Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14636 del 11/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14636 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 16771-2011 proposto da:
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ope
legis, in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente
contro

2013
1031

CAPRIOTTI

CLELIA

CPRCLL59H66D542A,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MAGLIANO SABINA 24, presso lo
studio dell’avvocato PETTINARI LUIGI, rappresentata e
difesa dagli avvocati LUCCHETTI ALESSANDRO, LUCCHETTI

Data pubblicazione: 11/06/2013

ALBERTO, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 491/2010 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 26/10/2010 R.G.N. 474/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

BERRINO;
udito l’Avvocato GERARDIS CRISTINA;
udito l’Avvocato LUCCHETTI ALESSANDRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udienza del 20/03/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO

Svolgimento del processo
Con sentenza dell’i /10/10 — 26/10/10 la Corte d’appello di Ancona, accogliendo
parzialmente il ricorso proposto dal Ministero della Giustizia avverso la sentenza
del giudice del lavoro del Tribunale di Fermo che l’aveva condannato a

compensi per lo svolgimento di lavori socialmente utili e quanto dovutole in base al
trattamento retributivo previsto per il personale dipendente di pari livello, ha
disposto che l’importo dovuto a titolo di interessi legali sui crediti dell’appellata
venisse portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del
maggior danno da svalutazione monetaria, confermando nel resto la gravata
decisione.
La Corte ha spiegato che l’istruttoria aveva consentito di accertare che alla
lavoratrice erano state fatte svolgere mansioni del tutto estranee a quelle previste
nel progetto dei lavori socialmente utili e che non erano assimilabili nemmeno al
novero dei servizi tecnici integrati della pubblica amministrazione per i quali l’art. 2
del D.Ivo n. 81/2000 aveva ammesso l’utilizzazione. Inoltre, per quella parte del
lavoro che si discostava per contenuto ed orario dalla prestazione socialmente
utile trovava applicazione la norma di cui all’art. 2126 c.c. che non poteva ritenersi
esclusa dalla natura previdenziale del rapporto dei lavoratori socialmente utili.
Infine, versandosi in ipotesi di retribuzione collegata al pubblico impiego, non
poteva non operare il divieto di cumulo di interessi legali e rivalutazione monetaria
di cui all’art. 16, comma 6, della legge n. 412/1991, per cui gli interessi maturati
sugli importi riconosciuti dovevano essere detratti dal credito eventualmente
spettante a ristoro del maggior danno da svalutazione monetaria.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Ministero della Giustizia che
affida l’impugnazione ad un solo motivo di censura.
Resiste con controricorso Clelia Capriotti la quale deposita, altresì, memoria ai
sensi dell’art. 378 c.p.c.

1

corrispondere a Capriotti Clelia la differenza tra quanto versatole a titolo di

Motivi della decisione
Con un solo motivo di censura la difesa del Ministero della Giustizia denunzia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs n. 81/2000, dell’art.
2126 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficienza della

c.p.c., assumendo che le mansioni svolte dalla controparte rientravano,
contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, nel settore dei lavori
socialmente utili di cui all’art. 1 del d.lgs n. 468/97 e agli artt. 2 e 3 del d.lgs n.
81/2000, oltre che nei progetti, ministeriale e di Corte d’appello, regolarmente
approvati dal Ministero del Lavoro. La stessa difesa aggiunge che la normativa in
esame aveva previsto che, allo scopo di creare opportunità occupazionali per i
lavoratori già impiegati in lavori socialmente utili, le amministrazioni potevano far
fronte a proprie esigenze istituzionali per l’esecuzione di servizi aggiuntivi (art. 10
D.Igs n. 468/97), per cui era normale che la controparte fosse stata chiamata a
lavorare a fianco del personale di ruolo e che avesse svolto incombenze e compiti
amministrativi di supporto al funzionamento degli uffici giudiziari. Pertanto, era da
considerare erronea l’affermazione della Corte in ordine alla ritenuta estraneità
delle mansioni fatte svolgere alla controparte rispetto al progetto di riferimento,
affermazione che era anche insufficientemente motivata in quanto mancava
l’indicazione degli elementi atti a chiarire le ragioni per le quali detti compiti non
erano riconducibili al progetto dei lavori socialmente utili ed in quale misura la
medesima lavoratrice sarebbe stata adibita a tali mansioni giudicate diverse.
Il ricorso è fondato.
Occorre, infatti, ricordare che l’art. 14 della legge n. 451 del 19 luglio 1994, di
conversione del D.L. n. 299 del 1994, disponeva che ai lavori socialmente utili
presso le pubbliche amministrazioni potevano essere avviati o i titolari di
trattamento straordinario di integrazione salariale, dell’indennità di mobilità, ovvero
i disoccupati di lunga durata (di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 25, comma 5). Per i

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motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 n. 5

primi il compenso per l’opera prestata era pari alla prestazione previdenziale in
godimento (cassa integrazione o indennità di mobilità), salvo il diritto ad un
compenso integrativo per il lavoro ulteriore svolto. Per i disoccupati che non
godevano di alcuna prestazione previdenziale si stabilì (comma 4 del citato art.

La medesima legge ha previsto che l’utilizzazione dei lavoratori non determina
l’instaurazione di un rapporto di lavoro, non implica la perdita del trattamento
straordinario di integrazione salariale e non comporta la cancellazione dalle liste di
collocamento o dalle liste di mobilità.
Successivamente, col decreto legge n. 510 del 1996, convertito nella legge n. 608
del 1996, all’art. 1, comma 3, fu operata la sostituzione del quarto comma del
predetto art. 14 della legge n. 451/94 nei seguenti termini: “I soggetti di cui al
comma 1 che non fruiscono di alcun trattamento previdenziale possono essere
impegnati nell’ambito del progetto per non più di dodici mesi e per essi può essere
richiesto, a carico del fondo di cui al comma 7, un sussidio non superiore a L.
800.000 mensili. Il sussidio è erogato dall’Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS) e per esso trovano applicazione le disposizioni in materia di
mobilità e di indennità di mobilità. Ai lavoratori medesimi può essere corrisposto,
dai soggetti proponenti o utilizzatori, un importo integrativo di detti trattamenti, per
le giornate di effettiva esecuzione delle prestazioni.”
Si stabilì ancora con l’art. 20 della legge n. 196 del 1997 che detto compenso
fosse a carico del Fondo per l’occupazione di cui al decreto legge n. 148 del 1993,
art. 1, comma 7, convertito nella legge n. 236 del 1993. In seguito con il D.Lgs. n.
468 del 1997, art. 8, comma 3, si reiterò la previsione che per i lavoratori utilizzati
nella attività di lavori socialmente utili non percettori di trattamenti previdenziali
competeva un importo mensile di L. 800.000 erogato dall’Inps.
Anche se un importo integrativo fu erogato dal Ministero, in ogni caso è indubbio
che la parte essenziale del compenso per l’opera prestata era a carico del Fondo

li 5

14) la somma di L. 7.500 orarie.

per l’occupazione e materialmente erogata dall’Inps, onde non è configurabile
alcun rapporto di lavoro subordinato, neppure di fatto, non essendo previsto per
legge alcuna controprestazione economica a carico del soggetto beneficiario.
Pertanto, in assenza di un elemento fondamentale caratterizzante la fattispecie, il

Ebbene, sulla base di tali premesse, questa Corte ha avuto modo di affermare di
recente (Cass. Sez. 6 — Lav. Ordinanza n. 9811 del 14/6/2012) che ” in tema di
lavori socialmente utili, l’art. 1 del d.lgs. n. 468 del 1997, riferendosi alle attività
inerenti la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, non
reca un’elencazione tassativa, sicché non eccede tale ambito e non identifica un
rapporto di lavoro subordinato, neppure di fatto ex art. 2126 cod. civ., la
prestazione resa in favore di un ente pubblico (nella specie, Ministero della
Giustizia) da un soggetto assegnato a progetto L.S.0 e percettore di assegno
INPS, mancando un elemento imprescindibile della fattispecie legale del lavoro
subordinato, qual è il pagamento del compenso da parte del beneficiario della
prestazione.”
D’altronde, tale principio era stato già espresso da questa Corte con la sentenza
n. 21155 del 13/10/2010, allorquando si era precisato che ” in tema di lavori
socialmente utili, l’art. 1 del d.lgs. n. 468 del 1997, nel ricomprendere in tale
ambito le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di
servizi di utilità collettiva, mediante l’utilizzo di particolari categorie di soggetti, non
reca un’elencazione tassativa di attività, né le previsioni della contrattazione
collettiva che destinano risorse al sostegno delle iniziative rivolte a migliorare la
produttività, l’efficienza e l’efficacia dei servizi hanno diretta incidenza sulla
ricomprensione di analoghe iniziative fra le attività inerenti ai lavori socialmente
utili”
In quel caso era stato ritenuta espletabile, attraverso l’impiego di lavoratori
socialmente utili, l’attività volta al miglioramento della funzionalità degli uffici

4

rapporto mai potrebbe essere ricondotto nell’alveo del lavoro subordinato.

comunali, con conseguente rigetto della domanda di costituzione di un rapporto di
lavoro subordinato con un ente locale, proposta sul presupposto dell’illegittimo
ricorso ai lavori socialmente utili, effettuato per attività non previste dalla normativa
di riferimento e per far fronte, sostanzialmente, a carenze di organico.

subordinato, non può venire in applicazione la norma dell’art. 2126 cod. civ.
Pertanto, il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza
impugnata e rigetto dell’originaria domanda, non rendendosi necessari, ai sensi
dell’art. 384, comma 2, c.p.c., ulteriori accertamenti di fatto.
La particolarità della questione trattata induce la Corte a ritenere compensate tra
le parti le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta la domanda. Spese compensate.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2013
Il Consigliere estensore

Quindi, una volta esclusa nella fattispecie la configurabilità di un rapporto di lavoro

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