Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14630 del 14/07/2015
Civile Sent. Sez. 3 Num. 14630 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO
SENTENZA
sul ricorso 10994-2012 proposto da:
RECCHIUTI ANTONIETTA RCCNNT62H66H501M, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA A. CHINOTTO 1, presso lo
studio dell’avvocato LILIA GRENGA, che la rappresenta
e difende giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente –
2015
contro
180
ENTE ISTITUTI FISIOTERAPICI OSPEDALIERI DI ROMA, in
persona
del
Direttore
Generale,
legale
rappresentante, dottor LUCIO CAPURSO, elettivamente
Data pubblicazione: 14/07/2015
domiciliato in ROMA, V.LE MARESCIALLO PILSUDSKI 118,
presso lo studio dell’avvocato ANTONIO STANIZZI, che
lo rappresenta e difende giusta procura speciale in
calce al controricorso;
controricorrente –
POMPILI ALFREDO PMPLRD51S27H501B, INA ASSITALIA SPA
00409920584;
– intimati –
Nonché da:
INA ASSITALIA SPA 00409920584, in persona del
procuratore avvocato MATTEO MANDO’, POMPILI ALFREDO
PMPLRD51S27H501B, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CRISTOFORO COLOMBO 440, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCO TASSONI, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FRANCO TASSONI giusta
procura speciale a margine del controricorso e
ricorso incidentale;
– ricorrenti incidentali contro
RECCHIUTI ANTONIETTA RCCNNT62H66H501M, ENTE ISTITUTI
FISIOTERAPICI OSPEDALIERI DI ROMA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 262/2012 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 17/01/2012, R.G.N. 6781/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
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nonchè contro
udienza del 21/01/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato LILIA GRENGA;
udito l’Avvocato ANTONIO STANIZZI;
udito l’Avvocato FRANCESCO TASSONI;
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale, assorbito il
ricorso incidentale.
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udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
I FATTI
Antonietta Recchiuti convenne dinanzi al Tribunale di Roma
l’I.F.O. (Istituti Fisioterapici Ospedalieri di Roma) e il prof.
Alfredo Pompili, esponendo:
che, il 10 ottobre 1003, aveva appreso – a seguito di
affetta da microadenoma ipofisiario nella emiporzione destra
della ghiandola, con conseguente galattorrea e alterazione
del ciclo mestruale;
– che la patologia era stata seguita dai sanitari dell’ospedale
“Regina Elena”, facente capo all’IFI, e che
i
medici del
reparto di neurochirurgia del detto nosocomio, nella
prospettiva (da lei rappresentata) di una seconda gravidanza,
le avevano consigliato di sottoporsi ad un intervento di
escissione del microadenoma;
– che il 12 gennaio del 1994, era stata ricoverata presso il
predetto ospedale, dove il prof. Pompili aveva eseguito
l’interevento consistito nella asportazione transfenoidale
del microadenoma, per essere poi dimessa il successivo 29
gennaio;
– che nelle relazioni di dimissione (una a firma del dott.
Oppido, l’altra del Pompili) veniva già evidenziata
l’insorgenza post-operatoria di un diabete insipido;
– che i disturbi persistevano e si aggravavano, con l’aggiunta
della comparsa di una tireopatia,
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come certificato nella
risonanza magnetica effettuata presso la USL – di essere
cartella clinica del policlinico Umberto I, dove ella avrebbe
poi dato alla luce la seconda figlia;
– che il 6 giugno 1996, a seguito di una crisi tetanica, venne
ricoverata presso il policlinico, per essere dimessa con una
diagnosi di recidiva di microadenoma, tiroidite cronica e
ricovero presso l’ospedale S.Eugenio del 2 aprile 1997);
– che il 3 dicembre 1997 si era dovuta sottoporre a visita
psichiatrica, all’esito della quale le veniva diagnosticata
una
marcata
sindrome
depresso-ansioso-reattiva
con
persistenti spunti fobici;
– che tutti i postumi invalidanti erano da ascrivere, a giudizio
del proprio consulente medico-legale, all’errore compiuto dal
sanitario nell’esecuzione dell’intervento chirurgico, non
essendo stato completamente asportato il microadenoma, mentre
era stata lesa una parte di tessuto sano;
– che, sotto il profilo del consenso informato, ella non era
stata
avvertita
di
tutte
le
possibili
conseguenze
dell’intervento chirurgico, e non aveva pertanto maturato,
prima di esprimere il proprio consenso,
una piena
consapevolezza dei rischi dell’operazione, anche perché il
chirurgo aveva definito – in un’intervista rilasciata alla
stampa cittadina – l’approccio chirurgico eseguito “a rischio
zero”.
Tanto premesso, l’attrice chiese il risarcimento di tutti i danni
subiti, biologico
(nella misura del 35%),
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e patrimoniale,
iperprolattinemia (come confermato a seguito di un successivo
conseguente alla forzata cessazione dell’attività commerciale di
profumeria da lei esercitata e forzosamente dismessa con la
cessione dell’azienda.
Il giudice di primo grado accolse la domanda.
La corte di appello di Roma, riformando
in toto
la pronuncia,
con appello incidentale I.F.I.-, rigettando la domanda
risarcitoria .
Per la cassazione della sentenza della Corte capitolina ricorre
Antonietta Recchiuti sulla base di 2 motivi di censura illustrati
da memoria.
Resiste
con
controricorso,
proponendo ricorso
incidentale
illustrato da memoria, L’Ina-Assitalia, compagnia assicuratrice
dell’IFI, che resiste a sua volta con controricorso.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti.
Essi sono entrambi infondati.
Con £1 primo motivo del ricorso principale,
errata motivazione su di un punto
relativo alla
responsabilità del
si denuncia
decisivo
omessa ed
della controversia,
prof. Alfredo Pompili per
imperizia, imprudenza o negligenza nell’esecuzione dell’atto
operatorio con riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c..
Il motivo – che lamenta l’erroneità della sentenza impugnata sotto
il profilo della affermata assenza di colpa nella condotta del
sanitario – è infondato.
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accolse il gravame proposto dal dott. Pompili – cui aveva aderito
Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale
adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto, in
consonanza con le risultanze degli accertamenti peritali, che, pur
trovandosi la patologia lamentata dalla signora Recchiuti in
indiscutibile rapporto causale con l’intervento, era del tutto
dell’operatore, a carico del quale non erano emerse note di
imperizia, imprudenza o negligenza, ed al quale non erano altresì
ascrivibili errori tecnici nell’esecuzione dell’operazione, mentre
la stessa scelta del trattamento era stata compiuta in conformità
con le metodiche stabilite dalla prassi e dalla scienza medica
dell’epoca.
Così motivando, il giudice territoriale ha fatto buon governo dei
principi di diritto più volte affermati,
in sublecta materia,
da
questa Corte regolatrice in tema di rapporti tra nesso di causa e
colpa medica, a mente dei quali (per tutte, Cass. 21619/2007) il
nesso causale rappresenta la misura della relazione probabilistica
concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra
comportamento e fatto dannoso
(quel
comportamento e
quel
fatto
dannoso) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma
violata, mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri di
avvedutezza comportamentale (o, se si vuole, di previsione e
prevenzione, attesa la funzione anche preventiva della
responsabilità civile, che si estende sino alla previsione delle
conseguenze a loro volta normalmente ipotizzabili in mancanza
inconfigurabile, nella specie, qualsiasi condotta colposa
tale avvedutezza) va più propriamente ad iscriversi nella diversa
dimensione soggettiva (la colpevolezza) dell’illecito.
Posto in rapporto causale l’evento di danno lamentato e il suo
antecedente logico costituito dal comportamento dell’agente,
correttamente la Corte capitolina ha mandato esente da
disamina del secondo elemento strutturale dell’illecito (nella
specie, contrattuale), costituito dalla condotta colpevole,
qualificazione del tutto esclusa, con motivato apprezzamento
(fondato sulle altrettanto motivate indagini medico-legali) che si
sottrae del tutto a qualsivoglia censura in questa sede.
Con il secondo motivo del ricorso principale,
si
denuncia
omessa
ed errata motivazione su di un punto decisivo della controversia,
5
relativo al consenso informato, con riferimento all’art. 360 n.
c .p.c..
Il motivo non può essere accolto.
Parte ricorrente, premesso che la Corte di appello,
in
applicazione dei principi di diritto in materia di consenso
informato affermati da questo giudice dì legittimità con la
sentenza n. 2847 del 2010, ha evidenziato che l’accertata
correttezza dell’esecuzione dell’intervento non aveva decisivo
rilievo ai fini di un eventuale illecito per violazione
dell’obbligo di informare adeguatamente la paziente, ma che la
eventuale responsabilità del sanitario per il danno derivato
dall’intervento correttamente eseguito presuppone che il paziente,
ove adeguatamente informato, non si sarebbe sottopost
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responsabilità il sanitario all’esito della (separata e autonoma)
all’intervento stesso, lamenta che erroneamente la stessa Corte
abbia escluso l’esistenza in atti di una specifica allegazione, di
parte attrice, della circostanza secondo cui, se adeguatamente
informata sulle probabilità di insuccesso e sulle possibili
complicanze dell’intervento, ella non avrebbe espresso il proprio
Riporta, all’uopo, in ossequio al principio di autosufficienza del
ricorso, le indicazioni rilevanti in parte
qua
relative alla
doglianza di mancata prestazione del consenso (p. 4 dell’atto di
citazione: “non vi è traccia del consenso informato all’intervento
chirurgico”; memoria ex art.
del
184 vecchio rito: ”
anche nel mancato consenso informato
sanitario si riscontra
note critiche alla CTU:
dell’intervento chirurgico”;
“comportamento
deontologico pre-operatorio non corretto per non
aver fornito alla paziente
rischi”,
stata
grave negligenza
una
del
adeguata rappresentazione
aggiungendo che la stessa comparsa conclusionale era
“interamente impostata sulla mancata acquisizione del
consenso informato”).
Il motivo, benché fondato nella parte in cui lamenta un
iuris
error
in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nel negare
l’esistenza di una tempestiva doglianza, sollevata da parte
dell’attrice, relativa alla mancanza di consenso informato, non
può essere accolto.
La pronuncia impugnata si fonda, difatti, su di una duplice e
autonoma
ratio decidendí:
la prima, relativa alla (erroneamente
presunta da parte del giudice di appello) mancata allegazione
9
i(
consenso.
una
causa petendi
fondata sulla mancanza di consenso (e tale
motivazione va corretta mediante la sua espunzione dalla sentenza
impugnata), la seconda, basata sul mancato assolvimento del
relativo onere probatorio da parte della
paziente, e
sull’esistenza, in contrario, di fondate presunzioni secondo le
indotto quest’ultima ad astenersi dall’intervento.
Tanto il mancato assolvimento, nella specie, dell’onere probatorio
– gravante sul paziente che lamenta la mancanza di informazione -,
quanto l’esistenza di obbiettive circostanze che deponevano, nella
specie, in senso contrario a quello (peraltro soltanto declamato)
con il motivo di ricorso in esame, e cioè la necessità di
rimozione dell’adenoma conseguente alla ferma volontà espressa
dalla donna di portare a compimento una nuova gravidanza,
correttamente motivate dal giudice territoriale, non risultano
espressamente impugnate dinanzi a questa Corte.
Non potendosi ritenere
(Cass.
2847/2010,
cit.)
interamente
adempiuto l’onere di allegazione inerente ad una domanda
risarcitoria avente ad oggetto il danno da mancata informazione
con la semplice menzione del fatto, senza precisare e dimostrare
la rilevanza causale dell’omissione ai fini della corretta
formazione di una volontà in senso contrario (come è avvenuto nel
caso di specie), la motivazione della sentenza si sottrae, in
parte qua,
alle critiche mossele.
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quali anche una completa e corretta informazione non avrebbe
Con
l’unico motivo del
denuncia
ricorso incidentale,
l’Ina-Assitalia
violazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa errata e
contraddittoria motivazione su di un punto decisivo.
La censura è infondata.
La Corte di appello ha correttamente dichiarato inammissibile la
ricorrente incidentale nei confronti dell’avv. Lilia Grenga, non
essendo quest’ultima parte del processo, con statuizione che va in
questa sede confermata.
Le spese del giudizio possono essere nuovamente compensate in
questa sede con riguardo alla reciproca soccombenza, oltre che per
le medesime ragioni addotte dal giudice di appello e non
espressamente censurate dinanzi a questa Corte.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi.
Spese compensate.
Così deciso in Roma, li 21.1.2015
domanda di restituzione della somma di 23.792 euro proposta dalla