Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14637 del 18/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 18/07/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 18/07/2016), n.14637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8817/2011 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A.

C.F. (OMISSIS) (già FERROVIE DELLO STATO S.p.A. – Società di

Trasporti e Servizi per Azioni), in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

DI RIPETTA 22, presso lo studio Legale GERARDO VESCI & PARTNERS,

rappresentate e difese dall’avvocato GERARDO VESCI, giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

S.T., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

SCROFANA, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale

notarile in atti;

– resistente con procura –

e sul ricorso 13073/2013 proposto da:

“TRENITALIA S.P.A. C.E. (OMISSIS), RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A.

C.F. (OMISSIS) (già FERROVIE DELLO STATO S.p.A. – Società di

Trasporti e Servizi per Azioni), in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

DI RIPETTA 22, presso Io studio Legale GERARDO VESCI & PARTNERS,

rappresentate e difese dall’avvocato GERARDO VESCI, giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

S.T. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso Io studio dell’avvocato PAOLA

SCROFANA, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale

notarile in atti;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 6656/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/11/2012 R.G.N. 9831/2008 per il ricorso n.

13073/2013;

avverso la sentenza n. 9883/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/09/2010 R.G.N. 9883/2009 per il ricorso n.

8817/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato FAVIT SALVATORE per delega Avvocato VESCI GERARDO;

udito l’Avvocato SCROFANA PAOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva del 30 settembre 2010, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Roma in ordine alla domanda di risarcimento del danno da demansionamento proposta da S.T. nei confronti di Trenitalia S.p.A. e Rete Ferroviaria S.p.A., ritenute nulle le richieste di condanna nel “quantum” di cui al ricorso introduttivo, riconosceva il dedotto demansionamento solo per il periodo di totale inattività dal 2000 al 2003, con accoglimento della domanda risarcitoria relativamente al danno alla professionalità, quantificato nel 40% della retribuzione relativa al periodo, rigetto della stessa quanto al danno esistenziale e rinvio per la prosecuzione del giudizio per l’accertamento della sussistenza del danno biologico.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto provata, alla luce delle riesaminate risultanze istruttorie, la totale assenza di mansioni e, così l’inattività del S., per il periodo indicato, cui limita il risarcimento spettante, determinato nelle componenti del danno alla professionalità, liquidato, stante la ritenuta nullità della quantificazione delle varie voci di danno operato nel ricorso, in via equitativa, e nel danno biologico per la cui individuazione disponeva apposito accertamento tecnico.

Per la cassazione di tale decisione ricorrono le Società, affidando l’impugnazione a due motivi, poi illustrati con memoria. L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.

Nella camera di consiglio veniva disposta la riunione al presente del ricorso n. R.G. 13073/2013 per il quale all’udienza pubblica era stata letta la seguente relazione.

Con sentenza definitiva del 22 novembre 2014, la Corte d’Appello di Roma, pronunziando a seguito della propria sentenza non definitiva che, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Roma in ordine alla domanda di risarcimento del danno da demansionamento proposta da S.T. nei confronti di Trenitalia S.p.A. e Rete Ferroviaria S.p.A., ritenute nulle le richieste di condanna nel “quantum” di cui al ricorso introduttivo e riconosciuto il dedotto demansionamento solo per il periodo di totale inattività dal 2000 al 2003, con accoglimento della domanda risarcitoria relativamente al danno alla professionalità, quantificato nel 40% della retribuzione relativa al periodo e rigetto della stessa quanto al danno esistenziale, rinviava per la prosecuzione del giudizio per l’accertamento della sussistenza del danno biologico, decideva sul punto condannando in solido le Società al risarcimento del danno biologico liquidandolo nell’importo già rivalutato di Euro 22.915,44 oltre interessi legali dalla decisione fino al saldo.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto correttamente accertato in sede di CTU il nesso eziologico tra il demansionamento ed il danno biologico ed applicabili le tabelle predisposte ai fini della quantificazione del danno medesimo dal Tribunale di Roma nel marzo 2011, senza correttivi, stante la rilevata assenza di elementi utili alla personalizzazione del danno, ma con rivalutazione degli importi, trattandosi di debito di valore.

Per la cassazione di tale decisione ricorrono le Società, affidando l’impugnazione a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, il S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Riferendo del contenuto del ricorso portante n. R.G. 8817/2011 è a dirsi come con il primo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in una con il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, le Società ricorrenti lamentano la lacunosità dell’iter valutativo seguito dalla Corte territoriale per fondare il proprio convincimento in ordine alla condizione di totale inattività in cui sarebbe stato tenuto il S. nel periodo 2000/2003, cui la Corte medesima ricollega il riconoscimento del dedotto demansionamento, invocando a comprova il mancato riferimento alle testimonianze indotte da esse Società, la limitata conoscenza dei fatti dei testi indicati dal S., la contraddittorietà del predetto convincimento con la stessa ricostruzione delle circostanze di fatto operata nella narrativa della sentenza.

Con il secondo motivo le censure delle Società ricorrenti, poste sottola rubrica “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2697, 1223 c.c. e art. 116 c.p.c.. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, si appuntano sul medesimo approdo dell’impugnata sentenza riguardato sotto il profilo della mancata considerazione dell’assolvimento da parte delle Società ricorrenti dell’onere della prova dell’insussistenza in concreto di qualsiasi demansionamento e comunque, del legittimo esercizio dei poteri datoriali e, di contro, dell’assenza di un principio di prova, il cui onere incombeva viceversa al S. in ordine alla risarcibilità del riconosciuto danno alla professionalità ed alla ricorrenza in concreto dello stesso, tenuto conto anche della circostanza, del tutto ignorata dalla Corte territoriale, nonostante fosse stata oggetto di contraddittorio tra le parti, della riforma della sentenza che aveva disposto la reintegrazione del S., a suo tempo licenziato, destinata a riverberare sulla stessa esistenza del rapporto per il periodo in questione.

Relativamente al ricorso riunito n. R.G. 13073/2013 è a dirsi come con il primo motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2043 c.c., in una con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, le Società ricorrenti lamentano l’erroneità della valutazione della Corte territoriale in ordine alla riconducibilità in via esclusiva al demansionamento asseritamente subito del pregiudizio psicofisico accertato a carico del S., non potendo una tale conclusione desumersi dalla documentazione su cui è stata basata l’espletata CTU. Il secondo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., è volto a censurare il pronunciamento della Corte territoriale in ordine all’inconfigurabilità nella specie di un concorso di colpa del lavoratore nella causazione del danno per non aver consentito l’accertamento tramite visita medico-legale del suo disagio psicofisico.

Passando all’esame della complessiva impugnazione proposta, deve preliminarmente rilevarsi come i l’arco temporale entro cui la Corte territoriale ha circoscritto la pronuncia di accoglimento della domanda di cui al ricorso introduttivo del S. – arco temporale coincidente con il periodo in cui il rapporto di lavoro tra le parti era stato riattivato, con riammissione del S. in azienda, in esecuzione dell’ordine di reintegrazione emesso a seguito della declaratoria di illegittimità del recesso a questi intimato dalla Società pronunziata all’esito del primo grado di giudizio, cui ha poi fatto seguito la riforma di quella pronunzia in sede di gravame con la conseguente declaratoria della legittima cessazione del rapporto in data anteriore al torno di tempo qui considerato – impone la prioritaria valutazione della censura sollevata dalla Società ricorrente con il secondo motivo del ricorso portante, con la quale si assume l’erroneità del riconosciuto demansionamento, per collocarsi questo, in conformità al pronunciamento della Corte territoriale, in un arco di tempo in cui il rapporto di lavoro inter partes doveva ritenersi, per effetto della riforma della pronunzia dichiarativa dell’illegittimità del recesso precedentemente intimato, già definitivamente cessato e, dunque, non più operante la relazione obbligatoria su cui era fondata la pretesa del S..

Questa Corte non ritiene di poter condividere l’assunto, atteso che la fictio iuris, per la quale la declaratoria di legittimità del precedente licenziamento determina l’effetto della risoluzione ex tunc del rapporto in essere tra le parti, non può valere a pone nel nulla il fatto in ipotesi verificatosi, ovvero la condotta illecita che le Società ricorrenti avrebbero tenuto in pregiudizio del lavoratore pur temporaneamente riammesso in servizio, consistita nella sottrazione al medesimo delle mansioni di competenza e nella sua emarginazione dall’ambiente di lavoro, dovendosi conseguentemente ritenere l’ammissibilità di una decisione quale quella resa dalla Corte territoriale che, riconosciuta la ricorrenza del fatto illecito, pronunzi condanna in ordine alle conseguenze risarcitorie.

E nella specie si tratta di una decisione che si sottrae alle censure sollevate con entrambe le – impugnazioni dalla Società ricorrente che devono ritenersi del tutto infondate.

Così è a dirsi con riferimento al primo motivo del ricorso portante, non potendosi condividere il denunciato malgoverno da parte della Corte territoriale del materiale istruttorio acquisito che certo non può individuarsi nell’aver la Corte stessa selezionato a fini valutativi dandone poi conto in motivazione soltanto alcune delle testimonianze escusse, rientrando ciò nell’ambito del suo libero apprezzamento, così come è a dirsi in ordine alle circostanze valutate dalla Corte risultanti da quelle testimonianza. che, solo genericamente qualificate inattendibili (si dice ad esempio che il teste C. sia stato compagno di stanza del S. solo per un anno, così da non essere in grado di asseverare la denunciata inattività, ma non si specifica quale anno) non sono contestate nei contenuti, opponendosi soltanto, e qui fondando l’ulteriore censura relativa alla contraddittorietà della motivazione, la circostanza che il S. fu impiegato, al pari di altri dipendenti nelle operazioni di stampigliatura sui biglietti della nuova partita IVA aziendale nell’anno 2000 (essendo il riferimento ad altre circostante, che, a detta della Società ricorrenti sarebbero dissonanti rispetto al giudizio formulato dalla Corte territoriale, basato solo sul richiamo operato dalla stessa Corte nella narrativa della sentenza impugnata e mai riprese nè negli atti difensivi dell’odierna ricorrente nè, a quanto consta, in sede istruttoria), deduzione questa che così genericamente collocata nel tempo, quando l’anno 2000 è altrettanto genericamente indicato nella sentenza impugnata come periodo di inizio dell’inattività, causa del riconosciuto demansionamento, risulta del tutto ininfluente.

Parimenti infondato è il secondo motivo del ricorso portante nella parte in cui, nell’imputare alla Corte territoriale di aver erroneamente valutato non assolto, da parte della stessa Società, l’onere della prova che gli incombeva, richiama le medesime circostanze che nel primo motivo infondatamente assume illegittimamente pretermesse dalla Corte stessa, come pure laddove assume sussistere la medesima violazione delle norme sull’onere della prova con riguardo al profilo della sussistenza del riconosciuto danno alla professionalità, atteso che la generica censura della Società ricorrente può essere agevolmente superata solo che si richiami la conseguibilità di una simile prova anche attraverso mere presunzioni, in particolare allorchè, come nella specie, il riconosciuto demansionamento si sia concretato in una totale inattività.

Nè può dirsi che meritino accoglimento i due motivi di cui al ricorso riunito, risultando il primo, risolventesi nella deduzione per cui la patologia asseverata risalirebbe ad epoca anteriore a quella del riconosciuto demansionamento, svolta, tuttavia, senza considerare l’ulteriore rilievo ivi contenuto che vale a conciare la stessa agli originari conflitti insorti in ambito lavorativo da cui è scaturita l’azione di progressivo demansionamento poi cui culminata nel periodo considerato, infondato al pari del secondo, avendo la Corte territoriale correttamente escluso il concorso di colpa del S. nella causazione del danno, per non avere questi acconsentito all’effettuazione di visite idonee a rilevarne la condizione di disagio psico-fisico, del resto francamente poco plausibile sul piano logico, tenuto conto che l’eventuale riconoscimento di tale concorso presupporrebbe verificata la circostanza meramente ipotetica che, a fronte dell’accertamento del disagio psico-fisico, le Società ricorrenti si sarebbero attivate per cessare la condotta illecita posta in essere.

Entrambi i ricorsi vanno dunque rigettati.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte, riunisce al presente il ricorso n. R.G. 13073/2013 e li rigetta entrambi. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Con riferimento al ricorso n. R.G. 13073/2013 dà atto del raddoppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2016

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