Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14635 del 04/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/07/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 04/07/2011), n.14635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

R.M.G., rappresentata e difesa dall’avv. Scoca

Franco Gaetano, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma

in via G. Paisiello n. 55;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 143/63/07, depositata il 12 giugno 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 marzo 2011 dal Relatore Cons. Dott. GRECO Antonio.

La Corte:

Fatto

RITENUTO

Che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 143/63/07, depositata il 12 giugno 2007, accogliendo l’appello di R.M.G., nel giudizio introdotto con l’impugnazione dell’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, ufficio di Mantova, facendo applicazione degli studi di settore, all’esito del contraddittorio con la contribuente aveva accertato maggiori ricavi, e conseguentemente maggiori IVA, IRPEF e IRAP per l’anno 1998, ha ritenuto l’illegittimità dell’accertamento. Ciò in quanto l’ufficio avrebbe dovuto escludere la deduzione di costi pluriennali e determinare il reddito non in via presuntiva, ma effettiva sulla base della ritenuta, corretta deduzione, e non risultando che abbia applicato gli studi di settore dopo la correzione della deduzione, ma sulla base della medesima così come effettuata dalla contribuente.

Non era poi stata fatta specifica applicazione alla situazione concreta della contribuente degli elementi temporale e territoriale, ma piuttosto un’applicazione generale e astratta, statisticamente rilevata e, perciò, non idonea a determinare l’effettiva capacità della contribuente.

Nei confronti della decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione.

La contribuente resiste con controricorso.

Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente denuncia la violazione della disciplina dell’accertamento effettuato mediante applicazione degli studi di settore; con il secondo lamenta vizio di motivazione.

Il primo motivo risponde ai requisiti prescritti dall’art. 366-bis c.p.c., mentre il secondo, con il quale si denuncia vizio di motivazione, è privo del momento di sintesi dalla stessa disposizione prescritto, ed è perciò inammissibile.

La ratio decidendi della sentenza impugnata, trascritta supra, non è conforme ai principi affermati da questa Corte, secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata. Tale procedura di accertamento costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass., sezioni unite, 18 dicembre 2009, n. 26635).

In conclusione, si ritiene, che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, e art. 380-bis c.p.c., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto il primo motivo appare manifestamente fondato, mentre il secondo è inammissibile”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, mentre il secondo va dichiarato inammissibile, la sentenza ripugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Lombardia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2011

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