisica e psichica (cfr. Cass. n. 16543/2011).

ritenere integrato l’inadempimento dell’obbligo
informativo, occorre che il danneggiato alleghi,
oltre alla mancata informazione, anche il suo
probabile rifiuto all’intervento (in caso di
avvenuta adeguata informazione): infatti, secondo
gli ordinari criteri applicabili in ambito di
responsabilità contrattuale, anche per
l’inadempimento

del

debito

informativo

è

sufficiente che il danneggiato alleghi
l’inadempimento, mentre la tesi prospettata dalla
sentenza impugnata inserisce nella fattispecie un
ulteriore onere di allegazione a carico del
creditore, di cui non vi è traccia nella
giurisprudenza -costituzionale e di legittimitàné nelle norme di riferimento.
Erroneamente il giudice di appello richiama
Cass. n. 2847/2010, giacché il principio mutuato
da tale pronuncia non concerne il danno
conseguente alla mera violazione del diritto
all’autodeterminazione, bensì il diverso danno
(alla salute) costituito dalle complicanze non
imprevedibili di un intervento correttamente
eseguito, rispetto al quale questa Corte ha
subordinato il risarcimento alla prova, da
14

6.3. Né è corretto sostenere che, per poter

offrirsi

dal

presunzioni,

paziente

anche

a

mezzo

di

che egli avrebbe verosimilmente

rifiutato l’intervento ove fosse stato
adeguatamente informato.
Va, al contrario, ribadito che, a fronte

paziente e quelle dell’operatore sanitario,
quest’ultimo è tenuto in ogni caso all’adempimento
dell’obbligo di informazione, prima del quale non
può presumersi alcuna adesione consapevole al
piano d’intervento e neppure alcuna accettazione
dei possibili esiti.
6.4. Deve dunque essere affermato l’avvenuto
passaggio in giudicato della sentenza di primo
grado in punto di inadempimento -da parte del
Pappone- dell’obbligo di acquisire il consenso
informato della Rossi in occasione dell’intervento
del febbraio 1996, escludendosi qualunque
rilevanza ostativa all’avvenuta impugnazione in
punto di responsabilità per l’esecuzione
dell’intervento, giacché i profili attinenti alla
violazione del diritto all’autodeterminazione sono
del tutto autonomi rispetto agli addebiti di colpa
professionale incidenti sul diritto alla salute
(cfr. Cass. n. 11950/2013 e Cass. n. 2854/2015).
Il motivo va pertanto accolto, con rinvio alla
Corte di merito, che dovrà procedere alla
valutazione dei riflessi risarcitori dell’avvenuto
passaggio in giudicato della statuizione
concernente

il

difetto
15

di

informazione,

dell’asimmetria esistente fra le conoscenze del

valutazione che dovrà tener conto dei principi
sopra richiamati e -altresì- del criterio generale
secondo cui il risarcimento del danno non
patrimoniale postula il positivo riscontro dei
requisiti della gravità della lesione e della

Cass. n. 2847/2010 e Cass. n. 11950/2013).
M.

Col settimo motivo (violazione e falsa

applicazione degli artt. 1176, 2236, 1218, 2697
c.c. e “insufficiente e/o contraddittoria
motivazione”), la Rossi si duole che non siano
stati correttamente applicati i criteri sul
riparto degli oneri probatori in ambito di
responsabilità medica laddove la Corte ha
affermato che l’attrice non aveva adempiuto
all’onere di provare che le lesioni erano
conseguite all’operato del Pappone e dei suoi
ausiliari: assume che -al contrario- “sarebbe
spettato al Pappone di fornire la prova di avere
esattamente adempiuto la prestazione dovuta e che
la patologia da cui la Rossi è risultata affetta a
seguito dell’intervento sarebbe dovuta a
situazioni non imputabili all’operatore”.
7.1. Al riguardo, la Corte di Appello ha
osservato che “il primo giudice non ha fatto buon
governo del principio … secondo cui spetta al
danneggiato allegare e provare la determinazione
delle lesioni subite oltre la loro causalità con
l’operato dei medici, mentre quest’ultimi sono
tenuti a dare, per altro verso, la prova di avere
16

serietà del danno (cfr. Cass., S.U. n. 26972/2008,

operato secondo la buona arte e di non essere
incorsi in errori di sorta”; ciò premesso, ha
affermato che “non risulta che Rossi Sabina abbia
adempiuto al proprio onere probatorio, non avendo
provato che le lesioni di cui ella è attuale

conseguenze a lei derivate dall’istallazione di un
pace maker nell’anno 2000- siano state conseguenza
dell’errata condotta del personale sanitario
autore dell’intervento ablativo presso la Casa di
Cura Montevergine” e del successivo controllo
effettuato presso l’Ospedale San Raffaele; più
specificamente, la Corte ha rilevato che “il
blocco del nodo atrio-ventricolare, causa
dell’istallazione del pace maker- è stato
riscontrato sulla paziente a distanza di molto
tempo dall’intervento di ablazione” e “non può
essere in alcun modo messo in diretta relazione
con l’intervento di ablazione, non potendo
ragionevolmente essere ritenuto una complicanza
dell’intervento stesso”; ha del pari rilevato che
non è risultato provato “che, per effetto
dell’intervento ablativo, si sia determinato un
peggioramento delle condizioni di salute della
Rossi”.
7.2. Il motivo è fondato.
Il nucleo centrale della sentenza impugnata è
il seguente: “non risulta che Rossi Sabina abbia
adempiuto al proprio onere probatorio, non avendo
provato che le lesioni di cui è attuale portatrice
17

portatrice -lesioni sostanziatesi nelle

… siano state conseguenza

dell’errata condotta

del personale sanitario”; corollario di tale
affermazione è che “la Rossi avrebbe dovuto
• allegare – oltre che dimostrare – che durante
l’intervento si sia realizzato un evento

Sabina Rossi ha prospettato l’ipotesi che, in
conseguenza del danneggiamento del nodo AV realizzato nel corso dell’intervento di ablazione
e riscontrato in sede di studio
elettrofisiologico- si sia determinato il
successivo blocco AV – diagnosticato per la prima
volta – e neanche in via totale – nel dicembre
1999 … L’assunto è rimasto del tutto privo di
riscontro”.
7.3. Un’impostazione siffatta dell’apparato
argomentativo della sentenza integra errata
applicazione dei principi sul riparto dell’onere
probatorio elaborati da questa Corte in tema di
responsabilità medica.
Debbono prendersi le mosse dall’arresto di
Cass., S.U.

n. 577/2008, secondo cui “in tema di

responsabilità contrattuale della struttura
sanitaria e di responsabilità professionale da
contatto sociale del medico, ai fini del riparto
dell’onere probatorio l’attore, paziente
danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza
del contratto (o il contatto sociale) e
l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed
allegare l’inadempimento del debitore,
18

prodromico al blocco stesso. A tal riguardo,

astrattamente idoneo a provocare
lamentato,

il danno

rimanendo a carico del debitore

dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato
ovvero che, pur esistendo, esso non è stato
eziologicamente rilevante”.

precisato che “l’inadempimento rilevante
nell’ambito dell’azione di responsabilità per
risarcimento del danno nelle obbligazioni così
dette di comportamento non è qualunque
inadempimento, ma solo quello che costituisce
causa (o concausa) efficiente del danno.
Ciò comporta che l’allegazione del creditore non
può attenere ad un inadempimento, qualunque esso
sia, ma ad un inadempimento, per così dire,
qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla
produzione del danno. Competerà al debitore
dimostrare o che tale inadempimento non vi è
proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è
stato nella fattispecie causa del danno” (cfr.
anche Cass. n. 15993/2011 e Cass. n. 27855/2013).
Pertanto, ferma restando la prova del contratto
e del danno da parte del creditore,
l’inadempimento e la sua efficienza causale nella
produzione del danno sono introdotti dal
danneggiato solo a livello di mera allegazione, in
quanto il nesso causale va ovviamente accertato in concreto- in relazione alla prestazione
effettivamente resa ed alla prova che della stessa
abbia fornito il debitore (la cui maggiore
19

In riferimento al nesso causale, le S.U. hanno

vicinanza alla prova è tanto più marcata quanto
più l’esecuzione della prestazione consista
nell’applicazione di regole tecniche sconosciute
al creditore, essendo estranee alla comune
esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del

professione protetta).
7.4. La sentenza impugnata non si è uniformata
a tali principi.
Anzitutto -come si è visto- la Corte di merito
ha ritenuto che dovesse essere l’attrice a provare
che “durante l’intervento chirurgico si sia
realizzato un evento prodromico al blocco stesso”
e che la lesione del nodo atriale sia stata
conseguenza dell’errata condotta del personale
sanitario.
La corretta applicazione dei principi in tema
di riparto dell’onere probatorio comportava
invece- che la Rossi dovesse, per un verso,
provare che vi era stata una prestazione sanitaria
da parte dei convenuti e che ella era risultata
portatrice di una lesione (al nodo atriale) e, per
altro

verso,

inadempimento

limitarsi

ad

eziologicamente

dell’operatore sanitario

allegare

un

rilevante

(ciò che ha

fatto

deducendo che la lesione era stata causata dallo
stesso

Pappone

dell’intervento

errore

per
di

ablazione

mediante radiofrequenza).
20

nell’esecuzione
transcatetere

debitore, come nel caso in cui questi eserciti una

Atteso

che

l’inadempimento

dedotto

era

astrattamente idoneo a provocare la lesione del
nodo atriale, competeva alle parti convenute
provare che -al contrario- vi era stato un esatto
adempimento della prestazione sanitaria, ossia che

errore e non era stato provocato alcun danno al
nodo atriale.
7.5. Più specificamente, deve considerarsi che
la sentenza impugnata ha ritenuto di dover
escludere la responsabilità del Pappone sulla base
di due considerazioni: anzitutto il lasso di tempo
intercorso fra l’intervento di ablazione e le
prime manifestazioni del blocco atrioventricolare
e, in secondo luogo, l’assenza di prove circa il
danneggiamento del nodo AV nel corso
dell’intervento di parziale ablazione.
Sennonché la prova che si richiedeva era altra:
poiché la Rossi non aveva dedotto una derivazione
immediata del blocco dall’intervento, ma un
indebolimento che era gradualmente esitato nel
blocco, il Pappone era tenuto a dimostrare che non
vi era stato indebolimento del nodo al momento
della parziale ablazione del 1996; si richiedeva,
dunque, la prova positiva della invarianza della
condizione del nodo rispetto al momento precedente
l’intervento, che avrebbe potuto essere offerta o
con la dimostrazione che all’esito dell’ablazione
non residuava alcun indebolimento o che tale
indebolimento era preesistente o -ancora- che
21

nel corso di questa non era stato commesso alcun

l’intervento era stato compiuto con modalità tali
da escludere qualunque possibile interferenza col
nodo AV; prove -tutte- che incombevano al Pappone,
secondo lo stesso criterio adottato dalla citata
S.U. n. 577/2008 (laddove -nella diversa, ma

causata da emotrasfusione- ha richiesto alla parte
medica di dimostrare che l’infezione preesisteva o
che la sacca utilizzata per la trasfusione era
esente da virus).
7.6. La sentenza va pertanto cassata anche in
relazione ai profili interessati dall’ultimo
motivo, con rinvio alla Corte territoriale, che si
uniformerà al seguente principio di diritto: “in
ambito di c.d. colpa medica, non sussiste a carico
del creditore danneggiato l’onere di provare il
nesso causale in concreto, essendo egli tenuto
solo all’allegazione di un inadempimento che sia in astratto- eziologicamente atto a provocare il
danno, cosicché, dedotta dall’attore una condotta
idonea a porsi in relazione causale con
l’insorgenza o l’aggravamento di una patologia
provata dal danneggiato, grava poi sul sanitario
convenuto dimostrare che tale condotta non vi è
proprio stata ovvero provare -positivamente ed in
concreto- che, pur esistendo in tutto o in parte
l’inadempimento allegato, non sussiste alcun nesso
causale tra lo stesso e la patologia, così
neutralizzando l’inferenza prospettata dal
creditore”.
22

sovrapponibile ipotesi di infezione asseritamente

8. La Corte di rinvio provvederà anche sulle
spese di lite.
P.Q.M.
la Corte, rigettati gli altri motivi, accoglie
il sesto e il settimo, cassa in relazione e

Appello di Milano, in diversa composizione.
Roma, 12.3.2015

rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di

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