Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14631 del 11/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14631 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: STILE PAOLO

SENTENZA
sul ricorso 8909-2009 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A.

01585570581,

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAllA DELLA CROCE
ROSSA 1, presso lo studio dell’avvocato SERICA
GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO
2013

FANFANI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

701

contro

COMPARINI CRISTINA CMPCST64C48D612U,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TAZZOLI 2, presso lo studio

Data pubblicazione: 11/06/2013

dell’avvocato DONATONE BRUNO, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati BRASCHI GIANLUCA,
MANINI EMANUELA, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1442/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO
STILE;
udito l’Avvocato FANFANI PAOLO;
udito l’Avvocato MANGANO ROSALIA per delega MANINI
EMANUELA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di FIRENZE, depositata il 24/10/2008 r.g.n. 733/07;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 24.4.2007 Rete Ferroviaria Italiana (R.F.I.) S.p.A
proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Firenze del 5/13 dicembre
2006, che aveva accertato come non ripetibile, da parte della stessa società,
l’importo di euro 4.856,21, quale quota contributiva a carico della dipendente,
Cristina Comparini, per il periodo 1.9.1992 — 3.1.1994, ed aveva condannato

R.F.I. S.p.A. a restituire alla prima detto importo, oltre interessi legali dal
6.2.2002.
Al riguardo, l’appellante contestava la tesi accolta dal Tribunale secondo la quale,
a distanza di anni, il datore di lavoro inadempiente non aveva facoltà di ripetere
dal lavoratore le somme retributive non trattenute in busta paga a causa della
irregolarità del rapporto.
Più in particolare, R.F.I. S.p.A. negava che l’art. 23 legge n. 218 / 1952 avesse
stabilito un principio generale e deduceva che, nel campo ferroviario, vigeva una
disciplina speciale non derogata.
Concludeva chiedendo la integrale riforma della sentenza di primo grado e il
rigetto della domanda di accertamento avanzata dalla Comparini in primo grado.
Sotto altro profilo, R.F.I. S.p.A. reiterava la domanda nei confronti dell’ INPS
affinché, per il periodo successivo al 5.2.1988, fossero giudicati utili tutti i
contributi versati comunque sulla posizione assicurativa della sig.ra Comparini a
prescindere dal fatto che — all’epoca – costei risultasse dipendente formalmente
di un’ impresa appaltatrice di lavori ferroviari.
Sul punto, chiedeva quindi che, seppure dal 5.2.1988Afla lavoratrice doveva essere
considerata dipendente delle Ferrovie ( in forza di giudicato) , i contributi dovuti
da R.F.I S.p.A. fossero calcolati in base a quanto già risultava accreditato alla
Comparini alla stregua dei versamenti eseguiti dall’apparente datore di lavoro.
Pertanto, l’appellante chiedeva che la sentenza impugnata fosse riformata anche
nella parte in cui aveva giudicato inammissibile una siffatta pretesa.
La Comparini si costituiva resistendo al gravame, dichiarandosi, peraltro,
l

indifferente alla controversia tra R.F.I. e l’INPS.
Con sentenza del 21-24/10/2008, l’adita Corte d’appello di Firenze rigettava il
gravame della società e dichiarava improcedibile quello proposto nei confronti
dell’ INP S .
A sostegno della decisione osservava che –come ritenuto dal primo Giudice- il
principio fissato dall’art. 23 1. 4.4.1952 n. 218, aveva carattere generale

nell’ordinamento previdenziale in quanto espressione di un elementare principio
di buona fede e correttezza nell’attuazione del contratto di lavoro, mentre, non
avendo la società appellante provveduto alla notifica dell’appello all’INPS, il
relativo gravame doveva dichiararsi improcedibile.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la R.F.I. con due articolati motivi.
Resiste Cristini Comparini con controsricorso.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente puntualizzato, a maggior chiarimento delle censure mosse
alla impugnata decisione, che Cristina Comparint risulta essere dipendente delle
Ferrovie dal 5.2.1988 in forza di sentenza pretorile 6.4.1993, passata in giudicato,
che, fra l’altro, ha accertato la violazione dell’art. 1 legge 23.10.1960, n. 1369, da
parte delle F.S., che avevano illecitamente appaltato mere prestazione di
manodopera a tale società Bucalossi Walton e figli S.p.A.
Pertanto, le Ferrovie — ora Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.-, per quanto concerne
la posizione della Comparini, hanno dovuto ricostruire il rapporto riguardante
quest’ultima sul piano retributivo e contributivo.
La controversia si incentra sull’asserito e contestato diritto del datore di lavoro di
recuperare dalla lavoratrice la somma di euro 4.856,21, quale quota a carico della
dipendente,non trattenuta dal datore di lavoro nel periodo 1.9.1992-3.1.1994.
La trattenuta contributiva non fu operata dall’ Ente FS di allora in quanto detto
ente ricorreva ad appalti vietati di manodopera e, pertanto, non compariva come
reale datore di lavoro della Comparini.
A giudizio della Corte d’appello, così come quello del Giudice di primo grado, a

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distanza di anni non poteva R.F.I. recuperare le mancate trattenute contributive
dalla lavoratrice, allegando a proprio vantaggio la già ricordata situazione di
illiceità, ostandovi il principio di carattere generale, fissato dall’art. 23, 1° comma,
1. n. 218/1952, a tenore del quale ” Il datore di lavoro che non provvede al
pagamento dei contributi entro il termine stabilito o vi provvede in misura
inferiore alla dovuta è tenuto al pagamento dei contributi e delle parti di

contributo non versate tanto per la quota a proprio carico quanto per quella a
carico dei lavoratori, … .
Orbene, con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia insufficiente
motivazione in ordine all’applicazione dell’art. 23 L. n. 218/1952 anziché del
regime speciale, di cui al DPR n. 1032/1973 ed art. 25 L. 42/1979 (art. 360 n. 5
c.p.c.), mentre con il secondo denuncia la violazione e falsa applicazione della
richiamata normativa ex art. 360 n. 3 c.p.c., dovendo, nella specie, trovare
applicazione “il regime contributivo e previdenziale della previdenza dei
ferrovieri”. Lamenta, inoltre —sempre con il secondo motivo-, che la Corte
d’appello non abbia tenuto conto che, “nei rapporti di lavoro che hanno subito la
novazione ex lege di cui all’art. 1 1. n. 1369 del 1960 per avvenuto accertamento
di una intermediazione illecita, il versamento dei contributi operato dalle aziende
appaltatrici (interposte) sono utili e satisfattive ad ogni effetto degli obblighi
contributivi sopravvenuti in capo all’appaltante (interponente) e non possono
essere considerati casi di “omissione contributiva” ai sensi dell’art. 23,1egge
n°218 del 1952″.
Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è privo di fondamento, in
quanto la disciplina legislativa invocata dalla società ricorrente a sostegno del
proprio assunto, volto ad escludere l’applicabilità alla fattispecie concreta del
principio fissato dall’art. 23 legge n. 218/1952, non conduce ai risultati dalla
stessa auspicati.
Ed invero, rammentato che il Fondo Pensioni del Personale delle Ferrovie dello
Stato venne istituito con la legge n. 418(va rilevato che gli artt. 210 e 211 del
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d.P.R. n. 1092 del 1973, richiamati dalla società, si limitano individuare le entrate
del Fondo, ed elencano le ritenute a carico dei lavoratori iscritti,. Dette
disposizioni sono inserite nel ‘Testo «nico delle norme sul trattamento di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato” ed incluse, più
specificamente / nella “Parte terza — Trattamento di quiescenza del Personale
dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato”.

Analogamente, la legge n. 42 del 1979, avente quale suo oggetto “Nuove norme
su inquadramento, ordinamento organico, stato giuridico e trattamento economico
del personale dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato”, fa riferimento
alle Ferrovie sempre in quanto “Azienda Autonoma”.
Non sembra poi fuori luogo aggiungere che, in materia di appalto di mano
d’opera, originariamente l’art. 8, primo comma, della legge n. 1369 del 1960
esonerava l’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato dall’osservanza diretta
dell’art. 1, prevedendo future norme in materia, da emanare con decreto
presidenziale. Questo, emesso l’anno successivo (d.P.R. 22 novembre 1961 n.
1192), pur confermando nell’art. 1, primo comma, il divieto di cui all’art. 1 della
legge n. 1369, non raffermò — secondo l’interpretazione offerta da Corte Cost. n.
191/1992- la sanzione contenuta nel quinto comma, escludendo, per ciò stesso,
che i prestatori assunti in violazione del divieto venissero considerati alle
dipendenze dell’Amministrazione pubblica.
Da questa interpretazione, seguita dalle Sezioni Unite di questa Corte con
sentenza n. 2517/1997, discende che, fintanto che il decreto presidenziale è
rimasto in vigore, vale a dire fino al 5 febbraio 1988 – data in cui, scaduto il
regime transitorio di cui all’art. 21 L. 17 maggio 1985 n. 210, è subentrato il
regime privatistico dei rapporti di lavoro dell’Ente ferrovie dello Stato – l’effetto
legale previsto nel quinto comma dell’art. 8 L. n. 1369 non è stato operante,
applicandosi invece nel periodo successivo al 5 febbraio 1988 e per quei casi in
cui i lavoratori risultassero formalmente dipendenti di imprese appaltatrici di mere
prestazioni di lavoro, rendendo però 9d effettivamente la loro attività direttamente
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a vantaggio dell’Ente.
In questo contesto normativo risulta del tutto coerente la pronuncia della Corte di
Firenze che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società appellante, ha
ritenuto che il principio fissato dall’art. 23 legge 4.4.1952, n. 218, avendo
carattere generale nell’ordinamento previdenziale, per essere, a sua volta,
espressione dli5i=h1DtMe principio di buona fede e correttezza nell’attuazione

del contratto di lavoro, dovesse trovare applicazione ad un rapporto lavorativo
ormai del tutto provvisto di connotati privatistici.
Né è ravvisabile un contrasto tra siffatta interpretazione e l’art. 2115 c.c.
Osserva, infatti, la società ricorrente, che il rinvio che l’art. 2115 c.c., opera alla
disciplina speciale riguarda esclusivamente il regime della recuperabilità del
credito, ma non anche il diritto sostanziale alla rivalsa, che sarebbe regolato
esclusivamente dal codice civile, per avere i rinvii alla legislazione speciale una
funzione soltanto complementare.
Invero —come puntualizzato da questa Corte in analoghe occasioni (cfr. Cass. n.
6848/2009)- il combinato disposto della L. n. 218 del 1952, artt. 19 e 23, delinea il
regime giuridico di due distinte fattispecie, la prima delle quali ha ad oggetto
l’ipotesi – normale e fisiologica – del pagamento della contribuzione alla scadenza
del periodo di paga, la seconda – quella patologica – dell’omissione del pagamento
o dell’adempimento tardivo, facendone derivare conseguenze rilevanti in punto di
responsabilità del datore di lavoro: nella prima ipotesi, la legge garantisce al
datore di lavoro (che viene ad operare come mero adiectus solutionis causa nei
confronti dell’ente creditore) il diritto a trattenere “il contributo a carico del
lavoratore.., sulla retribuzione corrisposta.., alla scadenza del periodo di paga cui il
contributo si riferisce”, laddove, nella seconda, il datore di lavoro resta “tenuto al
pagamento dei contributi o delle parti di contributi non versate, tanto per la quota
a proprio carico che per la quota a carico del lavoratore”.
La concentrazione in via definitiva del debito contributivo in capo al datore di
lavoro (secondo un principio acquisito nella legislazione previdenziale già con il
R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 111, in materia di assicurazioni obbligatorie) appare

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l’evidente elemento distintivo delle situazioni tipizzate dal legislatore attraverso
disposizioni che risulterebbero prive di alcuna concreta utilità normativa ove l’art.
23 si limitasse a confermare quanto già previsto nell’art 19, trascurando che l’art.
19 qualifica il datore di lavoro come “responsabile del pagamento” dei contributi,
contestualmente regolando il diritto di ritenzione a favore dello stesso, laddove
l’art. 23 prevede che il datore di lavoro “è tenuto al pagamento” per l’intero, senza

null’altro aggiungere. Così realizzandosi una coerente simmetria tra diversità di
presupposti e diversità di effetti, che rende ragione della distinta individualità
delle previsioni normative in relazione all’imputabilità (o antigiuridicità) del
comportamento del datore di lavoro, che ne costituisce la ratio giustificatrice.
E tanto più se si considera che l’azione di rivalsa si inserisce, comunque,
nell’ambito del sistema previdenziale, restando qualificata dai suoi fini e dai suoi
scopi di tutela, per cui non si vede come, in virtù di una asserita prevalenza della
norma “civilistica”, si possano escludere effetti (come la concentrazione del debito
contributivo) rispetto ai quali la norma speciale – alla prima pariordinata – è
sicuramente abilitata.

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Giusto al fine di evitare (per come correttamente avverte Cass. n. 5916/1998) che,
in conseguenza dell’inadempimento del datore di lavoro, venga riversato sul
lavoratore il pagamento delle somme arretrate, il cui livello si accresce per il
tempo dell’inadempimento, assumendo proporzioni apprezzabili e direttamente
proporzionali al perdurare dell’inadempimento del soggetto obbligato. Quel che,
piuttosto, deve ribadirsi è come – a fronte di un comportamento antigiuridico del
datore di lavoro (che omette o ritarda il pagamento dei contributi) – vada
riconosciuta la possibilità per lo stesso di dimostrare l’impossibilità di adempiere
la prestazione dovuta per causa non imputabile (cfr. Cass. n. 5916/1998; Cass. n.
4399/1988), senza nemmeno la necessità di configurare nella concentrazione del
debito contributivo una pena privata (così Cass. n. 8800/2008), secondo una
prospettiva che appare, in realtà, eccedente la struttura della fattispecie, nella
quale rileva essenzialmente un inadempimento colpevole, valutabile secondo i
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rimedi comuni (Cass. n. 6448/2009, cit.).
Contraddittoria e, come tale, priva di fondamento, è poi l’affermazione della
ricorrente secondo cui il versamento dei contributi operato dalle aziende
appaltatrici (interposte ) sarebbe utile e satísfattivo ad ogni effetto degli obblighi
contributivi su di essa gravante, se sol si considera che la stessa R.F.I. assume di
avere già soddisfatto l’obbligazione.
Il

ricorso proposto, per le considerazioni sin qui esposte, è quindi infondato e

va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio,
liquidate in C 50,00 ed in C 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge.
Roma, 26 febbraio 2013.

•”,

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