Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14626 del 13/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 13/06/2017, (ud. 08/02/2017, dep.13/06/2017),  n. 14626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21829/2015 R.G. proposto da:

Centro Polidiagnostico Sacro Cuore s.r.l. in liquidazione, in persona

del liquidatore pro tempore S.G., rappresentato e difeso

dall’avvocato Michele Accardo, domiciliato ex lege presso la

cancelleria;

– ricorrente –

contro

Gestione Immobili e Servizi s.r.l. (già Commerciale Siderurgica

s.r.l.), in persona del rappresentante legale pro tempore

G.G., rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Fiaccavento ed

elettivamente domiciliata in Roma, via Livorno 6 presso lo studio

dell’avvocato Francesca Trauzzola;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania depositata il 16

febbraio 2015;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere

Cosimo D’Arrigo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nel luglio del 2013 la Commerciale Siderurgica s.r.l. intimò al Centro Polidiagnostico Sacro Cuore s.r.l. lo sfratto per morosità di un immobile condotto in locazione ad uso diverso sito in (OMISSIS). La società conduttrice, costituendosi, eccepì in compensazione un maggior credito nascente da lavori di miglioria all’immobile autorizzati dalla locatrice. Il Tribunale di Siracusa dispose il mutamento del rito, senza tuttavia fissare un termine per l’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante il deposito di memorie e documenti, come invece previsto dagli artt. 667 e 426 c.p.c..

Alla successiva udienza la Commerciale Siderurgica s.r.l. produsse egualmente una scrittura privata inter partes dalla quale risultava che i lavori autorizzati al fine di rendere l’immobile confacente alle esigenze del conduttore erano stati preventivamente quantificati in Euro 40.000,00, pari a cinquanta canoni mensili, quindi interamente già scontati nel periodo gennaio 2008 – dicembre 2012.

Il Tribunale rinviò la causa per la discussione, previa concessione di termine per note difensive. In esito, dichiarò la risoluzione del contratto per inadempimento della società conduttrice.

Il Centro Polidiagnostico Sacro Cuore s.r.l. propose appello, rigettato dalla Corte d’appello di Catania con sentenza in data 16 febbraio 2015.

Avverso questa decisione, il Centro Polidiagnostico Sacro Cuore s.r.l. ricorre per cassazione, allegando due motivi di censura illustrati da successiva memoria. La Commerciale Siderurgica s.r.l. resiste con controricorso e ha depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con il primo motivo di ricorso, il Centro Polidiagnostico Sacro Cuore s.r.l. deduce la nullità della sentenza e del relativo procedimento per lesione del diritto di difesa, nonchè la violazione dell’art. 426 c.p.c..

In sostanza, la ricorrente si duole della produzione in giudizio della scrittura privata relativa alla quantificazione delle opere di miglioria che potevano essere legittimamente compensate con i canoni e della circostanza che non le sarebbe stato dato termine per esercitare i diritti di difesa.

In realtà, sembra che dalla pretesa violazione dell’art. 426 c.p.c. – richiamato, nel rito locatizio, dall’art. 667 c.p.c. – la società ricorrente intenda far discendere due effetti giuridici fra loro incompatibili e quindi graduati. Per un verso, essa denuncia la nullità dell’intero processo, la cui conseguenza – ancorchè non chiaramente esplicitata – dovrebbe essere la rimessione degli atti al tribunale; per altro verso, la ricorrente afferma la sostanziale inutilizzabilità, ai fini decisori, della menzionata scrittura privata.

1.2. La prima censura è manifestamente infondata, in quanto l’omessa concessione del termine di cui all’art. 426 c.p.c., non integra alcune delle ipotesi tassative contemplate dagli artt. 353 e 354 c.p.c., in cui è consentita la rimessione della causa al giudice di primo grado. Il giudice di appello, quindi, ha correttamente trattenuto la causa, decidendola nel merito. Al più, la parte convenuta avrebbe potuto chiedere di essere ammessa a svolgere le attività che, in conseguenza del dedotto vizio, gli sono state precluse in primo grado (Sez. 3, Sentenza n. 12156 del 14/06/2016, Rv. 640296).

Peraltro, la ricorrente non deduce quale concreto pregiudizio al diritto di difesa avrebbe subito. A ben vedere, nonostante l’omessa assegnazione del termine previsto dall’art. 426 c.p.c., la conduttrice ha potuto pienamente esercitare la difesa mediante il successivo deposito di memorie autorizzate; nè vengono indicati documenti la cui produzione o richieste istruttorie la formulazione siano state precluse dall’irregolarità procedurale; nè, infine, il Centro Polidiagnostico Sacro Cuore s.r.l. ha articolato richieste istruttorie o comunque di rimessione in termini in grado d’appello.

Alla luce delle superiori considerazioni, il primo motivo di ricorso, nella parte in cui si risolve nell’affermazione della nullità dell’intero processo, è manifestamente infondato, anche per carenza di interesse.

1.3. Quanto alla ritualità della produzione documentale avversaria, giova effettuare una premessa.

La Corte d’appello, pur ritenendo ritualmente utilizzabile e probante la scrittura privata di cui si è detto, osserva – rispondendo alle censure di nullità dell’atto – che “a ritenere invalida, per qualunque ragione, detta scrittura privata, rimarrebbe ugualmente incontestato l’inadempimento contrattuale della conduttrice e, quindi, corretta la risoluzione del contratto stabilita dal primo giudice”. Questa conclusione costituisce il punto di arrivo di un ragionamento più articolato, che muove dal presupposto che – in assenza di uno specifico accordo – il conduttore non può pretendere di imputare in compensazione ai canoni di locazione le spese sostenute per adattare l’immobile locato alle proprie esigenze. Sicchè, qualora non si considerasse il tenore dell’accordo inter partes risultante dalla scrittura privata, il debito insoluto del Centro Polidiagnostico Sacro Cuore s.r.l. si accrescerebbe, anzichè diminuire.

Tale parte della decisione, idonea a sorreggere da sè il decisum della corte d’appello, non risulta fatta oggetto di specifica impugnazione da parte della società ricorrente.

In sostanza, la sentenza impugnata si fonda su due rationes decidendi, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione. L’omessa impugnazione di uno dei due percorsi argomentativi rende inammissibile il ricorso, astrattamente inidoneo a condurre alla cassazione della sentenza impugnata.

Infatti, il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; da ultimo Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

In conclusione, il primo motivo di ricorso è inammissibile anche in ordine alla seconda delle censure in esso contenute, relativa all’irritualità della produzione della scrittura privata e alla conseguente pretesa inutilizzabilità della stessa ai fini decisori.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’infondatezza della domanda di risoluzione del contratto di locazione per morosità e l’omesso esame della documentazione prodotta dalla stessa ricorrente.

I documenti di cui si lamenta l’omesso esame sono un primo contratto di locazione stipulato in data 28 novembre 2007, non registrato e sostituito dal contratto di locazione del 31 gennaio 2008 e le risultanze di un accertamento tecnico preventivo intercorso fra il Centro Polidiagnostico Sacro Cuore s.r.l. e la Banca Italease s.p.a. relativo alla determinazione del valore dei beni oggetto di un contratto di leasing.

In particolare, dal primo documento sarebbe dovuto risultare che la Commerciale Siderurgica s.r.l. aveva autorizzato la società conduttrice “ad eseguire tutti i lavori e gli interventi necessari all’adeguamento dei locali alle prescrizioni di legge”. Dall’accertamento tecnico preventivo sarebbe dovuto risultare il costo delle apparecchiature diagnostiche da collocare nell’immobile.

La censura è manifestamente infondata, in quanto non risponde al vero che la Corte d’appello abbia omesso l’esame dei fatti sopra dedotti.

Giova, in proposito, chiarire che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ricorre allorquando il giudice di merito abbia totalmente omesso l’esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. A tale paradigma non è ascrivibile il caso in cui il giudice abbia esaminato il fatto, tuttavia ritenendolo non decisivo o comunque traendo dallo stesso implicazioni diverse da quelle auspicate dal ricorrente.

Nella specie la Corte d’appello ha attentamente esaminato la questione della successione nel tempo dei due contratti, qualificando il primo come nullo perchè non trascritto e comunque ritenendo che le parti, sostituendolo di comune accordo con il secondo accordo, abbiano inteso privarlo di ogni effetto giuridico.

Il vizio denunciato, quindi, non sussiste.

Per completezza è possibile aggiungere che, oltretutto, dal primo contratto non risulta affatto che il costo dei lavori di adeguamento dell’immobile potesse essere interamente ribaltato sul locatore e portato a deconto dai canoni di locazione, emergendo solamente che la società conduttrice era stata autorizzata ad eseguire (a spese proprie) detti lavori.

Anche il secondo documento viene preso in considerazione dalla Corte d’appello, che ne dichiara l’inconducenza. Pur nella stringatezza della motivazione sul punto, la decisione appare corretta in quanto la stessa società conduttrice non illustra in che modo le risultanze di un giudizio intercorso fra altre parti ed avente ad oggetto una ben diversa questione (a quanto pare, l’accertamento del valore dei macchinari diagnostici) potesse incidere – per giunta in modo decisivo – sull’esito della lite.

E’ evidente, dunque, che non solo non sussiste il lamentato vizio di omesso esame, ma la censura non risponde neppure al requisito di autosufficienza.

Più in generale, si deve rilevare che il secondo motivo di ricorso contiene la riproposizione di censure già esposte nell’atto d’appello ed esaminate dalla corte territoriale. La doglianza, pertanto, si risolve in una contestazione del ragionamento posto alla base della decisione di merito e trasmuta in un vizio di motivazione che com’è noto – non è più previsto fra i possibili motivi di ricorso per cassazione, a decorrere dalle decisioni pubblicate dopo l’11 settembre 2012.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio vanno di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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