Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14621 del 13/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 14621 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 21368-2013 proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE CASERTA 03519500619, in
persona del Direttore Generale, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA POMPEO MAGNO 7, presso lo studio dell’avvocato
VINCENZA DI MARTINO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ANTONIO VALLEBONA giusta mandato a margine del
ricorso;
– ricorrente Contro
MARTONE STANISLAO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
GABI 24, presso lo studio dell’avvocato LUCIO GREZZI,

Data pubblicazione: 13/07/2015

rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO MIRRA, PAOLO
GALLUCCIO, ANDREA FERRARO giusta mandato a margine del
controricorso;

con troricorrente

NAPOLI del 12/03/2013, depositata il 19/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/06/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;
uditi gli Avvocati Di Martino e Vallebona difensori della ricorrente che
si riportano agli scritti;
uditi gli Avvocati Mirra e Ferraro difensori del controricorrente che
hanno chiesto il rigetto del ricorso.

FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli rigettava il
gravame proposto dall’ASL di Caserta avverso la decisione del Tribunale
di S. Maria C.V. che, in accoglimento della domanda proposta
dall’attuale controricorrente, aveva accertato il diritto di quest’ultima a
percepire la retribuzione per il lavoro straordinario prestato, su
imposizione datoriale, nella misura di 15 minuti per giorno lavorativo
nel periodo indicato in ricorso.
La Corte territoriale rilevava che l’eccezione di nullità del ricorso
introduttivo del giudizio era stata correttamente disattesa dal primo
giudice in quanto la domanda proposta al Tribunale (di accertare che il
prolungamento dell’orario lavorativo di 15 minuti preteso dall’azienda
per ogni giornata in cui veniva erogato un buono pasto e per il periodo
indicato integrava lavoro straordinario) configurava un’azione di
accertamento in cui erano stati allegati tutti gli elementi essenziali
costituiti: – dalla indicazione delle fonti contrattuali collettive che
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avverso la sentenza n. 1894/2013 della CORTE D’APPELLO di

regolamentavano l’istituto della mensa (art. 29 c.c.n.l. Comparto Sanità
del 20/9/2001); – dalla circostanze di fatto che la dipendente si era vista
prolungare l’orario lavorativo in relazione alle giornate di effettiva
percezione dei buoni pasto; – dalle numerose disposizioni aziendali
sull’argomento. Precisava, altresì, la Corte che la specificazione delle

eccedente l’orario ordinario non assumeva valore essenziale nel
configurare la domanda di accertamento ma al solo fine di formulare
domanda di condanna determinata al pagamento delle differenze
retributive per il lavoro straordinario reso. Nel merito osservava che
correttamente il primo giudice aveva rilevato la insussistenza dei
presupposti per la pretesa da parte dell’azienda nei confronti della
lavoratrice del recupero giornaliero di 15 minuti di orario lavorativo
come contropartita per la fruizione dei buoni pasto alla medesima
corrisposti in sostituzione del soppresso servizio di mensa aziendale in
quanto: – non erano stati predisposti turni di sospensione dell’orario
lavorativo necessari per il consumo del pasto nonostante l’azienda fosse
a ciò obbligata dal disposto dell’art. 29 del c.c.n.l. citato; – la conseguente
mancata interruzione dell’attività lavorativa faceva sì che il recupero di
15 minuti imposto altro non era se non una indebita imposizione di
lavoro straordinario. Evidenziava, quindi, la Corte: – che con l’Accordo
integrativo del 13/12/1996 le 00.SS. e la direzione generale
dell’azienda avevano regolato l’esercizio del diritto al pasto dei
dipendenti stabilendo che il pasto andava consumato fuori dall’orario
lavorativo; – che detto Accordo era stato trasfuso nella nota n. 820 del
17/2/1997 in cui era previsto un prolungamento dell’orario di uscita dal
servizio di 30 minuti (successivamente ridotto a 15 minuti) nell’arco
della stessa giornata di consumo del pasto da attuarsi previa la
predisposizione di un sistema di turnazione da parte delle direzioni delle
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concrete unità temporali in cui erano state rese le prestazioni di lavoro

strutture sanitarie e dei servizi atto ad evitare la interruzione delle attività
assistenziali; – che con le circolari in data 27/1/1999 e 20/9/2000 il
Direttore generale dell’ASL ricorrente aveva disposto che l’orario di
uscita dei dipendenti era posticipato alle 15.15 per il recupero di 15
minuti al fine della fruizione del ticket giornaliero; – che la mancata

provata oltre che dalla difesa spiegata dall’azienda, soprattutto dalla
documentazione prodotta dalla quale era emerso che non erano stati
mai stabiliti i turni per la consumazione dei pasti secondo le esigenze di
servizio di ciascun presidio) escludeva la possibilità di effettive pause per
la fruizione dei buoni pasto e, dunque, non poteva trovare
giustificazione alcuna il preteso prolungamento di 15 minuti dell’orario
ordinario di lavoro, visto che non vi era nessuna pausa da recuperare e,
quindi, i buoni pasto erano spendibili solo fuori del detto orario
lavorativo. La Corte di Appello sottolineava che non poteva sussistere
un rapporto di corrispettività contrattuale tra concessione di buoni
pasto fruibili solo fuori dell’orario di lavoro (senza alcuna incidenza sulla
continuità temporale della prestazione lavorativa per le ragioni esposte)
ed il preteso recupero dell’orario di lavoro attraverso il prolungamento
dello stesso in misura di 15 minuti al giorno.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’ASL Caserta
affidato a due motivi.
Resiste con controricorso il lavoratore.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378
cod. proc. civ..

DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso viene denunziata violazione e falsa
applicazione degli artt. 99, 100 e 414 cod. proc. civ. in relazione all’art.
360, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte del merito erroneamente
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attuazione del sistema delle turnazioni (circostanza questa da ritenere

affermato l’interesse ad agire in accertamento dell’asserito diritto alla
retribuzione di prestazioni aggiuntive senza “la specificazione delle
concrete unità temporali in cui sono state rese le prestazioni di lavoro
eccedente” considerando tale specificazione come priva di “valore
essenziale”. Si sostiene che l’azione in giudizio è data solo per accertare

astratte ed ipotetiche e che o era carente l’interesse ad agire, essendo
richiesto non l’accertamento di diritti soggettivi ma un mero parere sulla
qualificazione di un’ipotesi, o il ricorso era da ritenere nullo per omessa
deduzione dei concreti specifici fatti costitutivi del diritto al compenso
dell’asserito lavoro straordinario.
2. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 2108 e 2697 cod. civ. e degli artt. 4 e 5 d.lgs. n.
66/2003, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per asserita
violazione del principio per cui l’onere di deduzione e prova dell’asserito
lavoro straordinario grava sul lavoratore. Osserva la ricorrente che la
domanda si fondava su un’assetita mancata effettuazione della pausa che
avrebbe determinato, insieme al recupero che la presupponeva, un
lavoro straordinario pari al tempo della pausa non effettuata, essendo
pacifica l’effettuazione del recupero, e che in tale situazione l’onere di
deduzione e prova della mancata effettuazione della pausa dovuta,
avendola lavorata in ciascun giorno dei numerosi anni oggetto di causa,
gravava sulla lavoratrice ricorrente. Richiama, in proposito, la costante
giurisprudenza di questa Corte in materia di indennità per ferie non
godute secondo cui il riconoscimento di detta indennità è condizionato
all’onere di deduzione e prova del lavoro svolto nell’intero anno e
quindi del mancato godimento della pausa feriale
2. Il primo motivo è infondato.

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diritti soggettivi e non per chiedere parere al giudice su situazioni

Vale ricordare che l’interesse ad agire con un’azione di mero
accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della
lesione di un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato
di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla
esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non

maggio 2008; Cass. n. 17026 del 26 luglio 2006).
La sezione lavoro di questa Corte ha ulteriormente precisato che
detto stato di incertezza oggettiva può anche non essere preesistente
rispetto al processo con la conseguenza che in materia di lavoro
subordinato, l’azione di accertamento può riguardare l’esatta
determinazione dei compensi spettanti, anche laddove non siano ancora
maturati i presupposti di fatto di tutte le voci della retribuzione ed il
lavoratore non chieda alcuna condanna a carico del datore di lavoro (cfr.
Cass. n. 4496 del 21 febbraio 2008).
E’ stata pure ribadita la ammissibilità, anche nel rito del lavoro, di
una sentenza di condanna generica (non limitata alle ipotesi di sentenza
non definitiva con rinvio della liquidazione del

“quantum” alla

prosecuzione del giudizio), ben potendo la domanda essere limitata fin
dall’inizio all’accertamento dell’an”, con conseguente pronuncia di
condanna generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della
parte interessata di introdurre un autonomo giudizio per la liquidazione
del “quantum” (si vedano Cass. n. 4587 del 26 febbraio 2014; Cass. n.
8576 del 5 maggio 2004).
Orbene, proprio alla luce dei riportati principi è evidente la
ricorrenza di un interesse ad agire dell’originaria ricorrente la quale,
stante lo stato di incertezza oggettiva sulla esatta portata dei diritti e
degli obblighi da scaturenti dal rapporto di lavoro con la ASL di Caserta
e relativo alla qualificazione o meno di “lavoro straordinario” del
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superabile se non con l’intervento del giudice (cfr. Cass. n. 13556 del 26

prolungamento dell’orario ordinario di lavoro di. 15 minuti preteso
dall’azienda nel periodo precisato in ricorso, ha chiesto l’intervento del
giudice per superarlo. Peraltro, risulta evidente che nel caso in esame
non è stato chiesto l’accertamento dell’infondatezza di una pretesa
avanzata nei confronti della dipendente da parte dell’ASL, bensì il

verificatosi (per quanto appresso si dirà) era da qualificarsi come “lavoro
straordinario”, in vista dell’utile risultato di poter richiedere, in un
separato giudizio di quantificazione, la condanna al pagamento di
differenze retributive calcolate in relazione ai giorni in cui effettivamente
detto prolungamento dell’orario lavorativo sarebbe stato rigorosamente
provato.
Da quanto esposto discende la correttezza dell’affermazione della
Corte di merito laddove chiarisce che la domanda proposta non era
affetta da nullità essendo stati idoneamente allegati i fatti rilevanti e le
fonti regolatrici del rapporto obbligatorio dedotto in causa e che la
specificazione delle concrete unità temporali in cui erano state rese le
prestazioni di lavoro eccedenti l’orario ordinario non assumeva valore
essenziale nel configurare la domanda di accertamento.
Che la parte, attraverso l’indicazione delle circostanze di fatto
rilevanti e delle fonti regolatrici del rapporto obbligatorio dedotto in
causa nei termini sopra specificati, avesse correttamente prospettato
l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e
non conseguibile senza l’intervento del giudice, era emerso, del resto,
dalla stessa posizione difensiva della società che, come si evince anche
dalla sentenza impugnata, era stata non solo “piena” in rapporto alle
deduzioni attoree ma decisamente finalizzata a contrastare, con l’offerta
ricostruzione delle condotte aziendali e sindacali realizzatesi nel corso

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positivo accertamento che il prolungamento dell’orario lavorativo già

del tempo, la riferita eliminazione di una pausa mensa e contestuale
imposizione di un recupero giornaliero non retribuito.
4. Del pari infondato è il secondo motivo.
Nello storico di lite sono stati riportati i passaggi logici percorsi dalla
Corte di merito per giungere a ritenere che il prolungamento dell’orario

pasto non andava a compensare alcuna pausa effettuata per fruire dei
detti buoni. Ed infatti, il giudice del gravame, una volta acclarato che
l’ASL non aveva provveduto a stabilire dei turni per consentire la
fruizione dei buoni pasto stante la necessità di garantire la continuità
assistenziale ha ritenuto provata la mancata effettuazione della pausa.
Peraltro, nella impugnata sentenza è stato anche sottolineato come
la difesa della ASL non aveva negato la mancata predisposizione di turni
ma aveva dedotto che, comunque, la dipendente aveva speso i “ti ckets

restaurant” assegnatile mensilmente e che non poteva sussistere un
rapporto di corrispettività contrattuale tra la concessione di buoni pasto
fruibili solo fuori dell’orario di lavoro, senza alcuna incidenza sulla
continuità temporale della prestazione lavorativa quotidiana, ed il
preteso recupero dell’orario di lavoro attraverso il prolungamento dello
stesso in misura di 15 minuti.
In effetti l’ASL, non negando di aver preteso il prolungamento
dell’orario di lavoro ordinario (circostanza risultante documentalmente),
ha dedotto che lo stesso era in rapporto di corrispettività con la
fruizione dei buoni pasto ed integrava un recupero della pausa attuata
dalla dipendente per consumare il buono pasto. In siffatta situazione
correttamente il giudice del merito ha ritenuto che dalla mancata
predisposizione dei turni si potesse desumere la insussistenza di pause
durante l’orario lavorativo ordinario destinate al consumo dei pasti

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lavorativo preteso dall’ASL in concomitanza dell’erogazione dei buoni

presupposto per il preteso loro recupero attraverso il prolungamento
dell’orario lavorativo.
Ciò invero non confligge con il principio dell’onere della prova
posto che, desunta la prestazione ininterrotta dagli indicati elementi
(erogazione dei buoni pasto utilizzabili solo al di fuori dell’orario di

mensa sostitutivo pur in presenza di un obbligo contrattuale in tal senso,
in un contesto di continuità assistenziale) non poteva che essere a carico
dell’Azienda la prova contraria.
Nessun rilievo, infine, possono avere in questa sede le
metagiuridiche considerazioni in merito alla compatibilità di una pausa
di 15 minuti pranzo con la continuità assistenziale.
5. Alla luce di quanto esposto il ricorso va, dunque, rigettato.
6. Quanto alla domanda ex art. 96 cod. proc. civ. formulata dalla
difesa del controricorrente, questa Corte osserva che la condanna per
lite temeraria può essere pronunciata solo se la parte ha agito o
resistito con mala fede o colpa grave. Con riguardo al giudizio di
cassazione ai fini della responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc.
civ., l’istanza di condanna deve essere formulata con una
prospettazione della temerarietà della lite riferita a tutti i motivi del
ricorso, essendo altrimenti impedito alla Corte l’accertamento
complessivo della soccombenza dolosa o gravemente colposa, la quale
deve valutarsi riguardo all’esito globale della controversia e, quindi,
rispetto al ricorso nella sua interezza (cfr. Cass. n. 21805 del 5 dicembre
2012; Cass. n. 20914 dell’H ottobre 2011); inoltre il ricorso può
considerarsi temerario solo allorquando, oltre ad essere erroneo in
diritto, sia tale da palesare la consapevolezza della non spettanza del
diritto fatto valere, o evidenzi un grado di imprudenza, imperizia o

Ric. 2013 n. 21368 sez. ML – ud. 10-06-2015
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lavoro; mancata predisposizione dei turni per usufruire del servizio

negligenza accentuatamente anormali (Cass. 2 giugno 1995, n. 6190;
conf. Cass. 26 giugno 2007, n. 14789).
Applicando i detti principi al caso di specie si osserva che la
domanda di condanna per lite temeraria, oltre a non essere stata
prospettata con riferimento a tutti i motivi di ricorso (il primo dei quali

imprescindibile (prova dell’altrui malafede ovvero di un grado di
imprudenza, imperizia o negligenza nell’agire in giudizio
accentuatamente anormale, ciò sempre con riferimento a tutti i motivi
di ricorso) oltre che ingiustificata per la mancanza di allegazione e
prova di un danno subito a causa della condotta temeraria della
controparte, diverso ed ulteriore rispetto alla necessità di doversi
difendere in giudizio.
L’istanza ex art. 96 cod. proc. civ., pertanto, non può essere
accolta.
7. Per il principio della soccombenza le spese del presente giudizio
sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da
dispositivo con attribuzione in favore degli avv. Vincenzo Mina, Paolo
Ferraro e Antonio Galluccio per dichiarato anticipo fattone.
8. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella
(31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1,
comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha
integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il
comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche
incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o
improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà
atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al
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è, come sopra precisato, di tipo processuale) è avulsa dal presupposto

periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del
deposito dello stesso”.
Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve
provvedersi in conformità.

P.Q.M.

presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed curo 2.000,00
per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura
del 15%, con attribuzione in favore dei difensori antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2015.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del

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