Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14630 del 13/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 13/06/2017, (ud. 22/02/2017, dep.13/06/2017),  n. 14630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14692/2015 proposto da:

TARANTO MACCHINE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante Liquidatore pro tempore sig. S.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 19, presso lo

studio dell’avvocato MARTINELLI STUDIO LEGALE, rappresentata e

difesa dagli avvocati VINCENZO DI PONZIO, ARTURO TENNA giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.R., CA.RO., C.E., C.S.,

C.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TUSCOLANA,

1120, presso lo studio dell’avvocato ALESSIA IOSSA, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIUSEPPE D’AGOSTINO giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 23/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

TARANTO, depositata il 02/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/02/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I fratelli C., in qualità di eredi di C.P., locatori, convennero dinanzi il Tribunale di Taranto la Taranto Macchine s.r.l., conduttrice, rappresentando che la stessa aveva sublocato ad un terzo un capannone di loro proprietà, in violazione della clausola n. 5 del contratto che vietava la sublocazione. Chiedevano, pertanto, la risoluzione del contratto per inadempimento.

Costituendosi in giudizio, la Taranto Macchine s.r.l. riferì di aver acquistato i capannoni, con i relativi diritti di superficie, dalla precedente conduttrice dell’immobile, società Samir r.l. che li aveva realizzati, e formulò domanda riconvenzionale volta ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente pagate per l’incremento Istat.

Il Tribunale di Taranto, con sentenza del 24/04/2014, accolse la domanda di risoluzione, condannò la convenuta al rilascio dell’immobile, rigettò la domanda riconvenzionale, disponendo sulle spese.

La Taranto Macchine s.r.l. ha proposto appello, si sono costituiti C.S., Ro., F., R. ed E. quali eredi di C.P., nonchè C.S.M. e P.A..

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza depositata in data 02/03/2015, acclarata la mancanza in atti di elementi che potessero far ritenere il diritto di proprietà dell’appellante sul capannone locato, ha accertato che il contratto vigente tra le parti fosse di locazione e che la Taranto avesse sub-locato detto bene ad una società terza, la Global Marketing s.r.l.; ha altresì accertato che non fosse stato acquisito dalla Taranto Macchine alcun diritto di superficie dalla precedente locataria, in mancanza di prova scritta del diritto; ha rigettato, pertanto, l’appello, condannando l’appellante alle spese del grado.

Avverso detta sentenza la Taranto Macchine s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

Resistono Ca.Ro., S., F., E. e R. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società denuncia l’errata applicazione dell’art. 1594 c.c., per aver ritenuto sussistente la presunta “sublocazione”, in assenza del presupposto necessario costituito dal contratto di locazione del capannone n. 3.

Il motivo è inammissibile perchè sollecita una diversa interpretazione del contratto, senza indicare i canoni ermeneutici violati e senza trascrivere il contratto stesso.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte l’indagine ermeneutica è, in fatto, riservata al giudice del merito, ed è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà delle parti che si traduca in una mera prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva (Cass., 3, 10/2/2015 n. 2465; Cass., 3, 26/5/2016 n. 10891).

Con il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione “dell’art. 2696 c.c.” – (rectius art. 2697 c.c.) – per non avere gli attori ottemperato all’onere di contrastare con supporti probatori l’eccezione di carenza di legittimazione attiva e per non aver fornito alcuna prova della proprietà, in capo ad essi, del capannone oggetto della presunta sublocazione.

Il motivo è inammissibile in quanto volto ad un riesame del merito. In materia di apprezzamento delle prove la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che essa spetta al giudice del merito, con l’unico limite di un’adeguata e logica motivazione, certamente presente nella impugnata sentenza.

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1455 c.c., per aver considerato sussistente a) la presunta inosservanza del divieto contrattuale, b) la conseguente inadempienza di detta inosservanza, c) la “gravità” della stessa inadempienza nell’accezione giuridica e lessicale della stessa.

Anche questo motivo è inammissibile perchè privo di censure logico – giuridiche contrapposte a quelle della sentenza impugnata.

Con il quarto motivo di ricorso denuncia l’errata applicazione di norma di legge, in riferimento alla dichiarazione di inammissibilità della domanda riconvenzionale il cui rigetto da parte del Tribunale è stato ritualmente impugnato con l’atto di appello.

Anche questo motivo è inammissibile perchè si limita a denunciare una generica doglianza senza sottoporre a critica vincolata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza che aveva dichiarato inammissibile l’accoglimento della riconvenzionale spiegata in prime cure per mancata impugnazione della decisione di rigetto della stessa, operata dal Tribunale, per mancata prova dei fatti posti a fondamento della domanda.

Con il quinto motivo di ricorso la società denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., combinato con l’art. 92 c.p.c., relativa alla condanna alle spese del secondo grado nonostante la particolarità della vicenda come già evidenziato dal Tribunale in primo grado.

Il motivo è infondato perchè le spese seguono la soccombenza.

Con il sesto motivo di ricorso denuncia l’inapplicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per insussistenza del presupposto richiesto.

La censura è inammissibile perchè l’accertamento del presupposto per il raddoppio del contributo unificato è un atto dovuto e non un giudizio, sicchè esso non è impugnabile.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.000 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’ulteriore somma a titolo di contributo unificato, pari a quella versata per il ricorso principale ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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