Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14632 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33361-2019 proposto da:

G.M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 140, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA FEDERICI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLA PAPA;

– ricorrente –

contro

FASTWEB SPA, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati ANGELO QUARTO,

FRANCESCO ROTONDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1613/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO

CARLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1613 pubblicata il 16.4.2019, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 13199/2017) ha respinto la domanda di G.M.M., di impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli da Fastweb spa in data 19.12.2008;

2. la sentenza rescindente (Cass. n. 13199/17) ha dato atto che al G., impiegato di VII livello con mansioni di Area Manager, erano stati contestati, oltre a un calo di produttività, fatti di rilievo disciplinare consistiti: nell’avere portato sul luogo di lavoro per commercializzarli capi di biancheria intima; nell’essersi recato in due occasioni durante l’orario di lavoro presso l’esercizio commerciale gestito dalla s.r.l. Majas, della quale era socio; nell’avere timbrato in entrata il cartellino marcatempo oltre le ore 9.30 in 13 giorni, compresi tra l’11 e il 28 novembre 2008;

3. la sentenza di legittimità ha rilevato che la Corte territoriale (sentenza n. 7444/2014), escluso che fosse stato provato l’addebito relativo alla vendita di capi di abbigliamento sul luogo di lavoro, aveva tuttavia “accertato che il G., socio della s.r.l. Majas, società che gestiva un esercizio commerciale di vendita al minuto di biancheria intima, durante l’orario di lavoro, utilizzando l’autovettura aziendale, aveva raggiunto per due volte detto esercizio commerciale, dove si era trattenuto per circa 40 minuti”; i giudici di appello avevano quindi “ritenuto provato lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, come tale integrante illecito disciplinare, ma (avevano) escluso che la condotta fosse di gravità tale da giustificare il recesso perchè occorreva tener conto della “ridotta portata temporale della violazione accertata, da rapportarsi all’orario flessibile e alle mansioni mobili di impiegato direttivo”, che richiedevano la “regolare presenza presso agenzie e sedi della società dislocate sul territorio, con conseguente frequente e necessitata mobilità”;

4. la S.C., con la sentenza 13199/17, ha ritenuto integrato il vizio di violazione di legge, sub specie di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, osservando che la Corte territoriale aveva errato nel sostenere che “un comportamento illecito ridotto temporalmente”, dal quale non era derivato un pregiudizio concreto per il datore di lavoro, fosse per ciò solo inidoneo a ledere il vincolo fiduciario, potendo tale effetto ricondursi a qualsiasi condotta capace di porre in dubbio il corretto futuro adempimento della prestazione, dovendo ulteriormente esigersi il rispetto dei canoni di correttezza e buona fede da parte di chi, in ragione della qualifica posseduta, svolge la prestazione al di fuori della diretta sfera di controllo di parte datoriale; la S.C. ha poi puntualizzato che l’obbligo di fedeltà impone al dipendente di astenersi anche da qualsiasi condotta astrattamente idonea a ledere gli interessi del datore di lavoro e che “lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, seppure in un settore non interferente con quello curato dal datore, è astrattamente idoneo a ledere gli interessi di quest’ultimo, se non altro perchè le energie lavorative del prestatore vengono distolte ad altri fini e, quindi, finisce per essere non giustificata la corresponsione della retribuzione che, in relazione alla parte commisurata alla attività non resa, costituisce per il datore un danno economico e per il lavoratore un profitto ingiusto”;

5. la Corte d’appello in sede di rinvio, uniformandosi ai principi di diritto riaffermati dalla sentenza rescindente e sulla base delle circostanze di fatto pacificamente accertate, ha ritenuto che “l’avere svolto attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, seppure in un settore estraneo a quello del datore di lavoro, avuto riguardo al ruolo posseduto e all’affidamento richiesto per l’espletamento di tale ruolo, costituisce comportamento grave, idoneo a ledere gli interessi del datore”. Ha tenuto conto anche del danno economico cagionato al datore dalla corresponsione della retribuzione pure per il periodo in cui il dipendente aveva svolto attività lavorativa per conto proprio ed ha concluso che tutti gli elementi considerati fossero idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario ed a sorreggere la giusta causa di recesso;

6. avverso tale sentenza G.M.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Fastweb spa ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria;

7. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

8. col primo motivo di ricorso è dedotta violazione dei limiti del giudizio di rinvio, del principio di intangibilità del giudicato e dei limiti del devoluto; si sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe dovuto tenere conto delle contestazioni relative alla mancata timbratura del cartellino entro un dato orario e della presunta commercializzazione di biancheria intima nei locali aziendali, in quanto dedotti dalla società col primo motivo di ricorso per cassazione dichiarato inammissibile;

9. il motivo non può trovare accoglimento atteso che la Corte di merito si è rigorosamente attenuta ai limiti del giudizio di rinvio;

10. al riguardo si è precisato che “In ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità” (Cass. n. 20981 del 2015; n. 17353 del 2010);

11. nel caso di specie, la sentenza emessa in sede di rinvio ha fondato la decisione sul presupposto di un accertamento in fatto relativo all’essersi il G., durante l’orario di lavoro ed utilizzando l’autovettura aziendale, recato presso l’esercizio commerciale di vendita al minuto di biancheria intima, gestito da una società di cui il medesimo era socio, e di essere ivi rimasto ogni volta per circa quaranta minuti; gli elementi presi in esame ai fini della valutazione della giusta causa di recesso non includono gli altri fatti contestati e ritenuti non dimostrati, quali la presunta vendita di biancheria intima presso i locali aziendali di parte datoriale e la timbratura del cartellino ripetutamente effettuata oltre le 9.30;

12. col secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa, apparente o contraddittoria motivazione circa l’applicazione del principio di diritto alla fattispecie concreta; si assume come manchi nella motivazione della sentenza l’esplicitazione del nesso causale tra la condotta, cioè l’esercizio di attività in proprio con utilizzo della macchina aziendale, ed il venir meno del rapporto fiduciario tra le parti nonchè il nocumento economico per l’azienda datrice di lavoro;

13. il motivo non può trovare accoglimento in ragione dell’applicabilità del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che limita il sindacato di legittimità sulla motivazione al minimo costituzionale, con la conseguenza che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di qualsiasi rilievo del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., S.U., n. 8053/14);

14. nel caso di specie non si è in presenza di un vizio “così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, dal momento che la motivazione non solo è formalmente esistente come parte del documento, ma le argomentazioni sono svolte in modo assolutamente coerente, sì da consentire di individuare con chiarezza la “giustificazione del decisum”;

15. sulla falsariga dei principi enunciati dal giudice di legittimità, la Corte d’appello ha valorizzato, da un lato, il maggior onere di correttezza e buona fede connesso al ruolo manageriale svolto dal G. e quindi l’affidamento riposto dal datore attraverso l’ampio margine di autonomia al medesimo concesso nello svolgimento della prestazione; dall’altro, il tradimento di tale fiducia attraverso la condotta tenuta dal dipendente di uso dell’auto aziendale e del tempo di lavoro per soddisfare interessi privati, legati alla gestione del negozio di biancheria intima tramite società di cui il predetto era socio; da tali elementi ha logicamente tratto la conseguenza della lesione del rapporto fiduciario;

16. col terzo motivo è dedotta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 363 c.p.c. e degli artt. 2015, 2016, 1376 e 1176 c.c. (rectius, artt. 2105,2106,1375 e 1175 c.c.);

17. si sostiene che il vizio di motivazione comporti la violazione delle disposizioni normative sottese ai principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione; si denuncia come illegittima l’attività investigativa svolta dall’investigatore A. incaricato dalla società, e come inattendibile la testimonianza dal medesimo resa e relativa alla presenza dell’attuale ricorrente presso il negozio Liguero Lingerie; si assume che la sentenza impugnata non ha analizzato la condotta addebitata al dipendente secondo i criteri indicati nella sentenza rescindente; si afferma che la posizione contrattuale non imponeva al predetto orari predeterminati e che era autorizzato l’uso personale del veicolo aziendale; inoltre che il rapporto fiduciario non può ritenersi condizionato solo dalla circostanza che il dipendente, in due giorni, abbia sostato presso un’attività commerciale per pochissimo tempo e che la società non ha neppure dimostrato alcun pregiudizio economico a ciò connesso, risultando pertanto non valutato e motivato il giudizio di proporzionalità tra condotta e sanzione irrogata;

18. il motivo è inammissibile nella parte in cui fa riferimento alla valutazione delle prove raccolte nel giudizio di merito (testimonianza di A.) oppure solleva questioni (illegittimità delle indagini investigative) che risultano del tutto nuove e di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata e in quella rescindente; il ricorrente omette di indicare se, in che termini e in quali atti processuali del giudizio di merito, che avrebbe dovuto trascrivere, tali questioni erano state poste;

19. nella restante parte, le critiche mosse sono dirette a proporre un diverso apprezzamento dei dati fattuali, e come tali rimangono confinate nell’ambito del merito, non suscettibile di revisione in questa sede di legittimità, se non nel perimetro segnato dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

20. per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto;

21. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

22. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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