Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14621 del 11/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 14621 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 11441-2011 proposto da:
ASSOCIAZIONE FRATERNITA’

COMUNIONE E LIBERAZIONE

97038000580 in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANIENE
14, presso lo STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO SCIUME’
ASSOCIATI, rappresentata e difesa dall’avvocato SCIUME’
PAOLO, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –

?013
C34

contro

COMUNE DI MILANO 01199250158 in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE
MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato IZZO RAFFAELE,
che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati
MARINELLI IRMA (dell’Avvocatura Comunale), FRASCHINI

Data pubblicazione: 11/06/2013

ANTONELLA, MERONI RUGGERO, SURANO MARIA RITA, giusta
mandato speciale in calce al controricorso;

controri corrente

avverso la sentenza n. 126/02/2010 della Commissione
Tributaria Regionale di MILANO del 20.10.2010,
depositata il 28/10/2010;

consiglio dell’8/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott.
GIUSEPPE CARACCIOLO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Paolo Sciumé che si
riporta agli scritti;
udito per il controricorrente l’Avvocato Irma Marinelli
che insiste per l’infondatezza del ricorso.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del
Dott. RAFFAELE CENICCOLA che si riporta alla relazione
scritta.

udita la relazione della causa svolta nella camera di

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva
La CTR di Milano ha respinto l’appello dell’ Istituto “Fraternità di Comunione e
Liberazione”, appello proposto contro la sentenza n.343121/2008 della CTP di
Milano che aveva rigettato il ricorso dell’ente predetto avverso avviso di
accertamento del Comune di Milano relativo ad ICI per l’anno 2002, il quale ultimo
era stato impugnato sull’assunto che l’attività esercitata negli immobili in relazione ai
quali l’imposta è pretesa fosse esente da ICI ai sensi dell’art.7 del D.Lgs.504/1992
(siccome immobile direttamente utilizzato per lo svolgimento di attività istituzionale
da parte di ente ecclesiastico dedito all’esercizio del culto) e perciò con esonero della
dichiarazione prevista dalla legge, che non era stata presentata.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo (per quanto qui ancora rileva)
che nella specie di causa non era stata data “la prova puntuale e rigorosa
dell’esistenza dei requisiti per l’applicazione della dedotta esenzione, non apparendo
a tal fine sufficiente allegare che gli immobili venivano utilizzati per le segreterie di
coordinamento dell’attività dell’ente, nonché come sale riunioni, incontri e
conferenze; nonché ritenendo che —quanto all’istanza di disapplicazione delle
sanzioni per le obiettive condizioni di incertezza sull’applicabilità della norma- che
non era ravvisabile alcun motivo di confusione, dovendosi semplicemente
documentare la reale natura e portata dell’attività svolta dall’ente negli immobili in
questione.
L’Ente contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Amministrazione comunale si è difesa con controricorso.

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letti gli atti depositati

Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo

motivo di censura (rubricato come:”Violazione della

disposizione di cui all’art.7 comma 1 lett. i del D.Lgs.504/1992”), la parte ricorrente
assume che l’immobile di cui qui trattasi era stato utilizzato direttamente da essa

esclusiva delle attività di cui all’art.16 lett. a della legge n.222/1985), con prova
“fornita in abundantiam dal contribuente nei precedenti gradi di giudizio”, ed
evidenzia di avere la forma giuridica di “ente ecclesiastico”, siccome eretto con
“decreto del Pontificium Consilium pro Laicis in data 11.2.1982” (secondo quanto
risultava documentato con l’allegato sub 3 al ricorso introduttivo di questo grado di
giudizio): ciò si sarebbe dovuto considerare sufficiente sia sotto il profilo della
ricomprensione dell’ente sotto il novero degli “enti non commerciali di cui all’art.87
comma 1 lett. C9 del TUIR”, sia sotto il profilo della connessa presunzione (prevista
ex art.2 comma 1 della legge n.222/1985) che l’attività esercitata sia un’attività di
religione o di culto, siccome anche stabilità in modo “assoluto” per quegli enti che
“appartengono alla costituzione gerarchica della Chiesa” dalle “norme
concordatarie”. Doveva poi considerarsi evidente che “l’impiego di un immobile da
parte di un ente ecclesiastico quale sede amministrativa operativa e logistica per lo
svolgimento della sua effettiva attività, non può in alcun modo classificarsi tra le
attività commerciali, in quanto chiaramente carente di qualunque elemento formale e
sostanziale idoneo a configurare un inquadramento lucrativo.
Il motivo di impugnazione appare inammissibilmente formulato, per difetto del
requisito di autosufficienza del ricorso, onere che non può non essere assolto anche
quando sia denunciato un vizio di violazione di legge.
Ed infatti:”Poiché l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende
dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza
impugnata, un risultato pratico favorevole, è necessario, anche in caso di denuncia di
un errore di diritto a norma dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., che la parte ottemperi al

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“Associazione” come propria sede operativa (e comunque per lo svolgimento in via

principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di
legittimità all’accertamento del fatto), indicando in maniera adeguata la situazione di
fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella
compiuta dal giudice “a quo”, asseritamente erronea (Cass.Sez. L, Sentenza n. 9777
del 19/07/2001).

qui trattasi era stato utilizzato direttamente da essa ricorrente come propria sede
operativa (ma sul punto si limita ad affermare di averne fornito prova “in
abundantiam … nei precedenti gradi di giudizio”); d’altro canto, assume alternativamente e sempre ai fini di allegare la pacifica sussistenza del requisito
oggettivo nell’ottica dell’esenzione dal tributo- di essere un “Ente ecclesiastico” (ma
sul punto si limita al rinvio ad un documento inammissibilmente prodotto per la
prima volta nel presente grado di giudizio, e perciò in violazione dell’art.372 cpc) ed
infine assume di beneficiare, perciò, della “presunzione assoluta” sopra meglio
descritta, presunzione asseritamente desumibile non solo dall’art.2 della legge
n.222/1985 ma anche da non meglio precisate norme concordatarie.
Si tratta di allegazioni del tutto prive della necessaria specificità oltre che non
supportate dalla identificazione, essa pure necessariamente specifica, della disciplina
di legge sulla quale gli assunti di diritto connessi a quelli di fatto sarebbero da
ritenersi fondati.
Con il secondo motivo di ricorso (centrato sul vizio di insufficiente e contraddittoria
motivazione, relativo a “più punti” decisivi della controversia) la parte ricorrente si
duole di una contradditorietà non adeguatamente evidenziata, sì che non si può
intendere il senso della censura, a proposito del capo che concerne il lamentato
difetto di motivazione del provvedimento impositivo; si duole (in riferimento al capo
che concerne le sanzioni) per avere i giudici di merito erroneamente fatto
applicazione del menzionato art.7, e perciò con prospettazione di motivo
inammissibile, alla luce dell’archetipo del vizio qui considerato; si duole di omessa

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Nella specie di causa, la parte ricorrente assume, da un canto, che l’immobile di cui

applicazione dell’istituto del cumulo giuridico, motivo pure discordante rispetto alla
tipologia del vizio valorizzato.
Anche il motivo ora in esame, perciò, deve essere considerato viziato di
inammissibilità.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per

Roma, 15 gennaio 2013

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative il cui contenuto non
induce la Corte a rimeditare gli argomenti posti a fondamento della proposta
formulata dal relatore;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in E 900,00 oltre accessori di legge ed oltre E 100,00 per
esborsi.
Così deciso in Roma 1’8 maggio 2013.

inammissibilità.

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