Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14639 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. II, 26/05/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 26/05/2021), n.14639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26898-2019 proposto da:

S.M.S., elettivamente domiciliato in Milano viale Monte Nero

n. 38 presso lo studio dell’avv.to ALESSANDRO CORSANO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 20/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 20 agosto 2019, respingeva il ricorso proposto da S.M.S., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di essere espatriato perchè per mantenere la famiglia, oltre a lavorare, doveva pagare il pizzo ad alcuni giovani della zona, così aveva chiesto alla banca un prestito ma una sera gli estortori gli avevano chiesto una cifra molto elevata che lui non aveva e per questo motivo gli avevano sparato ferendolo a un braccio. In tale occasione era stato soccorso da un amico ed era stato ricoverato in ospedale dove era rimasto per cinque mesi. Nel frattempo aveva continuato a subire minacce e un giorno, dopo che era stato ritrovato il cadavere di un collega, aveva deciso di lasciare il paese per sopravvivere. Aveva paura al rientro di essere ucciso dal datore di lavoro.

Il Tribunale reputava generica e intessuta di contraddizioni intrinseche oltre che illogica la narrazione effettuata dal richiedente e, dunque, non credibile. Di conseguenza il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che dal racconto sulle circostanze che avevano indotto il ricorrente a lasciare il paese non emergevano elementi tali da determinare uno stato di persecuzione idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato.

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), c). Il richiedente non aveva allegato che in caso di rimpatrio poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali il (OMISSIS) non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non erano stati allegati fatti diversi rispetto a quelli posti a fondamento della domanda di protezione internazionale. L’unico elemento distintivo era una denuncia di un rapporto di lavoro domestico con contratto a tempo indeterminato stipulato con un connazionale con il versamento dei contributi per il primo trimestre. Non vi erano, pertanto, presupposti per l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria non essendo stata nè allegata nè dimostrata alcuna di quelle situazioni di vulnerabilità tale da legittimare la richiesta della protezione umanitaria, anche confrontando la condizione del ricorrente sul territorio nazionale rispetto a quella del paese di provenienza in caso di rientro.

3. S.M.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare alla eventuale discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura attiene al fatto che non era stata fissata udienza per l’audizione personale delle ricorrente ancorchè non fosse disponibile la videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi la commissione territoriale.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 5, comma 6 testo unico immigrazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura ha ad oggetto la domanda di protezione umanitaria in relazione alla quale era stata fornita prova documentale del positivo radicamento del ricorrente nel tessuto economico e sociale italiano, anche attraverso la stipula di un contratto di lavoro a tempo indeterminato come lavoratore domestico. Peraltro, in caso di rientro in patria, il ricorrente non avrebbe prospettive di sopravvivenza e verrebbe privato di fatto dei mezzi di sussistenza. Il paese di provenienza infatti si caratterizza per la forte instabilità politica e la presenza di fenomeni di terrorismo oltre che di povertà diffusa e gravi calamità naturali.

3. Il ricorso è inammissibile.

La procura speciale allegata all’atto introduttivo, infatti, anche se autenticata nella firma dal difensore, non soddisfa i requisiti di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis comma 13. Essa infatti non contiene alcun riferimento al decreto emesso dal Tribunale di Milano, oggetto del presente ricorso, e pertanto non soddisfa il requisito di specialità richiesto dall’art. 365 c.p.c. Nè può essere, a tal fine, valorizzata la materiale congiunzione della procura con l’atto cui essa dovrebbe accedere, posto che la norma speciale (che prevede espressamente l’obbligo, a pena di inammissibilità del ricorso, del conferimento della procura in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, nonchè la certificazione della data di rilascio a cura del difensore incaricato del ricorso in Cassazione) è evidentemente tesa ad evitare la prassi del rilascio della procura a ricorrere in Cassazione in un momento anteriore a quello della comunicazione del decreto oggetto di impugnazione. Di qui l’esigenza che nel testo della procura sia specificato il riferimento al provvedimento impugnato, quantomeno con indicazione del numero cronologico, della data di deposito o di comunicazione, in modo che sia assicurato il requisito della specialità della procura stessa. Nel caso di specie questi requisiti non sono soddisfatti non contenendo la procura alcun elemento idoneo ad individuare il conferimento del potere difensivo in relazione all’impugnazione del decreto emesso dal Tribunale di Milano, oggetto del presente ricorso.

4. In conclusione il ricorso è inammissibile nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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