Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14635 del 13/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 13/06/2017, (ud. 08/03/2017, dep.13/06/2017),  n. 14635

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25202/2015 proposto da:

M.C., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALBERTO GIORDANO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

LA TAVERNA DEL TAFFIO DI D.A. SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore e socio accomandatario Sig.ra

A.D., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FERNANDO NAPOLITANO giusta procura a margine della comparsa di

costituzione e risposta nel giudizio di primo grado;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2700/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/03/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza n. 10334/2014 del 9 luglio 2014, il Tribunale di Napoli dichiarava improcedibile la domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione proposta – originariamente nelle forme del giudizio per convalida di sfratto – da M.C. (locatore) nei confronti della società La Taverna del Taffio s.a.s. di D.A. (conduttrice), per mancata introduzione del procedimento di mediazione nell’assegnato termine di giorni quindici “dalla comunicazione” della ordinanza ex art. 665 c.p.c..

Con la sentenza n. 2700/2015 del 16 giugno 2015, la Corte di Appello di Napoli disattendeva l’impugnazione interposta da M.C., argomentando dal fatto che la ordinanza di fissazione del termine per la procedura di mediazione in quanto pronunciata in udienza, all’esito della Camera di consiglio, non doveva essere comunicata alle parti a cura della Cancelleria.

Avvero questa sentenza ricorre per cassazione M.C., sulla base di un motivo; resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con unico, articolato motivo, il ricorrente, denunciando “la violazione degli artt. 136 e 156 c.p.c. e dell’art. 24 Cost. e la falsa applicazione dell’art. 176 c.p.c.” assume che l’ordinanza di fissazione del termine per l’introduzione della procedura di mediazione doveva – come peraltro espressamente previsto nel provvedimento del giudice emittente – essere comunicata alle parti a mezzo biglietto di Cancelleria, non essendo idonea la presunzione di conoscenza sancita dall’art. 176 c.p.c., a far decorrere l’indicato termine; ne inferisce, pertanto, la erroneità della dichiarata improcedibilità.

La censura (la quale, peraltro, sembra prospettare una questione nuova rispetto al thema decidendum del giudizio di appello, in cui l’odierno ricorrente aveva dedotto l’omessa comunicazione della ordinanza in quanto resa a scioglimento di riserva) è infondata.

Ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, “le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi; quelle pronunciate fuori dall’udienza sono comunicate a cura del cancelliere”.

Atteso che la comunicazione assolve la funzione, giusta il disposto dell’art. 136 c.p.c., comma 1, di dare notizia alle parti dell’avvenuta emissione di un provvedimento, in caso di ordinanze pronunciate in udienza (e riprodotte nel relativo verbale) il legislatore ha reputato parificata all’effetto di conoscenza cui è teleologicamente finalizzata la comunicazione del cancelliere la partecipazione (effettiva o anche soltanto potenziale ma doverosa) delle parti all’udienza in cui l’ordinanza stessa viene pronunciata dal giudice.

Con la percezione (nel caso di parte presente in udienza) o con la possibilità della percezione (nel caso di parte inosservante al dovere di presenziare all’udienza) si realizza, pertanto, la conoscenza legale dell’ordinanza, senza necessità di un (evidentemente superfluo) ulteriore avviso ad opera del cancellerie, anche quando la lettura dell’ordinanza sia avvenuta all’esito di ritiro del giudice in camera di consiglio (Cass. 09/05/2007, n. 10539).

Si tratta di principio espresso, in maniera reiterata ed unanime, da questa Corte, con l’individuare nella data dell’udienza di pronuncia del provvedimento il dies di decorrenza del termine per la proposizione di ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (Cass. 14/12/2015, n. 25119) ovvero di regolamento di competenza avverso ordinanze dichiarative della litispendenza (Cass. 06/02/2015, n. 2302) o declinatorie di competenza (Cass. 23/10/2014, n. 22525) oppure ancora con l’ascrivere effetti di decadenze al mancato compimento di attività istruttorie poste a carico delle parti con ordinanze rese in udienza (oltre a Cass. 10539/2007, cfr. Cass. 14/03/2011, n. 5966).

Il meccanismo di conoscenza dell’ordinanza pronunciata in udienza tipizzato dall’art. 176 c.p.c., comma 2, opera dunque ad ogni effetto di legge, senza alcuna distinzione: in particolar modo, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, non si ravvisa nel disposto positivo (nè è inferibile da principi generali sovraordinati) deroga per l’ipotesi del dies a quo di introduzione del procedimento obbligatorio di mediazione.

Disatteso il ricorso, il regolamento delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, come in dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): in base al tenore letterale della disposizione, il rilievo della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore del contro ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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