Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14641 del 11/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14641 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso 16407-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1.054

contro

ZAMPORLINI CARLO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO
ROBERTO, che lo rappresenta e difende giusta delega in

Data pubblicazione: 11/06/2013

x
atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

1139/2007 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 14/06/2007 R.G.N. 7050/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

DI CERBO;
udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 21/03/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO

16407.08

Udienza 21 marzo 2013

Pres. A. Lamorgese
Rel. V. Di Cerbo

SENTENZA

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato, in
particolare, l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro — protrattosi dal 12
novembre 1998 al 30 gennaio 1999 – stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Carlo
Zamporlini e la conseguente sussistenza, fra le stesse parti, di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato con decorrenza 12 novembre 1998.

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; il lavoratore
ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Deve premettersi che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della
statuizione sull’illegittimità del termine, tra l’altro, alla considerazione che il contratto
in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data
successiva al 30 aprile 1998.

5.

La società ricorrente censura tale statuizione col primo e secondo motivo di ricorso che,
in quanto logicamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente. Tali motivi,
con i quali si denuncia, in particolare, violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della
legge n. 56 del 1987 e degli artt.1362 e segg. cod. civ. in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994 e di altre norme collettive, nonché vizio di motivazione, sono infondati
e devono essere pertanto rigettati.

6.

Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge
n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori
ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a
tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti

3

La Corte

con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30
aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con
l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass.
1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n.
21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha
fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
7.

Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di
nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso
0
0
di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5 , 6° e 7 della legge
4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.

8.

In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio
2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne consegue che,
con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad
essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano
specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che
essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il ricorso sia stato
proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in
vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009 (data di entrata in
vigore della legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere altresì corredati, a pena di
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temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245,
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta
di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra
le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro,
ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti
collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza
determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23
agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in
particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche
qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e

inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai sensi
dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di assenza o
di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche dell’accertata
nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale produce
infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze.
Nel caso in esame il terzo motivo investe il tema al quale si riferisce la disciplina di cui
all’art. 32 prima citato. Con tale motivo, con il quale è stata denunciata violazione e
falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 cod. civ., parte ricorrente lamenta, in
particolare, la violazione dei principi in tema di mora accipiendi e l’omessa valutazione

dell’aliunde perceptum anche con riferimento all’onere della prova. Il motivo si
conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.: per il principio
della corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito dell’accertamento
giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato — ha diritto al pagamento
delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia
costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa
nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.
10. Osserva il Collegio che il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in
astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto
rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4
gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi
enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n.
36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile
alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e
non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di
specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
11. Il ricorso va pertanto respinto.
12. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata in
dispositivo, che tiene conto delle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140
(entrato in vigore il 23 agosto 2012) emanato ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
convertito in legge n. 27 del 2012.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3500 (tremilacinquecento) per
compensi professionali e oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 marzo 2013.

9.

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