Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14610 del 17/06/2010

Cassazione civile sez. un., 17/06/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 17/06/2010), n.14610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente di Sezione –

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente di Sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 12252 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2009, proposto da:

COMUNE DI SASSARI, in persona del sindaco p.t., autorizzato a stare

in giudizio da Delibera della G.M. del 15 ottobre 2008 ed

elettivamente domiciliato in Roma, al Viale Marconi n. 893, nello

studio dell’avv. Empoli Daniela, rappresentato e difeso, per procura

a margine del ricorso, dall’avv. Congiatu Pietro, che dichiara di

voler ricevere al numero di fax (OMISSIS) e alla e-mail (OMISSIS),

le comunicazioni di cancelleria;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO S.L., in persona del curatore,

elettivamente domiciliato in Roma, V. Duilio n. 192 presso l’avv.

Letizia Gabriele, rappresentata e difesa dall’avv. Pezzati Giovanni

Domenico per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, Sezione

distaccata di Sassari, n. 227, del 10 marzo – 1 aprile 2008;

Udita, all’udienza dell’11 maggio 2010, la relazione del Cons. Dott.

FORTE Fabrizio;

sentiti l’avv. Congiatu, per il ricorrente, e il P.M. Dott. IANNELLI

Domenico, che chiede l’accoglimento del primo motivo del ricorso,

dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo, con

assorbimento degli altri motivi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 23 giugno 1998, S.L., assumendo di essere creditore del Comune di Sassari per L. 48.110.000, come da fattura n. (OMISSIS), in corrispettivo del servizio di rimozione e custodia di autoveicoli da lui svolto per conto dell’ente locale, chiedeva al Pretore di Sassari decreto ingiuntivo, emesso il successivo 3 luglio 1998, contro il quale proponeva opposizione l’ingiunto comune per più profili, in particolare eccependo l’esistenza di più convenzioni regolatrici del servizio negli anni tra il 1979 e il 1994 con previsione di compensi diversi, per cui a tali accordi occorreva rifarsi per liquidare quanto dovuto.

Ad avviso dell’opponente, le somme di cui al decreto non erano dovute perchè il compenso, rispettivamente di L. 3.000 e di L. 5.000 al giorno, per ciascun mezzo rimosso e custodito, concordato per il periodo dal 1991 al 1996, era stato calcolato nella stessa misura anche per le prestazioni anteriori alla data in cui venne concordato con atto del 14 dicembre 1994, mentre quello previsto nel 1979 ammontava a L. 1.000 e a L. 1.500 giornaliere, per ciascuna rimozione e custodia; nulla era dovuto per il trasporto del mezzo a custodia, per cui si pretendevano L. 50.000 a veicolo, credito mai convenuto tra le parti. Ad avviso del Comune di Sassari, la documentazione prodotta da controparte era inidonea, per la sua genericità, a dar luogo alla emissione del decreto ingiuntivo e l’impresa concessionaria non aveva adempiuto l’obbligo contrattuale d’alienare le vetture ritirate, dopo il termine di sei mesi o un anno dalla rimozione. Con sentenza del 13 – 21 luglio 1998, il Tribunale di Sassari dichiarava fallita l’impresa S.L. e il Fallimento si costituiva, subentrando all’originario opposto nel processo. L’opposizione era parzialmente accolta con sentenza del 2001, che revocava il decreto ingiuntivo e condannava il Comune di Sassari a pagare al Fallimento la minor somma di L. 6.520.000, di cui L. 5.600.000 per le rimozioni e L. 920.000 per le auto presenti nel deposito all’atto della risoluzione del contratto, affermando che il rapporto tra le parti era regolato dalle convenzioni stipulate nel 1989 e nel 1994 e non da quella richiamata nel ricorso per l’ingiunzione,, dovendosi ritenere che le prestazioni fossero nel resto soddisfatte, in base ad altre fatture emesse dalla concessionario per le auto rimosse di cui alla fattura n. (OMISSIS), dovendosi ritenere novato il rapporto con il contratto concluso dalla Delibera del Comune di Sassari del 9 marzo 1993, che accettava la proposta scritta del S. sul corrispettivo da richiedere ai proprietari per la permanenza delle auto oltre i tempi di sei mesi o un anno nel deposito dell’impresa. La Curatela del Fallimento proponeva appello contro la sentenza del tribunale e la liquidazione del suo credito troppo bassa; il Comune di Sassari, a sua volta, impugnava in via incidentale la decisione di primo grado, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in ragione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi, a decorrere dal 1 luglio 1998, ai sensi del D.Lgs. del 31 marzo 1998, n. 80, artt. 33 e 45.

La Corte di appello di Cagliari, Sezione di Sassari, con sentenza del 1 aprile 2008 n. 227, ha accolto in parte il gravame principale della Curatela del Fallimento S., negando la fondatezza dell’eccezione del Comune di Sassari d’inammissibilità per novità della domanda di questa che, dopo l’opposizione, aveva indicato, come titolo della sua azione, una convenzione diversa da quella posta a base del ricorso in fase monitoria. La Corte ha ritenuto infondata pure l’eccezione pregiudiziale proposta con l’appello incidentale dell’ente locale del difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 33 e 45, affermando che il presente giudizio, pur se iniziato dopo il 1 luglio 1998, verteva su un rapporto sorto tra le parti prima di tale data d’inizio della indicata giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, per cui era da applicare la L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, che aveva riservato al giudice civile la cognizione sui corrispettivi dei servizi.

Nel merito, si è poi accolto il gravame della Curatela in ordine al computo del credito errato del primo giudice, che non aveva tenuto conto del fatto che il Comune non pagava quanto spettava al concessionario al momento delle rimozioni delle auto dallo stesso eseguite, ma solo all’esito dell’incasso del corrispettivo di tale attività versato dai proprietari delle auto rimosse con la sanzione, per cui la fattura a base della liquidazione non copriva tutto il dovuto per le autovetture ancora non ritirate dai proprietari, che doveva ancora essere pagato. Pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, l’ente locale è stato condannato a pagare al Fallimento Euro 16.207,57, oltre IVA, con gli interessi legali dalle singole scadenze al 16 novembre 1999, da ridurre di quanto già versato dal Comune di Sassari alla controparte, da corrispondere con gli ulteriori interessi legali dal 17 novembre 1999 al saldo, con le spese dei due gradi di merito poste a carico dell’ente locale appellato – appellante incidentale, soccombente anche per avere chiesto di ridurre le somme per cui aveva subito condanna in primo grado. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Cagliari – Sassari propone ricorso notificato il 12 maggio 2009 di dieci motivi, conclusi da rituali quesiti di diritto e illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il Comune di Sassari e la Curatela del Fallimento S.L. replica con tempestivo controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in relazione al D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 33 e 45 e deduce il difetto di giurisdizione del giudice adito già eccepito con l’appello.

La Corte di merito ha negato il difetto di giurisdizione eccepito dal Comune in relazione alla data della domanda del S. contenuta nella comparsa di costituzione e risposta del 15 dicembre 1998 dinanzi al Tribunale, affermando che, pur essendo stato il giudizio instaurato dopo il 30 giugno 1998, cioè con la notifica del 3 luglio 1998 del decreto ingiuntivo, le convenzioni fonti del rapporto obbligatorio oggetto di causa erano anteriori a tale data e che al momento in cui era nato l’obbligo occorreva riferirsi per determinare la giurisdizione.

Tale tesi è censurata perchè la giurisdizione deve determinarsi alla data della domanda; il quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., chiede di affermare che la giurisdizione va fissata, nelle materie di pubblici servizi di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 (specie prima della novella della L. n. 205 del 2000), ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, in base alla disciplina vigente alla data della domanda invece che di quella esistente al momento in cui si è avuto il fatto fonte dell’obbligo azionato, costituito dai contratti di appalto dei servizi causa petendi della domanda stessa.

1.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta disapplicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4, dell’art. 163 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 4, nella previgente formulazione di cui alla L. n. 353 del 1990, art. 17, per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile la domanda di pagamento del Fallimento fondata su una convenzione del 1989, diversa da quella del 1979 su cui era stato basato il ricorso per ingiunzione, così decidendo su una domanda nuova dell’opposto.

Il quesito chiede di accertare se la produzione dall’opposto di una nuova convenzione fonte degli obblighi di cui s’è chiesto l’adempimento con ingiunzione, concreti o meno domanda nuova per mutamento della causa petendi ex art. 183 c.p.c..

Ad avviso della Curatela controricorrente, i primi due motivi di ricorso sarebbero inammissibili, per non essersi proposta con l’appello l’eccezione di difetto di giurisdizione e quella di domanda nuova, formulata invece dall’opposto rispetto alla opposizione a decreto ingiuntivo, con esito negativo per il Tribunale, le cui statuizioni su tali punti, non avevano costituito oggetto di appello incidentale del Comune, per cui su tali questioni si sarebbe formato il giudicato per acquiescenza della controparte.

1.3. Si denuncia, nel terzo motivo di ricorso, la violazione di norme di diritto in rapporto all’art. 1460 c.c. e all’eccezione di inadempimento proposta dal Comune e respinta dai giudici del merito, per la quale il comportamento inerte del concessionario costituiva inadempimento del suo obbligo di attivarsi nel sollecitare i proprietari dei veicoli a ritirarli e l’Intendenza di Finanza a procedere alla vendita dei mezzi non ritirati, ai sensi alle clausole di cui all’art. 17 del contratto del 1989 e all’art. 6B di quello del 1994.

Per il controricorrente e la Corte di appello, tali clausole contrattuali non erano vincolanti nel senso di imporre al creditore condotte attive e la inerzia del concessionario non era sanzionata con la risoluzione ai sensi dell’art. 1455 c.c., come invece pretendeva l’ente locale.

Si chiede quindi di rilevare come la inosservanza di oneri contrattuali rilevanti, anche se non espressamente sanzionati, legittimi il creditore a proporre l’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., a fronte della richiesta di pagamento del corrispettivo contrattuale.

Per la Curatela controricorrente, tale motivo è inammissibile, essendo relativo ad apprezzamenti di fatto dei giudici di merito insindacabili in questa sede e comunque perchè il quesito non sarebbe inerente al vizio denunciato.

1.4. Si denuncia ancora, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1362, 1366 e 1377 c.c., in rapporto alle clausole contrattuali di cui all’art. 17 della convenzione del 1989 e all’art. 6B del 1994, per avere la Corte d’appello ritenuto che l’attivazione dal concessionario delle procedure di vendita dei veicoli di cui al terzo motivo, costituisca una mera facoltà e non un obbligo, il cui inadempimento avrebbe impedito il pagamento del compenso preteso con l’ingiunzione, come si afferma nel relativo quesito di diritto.

1.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce disapplicazione degli artt. 1366 e 1355 c.c., in riferimento alla natura di condizione meramente potestativa delle clausole contenute negli artt. 13, 15 e 17 della convenzione del 1989 e nell’art. 6B della convenzione del 1994, come lette in sede di merito.

La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere, in base al combinato disposto delle tre clausole della convenzione del 1989, che il concessionario aveva il diritto al compenso anche nella sua totale inerzia circa la vendita dei veicoli custoditi, assumendo che le norme contrattuali erano solo rafforzative dell’obbligo di attivarsi a vendere i mezzi.

Il quesito conclusivo chiede alla Corte di affermare che la clausola dell’art. 17 della convenzione del 1989, per la quale il concessionario “potrà” alienare i veicoli non ritirati dopo un anno di custodia, e quella dell’art. 6B dell’accordo del 1994, per cui il S. avrebbe potuto attivare la procedura di vendita dopo sei mesi di custodia, non potevano qualificarsi come condizioni meramente potestative.

1.6. Si censura poi la sentenza per insufficienze motivazionali in relazione alle clausole di cui al motivo precedente della convenzione del 1989 e a quelle 6B, 8B, 4C, del contratto del 1994, essendo contraddittoria la motivazione della sentenza che addebita al comune gli oneri di custodia anche per il periodo eccedente la previsione contrattuale di sei o dodici mesi, pur affermando che il compenso spetta al concessionario, solo in caso di vendita e dopo la scadenza del termine di custodia di cui ai contratti, ovvero la motivazione sarebbe insufficiente, perchè la mancata previsione di una clausola che addebiti al concessionario le spese di custodia per il periodo eccedente la durata contrattuale, non giustifica l’addebito al comune di tali spese, in assenza di una espressa previsione in questo senso in contratto, considerata peraltro la presenza di un obbligo ovvero di una mera facoltà di vendita in capo al concessionario. 1.7. Ancora sulle carenze motivazionali insiste il settimo motivo di ricorso, deducendo la omessa motivazione sulle ragioni per le quali, pur in presenza di specifica indicazione del Comune di Sassari in ordine alle fatture emesse dalla impresa S., con relativa prova scritta della causa del pagamento delle rimozioni in esse considerate, è dedotta poi la insufficiente motivazione della decisione impugnata, per avere presunto l’omesso saldo delle rimozioni, per effetto della previsione di pagamento di tutti i compensi in mesi diversi rispetto a quelli riportati nelle fatture e per l’assenza di specifica clausola che preveda il pagamento del compenso per le rimozioni prima dell’incasso da parte del comune concedente del dovuto da parte del proprietario, pur in presenza di fattura incontestatamente pagata.

1.8. L’ottavo motivo deduce violazione del R.D. n. 2240 del 1923, artt. 16 e 17 e del R.D. n. 383 del 1934, in relazione alla novazione contrattuale di cui alla Delibera del 9 marzo 1993, avendo la Corte di merito erroneamente stabilito l’esistenza di una novazione contrattuale effetto della delibera che precede, in rapporto alle auto in essa considerate, pur in mancanza di un contratto e di qualsivoglia licitazione o gara pubblica, concludendo il motivo con la richiesta di escludere l’esistenza di un valido accordo novativo, in mancanza di un atto in forma scritta che ne integri la forma costitutiva.

1.9. Con il nono motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 1453 e 1454 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere respinto l’appello incidentale del Comune di Sassari, che chiedeva di pronunciare la risoluzione della convenzione del 1994 per inadempimento del concessionario, inutilmente messo in mora con rituale diffida per la prosecuzione del servizio mai da lui ripreso, per cui il Comune s’era avvalso del potere di risolvere il contratto con Delibera 30 dicembre 1996, ritenendosi dalla Corte improcedibile la domanda di risoluzione proposta da esso successivamente alla dichiarazione di fallimento della impresa controricorrente.

Il quesito conclusivo chiede se sia possibile dichiarare la risoluzione di diritto di contratto di appalto dopo la formale diffida non seguita dall’adempimento per la parte intimata, prima del fallimento della stessa parte.

1.10. L’ultimo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 1458 c.c., in materia di obblighi restitutori, affermando l’obbligo del Comune di Sassari di corrispondere il prezzo della custodia fino alla data di restituzione dei mezzi, nonostante l’intervenuta risoluzione contrattuale, argomentando, in ordine alla responsabilità del custode per il prolungarsi di tutta la durata della custodia, dal fatto che l’inadempimento era contestato dal S. sin da allora, la necessità di concludere l’impugnazione con il quesito con cui si domanda se, a seguito della risoluzione di un contratto ad esecuzione continuata, competa al concessionario il compenso in misura contrattuale, in caso di protrazione in fatto della prestazione stessa nel caso di custodia.

2.1. Il primo motivo di ricorso, che solleva la questione di giurisdizione, è ammissibile, ma infondato e da rigettare, anche se deve modificarsi la motivazione; della soluzione della questione di giurisdizione data dai giudici di merito. Il motivo è certamente ammissibile, risultando che lo stesso ente locale aveva eccepito sin dal primo grado il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e che, su tale eccezione, aveva insistito in sede di appello, per cui su di essa si è pronunciata la Corte di appello, con esclusione conseguente di qualsiasi giudicato implicito sulla giurisdizione, cui sembra farsi cenno nelle deduzioni della controricorrente.

Al quesito conclusivo del motivo di ricorso va data risposta positiva, essendo chiaro che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., la giurisdizione si determina “con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda”, per cui è irrilevante, in rapporto ai poteri cognitivi del giudice adito, la data in cui sorge la situazione soggettiva azionata con la richiesta d’ingiunzione, cui la sentenza impugnata da invece rilevo ai fini della soluzione della questione pregiudiziale.

Deve infatti ritenersi, nella concreta fattispecie, che il momento di proposizione della domanda non è stato correttamente individuato nè nel ricorso nè nella sentenza impugnata, che su tale punto della motivazione, deve quindi essere corretta. La Corte d’appello di Cagliari identifica l’inizio dell’azione per cui è causa nella data di notificazione del decreto ingiuntivo al comune, avvenuta nel luglio del 1998, mentre essa deve ritenersi coincidere con il momento del deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 638 c.p.c., così come chiarito da una pluralità di pronunce di questa Corte, senza contrasti sul punto, avendo il ricorso de quo ad oggetto anche il giudizio di cognizione che segue all’opposizione e dovendosi ritenere proposta all’atto del deposito dello stesso, nella fattispecie avvenuto il 28 giugno 1998 (Cass. 22 maggio 2008 n. 13085, 27 dicembre 2004 n. 24021 e 18 marzo 2003 n. 3984, tra altre, tutte conseguenti a S.U. 7 luglio 1993 n. 7448).

Appare allora chiaro che la domanda rilevante ai fini del comma 18 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, per il quale le controversie di cui all’art. 33 del decreto stesso sono “devolute al giudice amministrativo a partire dal 1 luglio 1998”, a quest’ultima data era stata già proposta, con il deposito del ricorso per ingiunzione del 28 giugno precedente, determinando la pendenza della lite condizionata all’opposizione, per la quale è rimasta “ferma la giurisdizione prevista dalle norme in vigore”, con espressa esclusione di quella del giudice amministrativo sancita dalla nuova normativa.

A tale controversia doveva infatti applicarsi la L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, per il quale il giudice ordinario ha giurisdizione sulle “controversie concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi” dei servizi, quale è quella oggetto della presente causa, per la quale pertanto va rigettato il primo motivo di ricorso, dichiarandosi la giurisdizione del giudice ordinario già adito nel processo principale.

2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è ammissibile essendosi la questione della domanda nuova del S. nei termini riproposti con il ricorso esaminata già in sede di appello, su eccezione specifica dell’odierno ricorrente.

Deve comunque escludersi che nel caso vi sia stata la proposizione di una domanda nuova dalla Curatela opposta rilevandosi, in base a quanto già affermato in ordine all’azione di cognizione ordinaria che segue quella sommaria chiusa con l’ingiunzione, che la opposizione costituisce una sorta di comparsa di risposta dell’opponente, apparente attore e in realtà convenuto; l’art. 183 c.p.c., comma 4, nella versione previgente all’ultima e applicabile ratione temporis, consentiva ad entrambe le parti di “precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate”, legittimandole a proporre alla prima udienza “le domande ed eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”, cioè nel caso dall’opponente. E’ allora evidente che, all’esito dell’opposizione, che aveva dedotto la successione di una serie di contratti succedutisi nel tempo per disciplinare l’appalto del servizio espletato dal S., la Curatela abbia richiamato, in ordine alle somme già chieste con il decreto ingiuntivo, anche gli accordi del 1989 e del 1994, che disciplinavano 1 corrispettivi del servizio di rimozione delle auto, per i tempi cui si riferivano gli obblighi oggetto di ingiunzione, con chiara emendatio libelli, certamente conforme a legge, per cui legittimamente la Corte d’appello ha provveduto su quanto proposto dalla Curatela, ritenendo ammissibili le modifiche della domanda della controparte (per tale ammissibilità cfr., tra altre, Cass. 8 gennaio 2010 n. 75, 23 giugno 2009 n. 14646, 11 novembre 2008 n. 26945), con conseguente infondatezza del secondo motivo di ricorso. 2.3. I motivi terzo e quarto del ricorso, che denunciano l’uno il rigetto dell’eccezione del ricorrente di inadempimento della controparte in relazione alle clausole dei contratti del 1989 e 1994 specificamente sopra riportate e l’altro la violazione, dalla Corte di merlo, dei canoni ermeneutici di legge, in rapporto alla lettura di tali condizioni dei contratti ai fini di negare l’inadempimento del concessionario, sono infondati per la parte in cui non devono qualificarsi inammissibili. Afferma la Corte che l’art. 17 del disciplinare allegato alla convenzione del 1989, pone a carico del concessionario l’onere “di invitare – decorsi 12 mesi dalla data di rimozione – gli intestatari dei veicoli al ritiro degli stessi”, stabilendo che lo stesso in caso di mancato ritiro dei mezzi, “potrà” alienarli, riconoscendo quindi alla impresa esercente il servizio la potestà e non l’obbligo di vendere i mezzi, dovendo proseguirne la custodia, in caso di omessa alienazione.

In rapporto alla convenzione del 1994 e ai soli due casi di rimozioni di veicoli successivi a tale data, sì è poi ritenuto che anche la clausola 6/B di tale atto prevedeva, per il concessionario, la sola facoltà di sollecitare gli organi preposti dal codice della strada, cioè l’Intendente di Finanza, dopo sei mesi di deposito dei mezzi prelevati, a procedere all’alienazione forzata e a soddisfare il credito per la rimozione e custodia, sul ricavato della vendita, previa detrazione delle somme dovute come sanzione.

L’omessa vendita e la mancata sollecitazione alla Intendente di finanza non si sono ritenuti inadempimenti, perchè, ad avviso dei giudici di merito, nessuna delle due convenzioni poneva a carico del concessionario le spese di custodia successive al periodo annuale e semestrale in esse previsto, con la conseguenza che neanche il Comune a sua volta poteva pretenderle dal privato per poi restituirle al S., dopo l’incasso.

L’interpretazione delle clausole contrattuali indicate appare plausibile in base alla lettera delle convenzioni e tenuto conto che il riconoscimento della sola facoltà di vendere o fare alienare i veicoli, si spiega in rapporto ad una necessaria valutazione di convenienza di tale dismissione, che potrebbe pure rilevarsi inutile in caso di mancanza di offerte per le condizioni del veicolo o dannosa in ipotesi di alienazione forzata rimasta senza esito.

La valutazione della esistenza e della gravità dell’inadempimento è rimessa al giudice del merito e nel caso è sorretta da congrua motivazione, che aggancia la decisione della Corte d’appello alla lettera stessa dei contratti, con interpretazione certamente corretta di essi (Cass. 29 agosto 2007 n. 18180); ciò determina la infondatezza dei due motivi di ricorso per tale profilo, dovendosi considerare gli stessi inammissibili, per la parte in cui chiedono al giudice di legittimità di surrogarsi a quello del merito nella valutazione del contenuto dei contratti che ad esso è riservata e comunque è preclusa in Cassazione (Cass. 15 febbraio 2008 n. 3851 e 28 giugno 2006 n. 14974) per le valutazioni di mero fatto che comporta.

2.4. Altrettanto è a dirsi per i motivi cinque e sei, entrambi da rigettare, non essendo qualificabile come “meramente potestativa” la condizione o clausola che preveda un onere da adempiere per una parte, come nel caso era quello di procedere alla vendita o di sollecitare la eventuale alienazione dei veicoli, così escludendo di rimettere alla “mera” volontà del concessionario gli effetti del contratto, come emerge con chiarezza dalla sentenza oggetto di ricorso (sulla condizione meramente potestativa, cfr. le recenti Cass. 23 settembre 2009 n. 20444 e 21 maggio 2007 n. 11774).

In sostanza la Corte ha escluso l’inadempimento del S., ritenendo questo obbligato a proseguire la custodia anche dopo decorsi i termini alla cui scadenza poteva attivarsi per l’esercizio della sua facoltà, di vendere o attivare gli organi preposti alla vendita forzata dei mezzi custoditi; tale soluzione è conforme alla lettera del contratto e alla logica, come già chiarito.

Comunque, in rapporto ai detti obblighi di custodia, è da escludere la natura meramente potestativa della facoltà di vendita dei veicoli di proprietà di terzi, rimossi e in custodia per le durate di cui ai diversi contratti, con contemperamento dei vari interessi in gioco, pervenendosi ad una lettura delle clausole contrattuali compatibile con il testo del contratto e con gli interessi in conflitto, tenuto conto che il Comune restava obbligato a rimborsare le spese di custodia, sempre se avesse ricevuto il prezzo di detta alienazione, per cui devono respingersi anche il quinto e sesto motivo di ricorso per cassazione, comunque non autosufficienti sulla pretesa natura meramente potestativa delle indicate clausole contrattuali. Tali motivi appaiono comunque inammissibili, per la parte in cui non è data prova concreta che dalla mancata alienazione dei mezzi sia derivato un concreto danno per l’ente locale, che non ha dimostrato l’esistenza di terzi interessati all’acquisto dei veicoli in contestazione, per un corrispettivo tale da dar luogo al pagamento della sanzione e della custodia per il periodo di cui al contratto, degli autoveicoli che la controparte ha scelto di non alienare o di non far vendere dall’Intendente di finanza. 2.5. Inammissibile è pure il settimo motivo di ricorso in rapporto alla insufficiente motivazione sulla affermata prassi del pagamento delle custodie dei veicoli solo all’esito del versamento, dai titolari dei mezzi rimossi, delle sanzioni e delle spese di custodia, pur essendo le fatture tutte emesse in mesi diversi da quelli dei pagamenti, trattandosi di una mera valutazione di fatto e ricostruzione dei pagamenti, per i quali non sono indicate le ragioni che consentano di giungere ad una conclusione diversa da quella data nel merito.

2.6. L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile, denunciando pretese violazioni del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, applicabili anche ai contratti degli enti locali ai sensi del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, legge comunale e provinciale vigente al tempo dei disciplinari oggetto di causa. Il motivo sì conclude con la deduzione che la Delibera del 9 marzo 1993 n. 12919 costituiva atto interno, come tale inidoneo a costituire il contratto novativo, ritenuto tale dalla Corte d’appello che, sul punto, ha confermato la decisione di primo grado, riaffermando il valido accordo concluso con la delibera comunale di risposta alla proposta dell’impresa.

Afferma la sentenza impugnata che con il gravame il Fallimento aveva dedotto l’efficacia retroattiva e non solo “ultrattiva”, riconosciuta dal tribunale all’accordo concluso con la proposta contenuta nella nota scritta del S. del 9 febbraio 1993, relativo ad una riduzione forfettaria delle spese di custodia anche per le auto rimosse prima del 30 giugno 1992, accettata con la risposta positiva ad essa contenuta nella Delibera citata del 1993; dall’incontro delle volontà manifestate nei due atti del S. e del Comune,, sarebbe sorto un contratto vincolante relativo ad un periodo brevissimo, anteriore agli effetti del contratto del 1994 relativo allo svolgimento del servizio. In primo grado tale accordo qualificato “novativo” si era ritenuto ultrattivo e solo in rapporto a tale pretesa efficacia dell’atto si era discusso in appello non contestandosene la perfezione e validità in rapporto alla predetta definizione di contratto a formazione progressiva della nota del S. e della risposta di cui alla delibera comunale ad essa, da qualificare mero atto interno irrilevante a dar luogo ad una convenzione, non risulta che l’ente locale abbia censurato sia in primo grado che con il gravame incidentale, la soluzione che oggi afferma essere scorretta ( data alla questione della valida formazione di una volontà rilevante all’esterno nella citata Delibera del 1993, che deve quindi ritenersi proposta per la prima volta in Cassazione per cui l’ottavo motivo di ricorso ad essa relativo è, per questa ragione, precluso e inammissibile.

2.7. Anche il nono e decimo motivo di ricorso sono inammissibili, perchè censurano solo il profilo processuale dell’improcedibilità dell’azione di risoluzione, dopo la dichiarazione di fallimento qualora l’intimazione ad adempiere sia stata anteriore alla sentenza dichiarativa che precede, senza rilevare che, sul piano sostanziale, la Corte di merito ha affermato che il perdurare dell’obbligo di custodia a carico del concessionario e di quello di pagamento di tale attività per il Comune, derivava non dal contratto risolto ma costituiva accessorio del mero obbligo di restituzione dei veicoli fino ad allora rimossi all’ente locale e non ai proprietari dei mezzi, con conseguente necessità che l’ente dovesse rispondere delle maggiori spese di custodia. E’ allora evidente l’insufficienza della censura processuale in mancanza di quella relativa alle ragioni sostanziali della decisione, che nega fosse effetto della risoluzione l’obbligo di pagare la custodia continuata dei veicoli a carico del comune, connesso alla restituzione dei mezzi rimossi al Comune stesso all’esito della convenzione, al cui adempimento quest’ultimo doveva collaborare come in fatto non è accaduto, per cui doveva rispondere di tali pagamenti per la custodia continuata dei veicoli, come deciso in sede di appello.

La censura dei due motivi di ricorso è quindi parziale perchè non attiene alla parte della decisione che chiarisce le ragioni dell’obbligo di pagamento del Comune di Sassari e rende quindi inammissibili il nono e decimo motivo di impugnazione, che non scalfiscono l’obbligo, per l’ente locale, di corrispondere al S. il corrispettivo della custodia dei veicoli ancora dallo stesso detenuti, pure dopo la fine della concessione e la risoluzione del relativo disciplinare.

3. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi, essendo i dieci motivi a base di esso o infondati o inammissibili e dovendosi dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario adito, in relazione al primo motivo d’impugnazione respinto da questa Corte; per la soccombenza, il ricorrente Comune di Sassari deve rimborsare al Fallimento controricorrente le spese della presente fase di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Condanna il ricorrente a pagare al Fallimento controricorrente, in persona del curatore, le spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.800,00 (milleottocento/00), di cui Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte suprema di Cassazione, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2010

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