Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14605 del 13/07/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 14605 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

ORDINANZA
sul ricorso 169542013 proposto da:
BOSCAINO VINCENZO 3SCVCN60S08F4839A,) BOSCAINO
GIUSEPPE (BSCGPP581’22F83911) BOSCAINO GAETANO
BSCGTN33C05F839C) tutti nella quAlità di eredi unici e legittimi di
Scialò Emma, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
ADALBERTO 6- Scala F, presso lo studio dell’avvocato GENNARO
ORLANDO, che li rappresenta e difende, giusta delega a margine del
ricorso;
– ricorrenti contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE
BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

9.501

Data pubblicazione: 13/07/2015

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati
CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO
RICCI, giusta procura speciale a margine del controricorso;
– contraticatrente –

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

intimato

avverso la sentenza n. 4280/2012 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI del 22.6.2012, depositata il 27/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA
PAGETTA;
udito per il controricorrente l’Avvocato Mauro Ricci che si riporta agli
scritti.
Fatto e diritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9
aprile 2015, ai .sensi dell’art. 375 cod. proc. dv., sulla base della
seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis cod. proc. dv.:
“Emma Scialò ha adito il giudice del lavoro chiedendo il
riconoscimento del diritto al trattamento di pensione di cieco assoluto
ex legge n. 382 del 1970, dell’indennità di accompagnamento ex legge
n. 18 del 1980 unitamente all’indennità di accompagnamento per cieco
civile assoluto di cui alla legge n. 382 del 1970 cit.; in subordine, ha
chiesto il riconoscimento del diritto alla pensione per cieco parziale ai
sensi della legge n. 382 del 1970.
Il Tribunale ha riconosciuto il diritto alla pensione di cieco parziale a
decorrere dal maggio 2002 e condannato l’INPS al pagamento dei
relativi ratei oltre accessori.
Ric. 2013 n. 16954 sez. ML – ud. 09-04-2015
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nonché contro

La Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della decisione, ha
condannato l’INPS al pagamento in favore della Scialò della pensione
per cieco civile assoluto e della indennità per cieco civile assoluto a
decorrere dal 1.6.2004, oltre interessi legali dalla predetta data al saldo.
Per la cassazione della decisione propongono ricorso Gaetano

Emma Scialò, sulla base di tre motivi.
L’INPS ha depositato tempestivo controricorso con il quale ha
preliminarmente eccepito la inammissibilità del ricorso per non avere
i ricorrenti offerto prova della loro qualità di eredi della originaria
ricorrente; ha quindi resistito nel merito.
Il Ministero dell’economia e delle finanze è rimasto intimato.
La preliminare eccezione dell’INPS di inammissibilità del ricorso per
difetto di prova della qualità di eredi dei ricorrenti non è meritevole di
accoglimento. Al ricorso per cassazione infatti è allegata la seguente
documentazione : a) estratto del Registro degli atti di morte del
Comune di Napoli dal quale risulta che Emma Scialò è deceduta in
Napoli 1’11 novembre 2012; b) certificato storico integrale dello stato
di famiglia dal quale risulta l’iscrizione nell’Anagrafe della popolazione
del Comune di Napoli della famiglia anagrafica composta oltre che da
Emma Scialò, dal coniuge Gaetano Boscaino e dai figli Giuseppe e
Vincenzo Boscaino; c) dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa
da Boscaino Gaetano che attesta la qualità di erede della Scialò di esso
dichiarante, di Giuseppe Boscaino e di Vincenzo Boscaino.
Il contenuto di tale documentazione non risulta specificamente
contestato dall’INPS che si limita a dedurre la carenza di produzione
documentale destinata a provare la qualità di eredi nei ricorrenti. La
assoluta genericità della eccezione dell’INPS che non si correla alla
specifica documentazione allegata al ricorso per cassazione, induce a
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Boscaino, Giuseppe Boscaino e Vincenzo Boscaino, quali eredi di

ritenere dimostrato, sulla base della stessa, che i ricorrenti Gaetano
Boscaino, Giuseppe Boscaino e Vincenzo Boscaino, rispettivamente
coniuge il primo e figli gli altri della originaria ricorrente, ne sono gli
eredi. Tale soluzione è coerente con l’orientamento espresso da questa
Corte con la recente pronunzia a sezioni unite, con la quale è stato

originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra
altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione, o proponga
impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ.,
oltre che del decesso della parte originaria, anche della
sua qualità di erede di quest’ultima; a tale riguardo
la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47
del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, non costituisce di per
sè prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei
rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi,
dovendo tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, adeguatamente
valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 cod.
proc. civ., come novellato dall’art. 45, comma 14, della legge 18 giugno
2009, n. 69, in conformità al principio di non contestazione, il
comportamento M concreto assunto dalla parte nei cui confronti
la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con
riferimento alla verifica della contestazione o meno della
predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, al grado di
specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato
al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva
suddetta( Cass. ss.uu. n.12965 del 2014)
Nel merito si rileva che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente,
deducendo ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
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chiarito che colui che, assumendo di essere erede di una delle parti

della controversia prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, censura
la decisione per non avere riconosciuto la sussistenza delle condizioni
per la concessione della indennità di accompagnamento. Premette che
in secondo grado era stata disposta una prima consulenza tecnica
d’ufficio la quale aveva stabilito che dal mese di gennaio 2007 la

riferimento alla patologia visiva il consulente aveva ritenuto che la
periziata versava in una situazione di cecità parziale a decorrere dal
mese di giugno 2004. In esito ai rilievi critici dell’appellante Scialò in
ordine all’entità del deficit visivo la Corte di appello procedeva ad un
supplemento di perizia nominando uno specialista oculista. La seconda
consulenza aveva concluso per la esistenza di un grave deficit visivo ad
entrambi gli occhi, tale da integrare, a decorrere dal mese di giugno
2004, una condizione di cieco assoluto. Deduce parte ricorrente che
sulla base delle due consulenze di ufficio, da leggersi nel senso della
funzione integrativa e non sostitutiva della seconda consulenza rispetto
alla prima, in presenza degli atri requisiti di legge, la domanda attorea
doveva essere accolta anche quanto alla indennità di
accompagnamento ex art. 1 1. n. 18 del 1980.
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di
norme di diritto, censura la decisione per avere applicato al complesso
quadro patologico della periziata la sola normativa dettata in tema di
cecità assoluta.
Con il terzo motivo, deducendo, violazione degli artt. 2 , 3 32 , 38
Cost. e dei principi fondamentali del processo giuslavorista per avere la
Corte territoriale, sulla base di un’interpretazione estremamente acritica
dei fatti di causa e della documentazione medica allegata, leso in
maniera definitiva e gravissima il diritto della ricorrente alla prestazione

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periziata non era in grado di svolgere gli atti quotidiani della vita; con

assistenziale richiesta, violando, in particolare, il bene salute coperto
da garanzia costituzionale.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte
territoriale, dato atto dell’espletamento delle due consulenze di ufficio
ha ritenuto, in dichiarata adesione alla seconda, che il complesso

oculistica, non era tale da integrare le condizioni per la concessione
della indennità di accompagnamento ex legge n. 18 del 1980,
prestazione destinata a cumularsi con l’indennità di accompagnamento
per cieco civile assoluto ex legge n. 382 del 1970, solo nel caso in cui a
determinare la impossibilità di attendere in autonomia agli atti
quotidiani non concorra anche la patologia oculistica.
Parte ricorrente, nel censurare la adesione del giudice di appello alla
seconda ctu con riferimento alla esclusione del diritto alla indennità di
accompagnamento di cui all’art. 1 1. n. 18 del 1980, si limita a
contrapporre alla consulenza dello specialista oculista gli esiti della
prima consulenza, senza dimostrare in alcun modo, mediante
riferimento agli atti di causa ed allo sviluppo della vicenda processuale
che il secondo incarico peritale aveva solo una funzione integrativa del
primo, limitata alla verifica della patologia oculistica e non investiva
anche l’accertamento dei requisiti per l’indennità di accompagnamento
ex legge n. 18 del 1980.
La difformità delle conclusioni attinte dai due consulenti di ufficio in
ordine al ricorrere delle condizioni per la prestazione in controversia
non è di per sé significativa dell’errore del secondo consulente né
imponeva al giudice di appello di specificamente argomentare a
riguardo, atteso che, come chiarito da questa Corte, non incorre nel
vizio di carenza di motivazione la sentenza che

recepisca “per

relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di
Ric. 2013 n. 16954 sez. ML – ud. 09-04-2015
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patologico sofferto dalla periziata, con esclusione della patologia

consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito;
pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa,
tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla
consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro
rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al

passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella
mera pro spettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di
legittimità ( exp/urimis Cass n. 10222 del 2009, n. 23530 del 2013). Le
generiche deduzioni della parte ricorrente in ordine alle entità delle
patologie sofferte dalla periziata si rivelano inidonee a dimostrare
l’errore della seconda consulenza sia perché, in violazione del principio
di autosufficienza non sono riprodotti i brani della relazione peritale
investiti da critica, sia perché esse esprimono un mero dissenso
diagnostico, inidoneo a sollecitare il sindacato di legittimità . Con
principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis cod. proc. civ. , questa
Corte ha infatti statuito che nel giudizio in materia d’invalidità il vizio,
denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato
adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile
in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la
cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali
dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la
formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito
la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in
un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con
riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione. ( Cass. ord.
n.1652 del 2012)
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in ragione

della loro assoluta genericità. In particolare il secondo motivo senza
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contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari

specificamente individuare le norme di diritto asseritamente violate, si
limita ad affermare in termini assertivi la sussistenza delle condizioni
per la concessione della indennità di accompagnamento. Parimenti
generiche sono le censure svolte con il terzo motivo che si risolvono
nella mera enunciazione di principi costituzionali e nella deduzione,

legittimità, della acritica adesione del giudice di appello alla seconda
consulenza.
In conclusione il ricorso va integralmente respinto in quanto
manifestamente infondato.
Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l’Adunanza in
camera di consiglio.”
Ritiene il Collegio, di condividere la proposta del Consigliere relatore
in quanto conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità. Le
deduzioni svolte nella memoria depositata da parte ricorrente non
risultano idonee ad inficiare le argomentazioni in fatto ed in diritto alla
base della soluzione proposta nella Relazione; in particolare non viene
contrastato il rilievo del Relatore in merito alla carenza in ricorso di
allegazioni idonee a dimostrare la funzione, che si asserisce
esclusivamente integrativa, svolta dalla seconda consulenza disposta in
grado di appello ed in merito al fatto che le censure del ricorrente
esprimono un mero dissenso diagnostico, intrinsecamente inadeguato
a dimostrare la decisività dell’errore delle conclusioni attinte dal
secondo consulente.
Consegue il rigetto del ricorso e la condanna degli odierni ricorrenti
alla rifusione all’INPS delle spese del giudizio di legittimità, liquidate
come da dispositivo.

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inidonea, in ragione di quanto sopra detto, a sollecitare il sindacato di

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione all’INPS
delle spese del xtiesente giudizio che liquida in C 3.000,00 per compensi
professionali, € 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie determinate
nella misura del 154)/0, oltre accessori di legge.
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della

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