Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14639 del 11/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14639 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 12107-2007 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. 01585570581, (già
FERROVIE DELLO STATO S.P.A. SOCIETA’ DI TRASPORTI E
SERVIZI PER AZIONI), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA VIA DI RIPETTA 22, presso lo STUDIO LEGALE
2013
1039

GERARDO VESCI & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato VESCI GERARDO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

LIPARULO EFISIO, elettivamente domiciliato in ROMA,

Data pubblicazione: 11/06/2013

3/U,

VIA CASILINA

presso lo studio dell’avvocato

TORRIERO CLAUDIO, che lo rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

5997/2006 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

21/03/2013

dal Consigliere Dott. GIULIO

MAISANO;
udito l’Avvocato FELCINI FRANCESCO per delega VESCI
GERARDO;
udito l’Avvocato TORRIERO CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di ROMA, depositata il 14/11/2006 R.G.N. 7988/2002;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14 novembre 2006 la Corte d’appello di Roma, in
riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 31 ottobre 2001, ha
condannato la Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. al pagamento in favore di
Liparulo Efisio della somma di € 4.547,65 a titolo di equo indennizzo. La
Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando provato il nesso

di causalità fra le mansioni svolte dal Liparulo e le affezioni da lui
lamentate, sulla base della documentazione prodotta in sede di appello
attestante le mansioni svolte, gli orari di lavoro osservati e lo svolgimento
del lavoro straordinario, documentazione ritenuta ammissibile in virtù del
principio che impronta il processo del lavoro relativo all’accertamento
della verità materiale che va a contemperare il generale sistema delle
preclusioni di nuove prove in appello. La stessa Corte d’appello ha poi
ritenuto tempestiva la domanda di riconoscimento della causa di servizio
proposta entro il termine di sei mesi dall’accertamento delle patologie
lamentate. La Corte romana ha poi condiviso le risultanze della consulenza
tecnica disposta nel giudizio di appello che ha accertato la sussistenza della
lamentata patologia di ipertensione arteriosa con iniziale impegno d’organo
in buon compenso, e la sua dipendenza da causa di servizio.
Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., già Ferrovie dello Stato s.p.a., ha proposto
ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Liparulo.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt.
2697 cod. civ. e 437 , secondo comma cod. proc. civ. in relazione ai d.P.R.
1092 del 1973 e 915 del 1978, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In
particolare si deduce che erroneamente con la sentenza impugnata si
sarebbe considerato assolto l’onere probatorio relativo al nesso di causalità

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í4

fra patologie denunciate ed attività lavorativa svolta, non indicandosi in
che modo tale onere sarebbe stato assolto da parte dell’appellante, né
sarebbe dato comunque individuare tale nesso sulla base della stessa CTU
svolta; a tale riguardo si rileva come la corte romana non avrebbe tenuto in
alcun conto le osservazioni svolte dal consulente tecnico di parte senza
dare alcuna motivazione al riguardo. Inoltre i nuovi mezzi istruttori

prodotti per la prima volta nel secondo grado di giudizio, non sarebbero
probanti ai fini in esame essendo relativi solo al normale svolgimento delle
mansioni affidate al lavoratore, ed essendo comunque irrituali potendosi
produrre già durante il primo grado di giudizio; né il giudice avrebbe
potuto supplire alle carenze probatorie con la CTU che notoriamente non
costituisce un mezzo di prova.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione
dell’art.36 del d.P.R. 3 maggio 1957 n. 586, dei d.P.R. n. 3 del 1957 e del
d.M. 19 dicembre 1958, N. 2716, nonché della legge n. 425 del 1958, in
relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si assume che la
sentenza impugnata, nel rigettare l’eccezione di intervenuta decadenza
avrebbe fatto riferimento alla domanda di riconoscimento della causa di
servizio, mentre l’eccezione sollevata dall’attuale ricorrente si riferiva alla
mancata impugnativa del provvedimento di reiezione nel termine di trenta
giorni.
Con il terzo motivo si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art.
360, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento al nesso di causalità fra malattia e
attività lavorativa, nesso non motivato dal semplice richiamo alla CTU
dalla quale non si evincerebbe il nesso in questione, in quanto, in
particolare, risulta dalla stessa relazione peritale che le patologie sono state
riscontrate quando il Laparulo svolgeva da dieci anni mansioni di ufficio.

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Il primo ed il terzo motivo possono esaminarsi congiuntamente riferendosi
entrambi all’accertamento del nesso di causalità fra la patologia allegata
dal Liparulo e l’attività lavorativa svolta. I motivi sono infondati. Quanto
alla ritualità dell’integrazione della prova nel giudizio di appello questa
Corte ha costantemente affermato che nel rito del lavoro, e in particolare

contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità
materiale, allorché le risultanze di causa offrono significativi dati di
indagine, il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 cod. proc. civ.,
ove reputi insufficienti le prove già acquisite, può in via eccezionale
ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o
la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali
fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi
istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento
(ex plurinais Cass. 4 maggio 2012 n. 6753). In ordine alla valutazione della
consulenza tecnica d’ufficio va ribadito in questa sede che le conclusioni
della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice di secondo grado
con riguardo alla valutazione della dipendenza di patologie da causa di
servizio non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per
cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad essa di diverse
valutazioni espresse dal consulente d’ufficio, poiché tali contestazioni si
rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio
formulato dal giudice di appello, bensì ad una diversa valutazione delle
risultanze processuali. Anche l’eventuale rigetto delle osservazioni
formulate dal consulente tecnico di parte non è censurabile in sede di
legittimità, facendo parte tale circostanza all’accertamento del fatto
riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità se
congruamente e logicamente motivato. Con riferimento all’osservazione
per cui le patologie del lavoratore sono state riscontrate allorché il

nella materia della previdenza e assistenza, stante l’esigenza di

lavoratore svolgeva già da vari anni le mansioni di ufficio, è circostanza di
fatto come tale valutabile dal giudice del merito e, in particolare, non
inficia la logicità della motivazione in quanto, evidentemente, non esclude
il nesso causale in questione.
Anche il secondo motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto
semestrale per l’istanza per il riconoscimento della causa di servizio e non
la violazione del termine per l’impugnativa del provvedimento di
reiezione, per cui correttamente la Corte d’appello ha considerato tale
decadenza semestrale escludendo la maturazione del relativo termine.

Le spese di questo giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in
€ 50,00 per esborsi ed € 2.500,00 per compensi professionali da distrarsi in
favore dell’avv. Claudio Torriero, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 marzo 2013
Il Consigliere est.

Presidente i,

dalla ricorrente, questa aveva eccepito in sede di appello la sola decadenza

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