Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14600 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. III, 09/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 346/2017 R.G. proposto da:

D.P.G., e D.T., rappresentato e difeso

dall’Avv. Emilia Pernisco, con domicilio eletto presso il suo studio

in Roma, piazza dei Navigatori, n. 23/c;

– ricorrente –

contro

doBank S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in

qualità di mandataria della Arena NPL One S.r.l., rappresentata e

difesa dall’Avv. Gennaro Uva, con domicilio eletto presso il suo

studio in Roma, via Cassiodoro, n. 1/A;

– controricorrente –

D.L.T., rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Pavia, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pompeo Ugonio, n.

3;

– controricorrente –

CAF S.p.a., in persona del procuratore speciale R.L., in

qualità di mandataria della Deutsche Bank S.p.a., rappresentata e

difesa dall’Avv. Pier Luigi Boscia, con domicilio eletto in Roma,

via dei Gracchi, n. 209, presso lo studio dell’Avv. Cesare Cardoni;

– controricorrente –

D.P.E.;

– intimato –

Banca Popolare di Ancora S.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 18859 del Tribunale di Roma pubblicata il 12

ottobre 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 febbraio 2020

dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;

uditi gli Avv. Filippo Giampaolo per delega dell’Avv. Emilia

Pernisco, l’Avv. Antonio Sansoni per delega dell’Avv. Gennaro Uva,

l’Avv. Carlo Pavia e l’Avv. Antonio Manganiello per delega dell’Avv.

Pier Luigi Boscia;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso limitatamente ai primi quattro motivi;

inammissibile per il resto, per difetto di autosufficienza.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.P.G. e D.T., terze datrici di ipoteca a garanzia di un mutuo concesso dalla Banca Popolare di Ancona S.p.a. a D.P.E., subivano l’espropriazione forzata dell’immobile ipotecato, di cui erano comproprietarie. All’udienza fissata per la vendita, le terze pignorate rivolgevano al giudice dell’esecuzione “istanza di svincolo della loro quota di proprietà con conseguente richiesta di estinzione del pignoramento quanto alla loro posizione”; esponevano, a sostegno della loro richiesta, di aver versato la somma di Euro 63.500,00 su libretto bancario vincolato all’estinzione dei debiti della procedura “a copertura della sorte a titolo di mutuo”.

Il giudice dell’esecuzione riteneva non sufficiente la somma depositata e, quindi, rigettava l’istanza, disponendo la prosecuzione della procedura e l’aggiudicazione dell’immobile.

Avverso l’ordinanza di aggiudicazione le terze datrici di ipoteca proponevano opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., esponendo che le somme depositate erano “satisfattive rispetto alla sorte precettata per le rate di mutuo insolute e tali da consentire l’estinzione della propria posizione, pari al 66% dell’intero immobile”.

Il giudice dell’esecuzione, disposta la comparizione delle parti, rigettava l’istanza di sospensione, assegnando un termine entro il quale le opponenti introducevano il giudizio di merito.

In pendenza del giudizio di opposizione, veniva fissata l’udienza per l’approvazione del progetto di distribuzione. In quella sede la D.P. e la D. proponevano opposizione – ai sensi dell’art. 512 c.p.c. e art. 617 c.p.c., comma 2 – dolendosi, in particolare, del calcolo degli interessi effettuato dalla Banca Popolare di Ancora S.p.a., nonchè della liquidazione delle spese.

Introdotta la fase di merito, veniva disposta la riunione delle due cause di opposizione agli atti esecutivi. Successivamente, il Tribunale di Roma dichiarava inammissibile l’opposizione avverso l’ordinanza di aggiudicazione e rigettava quella in materia distributiva; compensava le spese tra i comproprietari e condannava le attrici al pagamento, in favore di ciascuna parte costituita, delle spese di lite, che liquidava in Euro 13.430,00, oltre accesso di legge.

Avverso la suddetta sentenza D.P.G. e D.T. hanno proposto ricorso straordinario per cassazione articolato in otto motivi. Hanno resistito, con separati controricorsi, la Arena NPL One S.r.l. per il tramite della mandataria doBank S.p.a., l’aggiudicatario dell’immobile D.L.T. e la CAF S.p.a., in qualità di mandataria della Deutsche Bank S.p.a..

D.P.E. e la Banca Popolare di Ancora S.p.a. non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 I primi quattro motivi si rivolgono contro la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la prima opposizione agli atti esecutivi, cioè quella avente ad oggetto il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione ha rigettato l’istanza di svincolo della quota dell’immobile ipotecato di proprietà delle opponenti.

In particolare, con il primo motivo (erroneamente numerato come secondo), le ricorrenti si dolgono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – della “errata qualificazione ed interpretazione della domanda di opposizione agli atti esecutivi proposta ex artt. 617 e 618 c.p.c. e art. 163 c.p.c.”. In particolare, denunciano un “vizio di motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo” e sostengono che la decisione impugnata sia fondata sull’erroneo presupposto che l’atto opposto fosse l'”ordinanza cautelare” pronunciata dal giudice dell’esecuzione in data 30 maggio 2013, a definizione della fase sommaria del giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., piuttosto che l’ordinanza di aggiudicazione.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 113 e 163 c.p.c., consistita in un’erronea riqualificazione della domanda, tale da integrare un vizio di extrapetizione. La censura concerne la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che “la parte, lungi dal formulare la domanda di merito, si è limitata a chiedere la revoca dell’ordinanza di aggiudicazione del bene staggito che – come è noto – è atto del G.E.”. Sostengono, invece, le ricorrenti di aver correttamente formulato la domanda di merito, come chiaramente indicato nell’atto di citazione, in cui si legge “disporre la revoca e/o l’annullamento e/o l’invalidazione dell’ordinanza di aggiudicazione dell’immobile sito in (OMISSIS), al sig. D.L.T. rimettendo la causa all’udienza per la verifica delle somme sul libretto intestato alla procedura”.

Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 618 c.p.c. e dell’art. 186-bisdisp. att. c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., consistita nella “errata statuizione che la competenza a decidere della domanda di opposizione all’aggiudicazione sia del G.E.”.

Con il quarto motivo (erroneamente numerato come quinto) deducono la violazione degli artt. 487,617 e 618 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., con riferimento alla “statuizione secondo cui la “revoca” dell’ordinanza di aggiudicazione sarebbe di competenza del G.E.”.

I quattro motivi, largamente sovrapponibili, possono essere esaminati congiuntamente e devono essere accolti, nei termini che seguono.

1.2 L’apparato argomentativo della decisione impugnata, per la parte che concerne la prima opposizione, si compendia in poche parole: “Quanto alla prima (opposizione), attinente all’asserita illegittimità dell’aggiudicazione, la domanda, così come formulata nell’atto introduttivo, non può che essere dichiarata inammissibile atteso che la parte, lungi dal formulare la domanda di merito, si è limitata a chiedere la revoca dell’ordinanza di aggiudicazione del bene staggito che – come è noto – è atto del G.E.”.

Tale motivazione presta il fianco alle censure formulate in ricorso sotto molteplici aspetti.

Anzitutto, il petitum dell’opposizione era ben chiaro, in quanto la stessa era volta, come subito dopo ha precisato lo stesso Tribunale, ad ottenere la “revoca” del provvedimento opposto (ossia dell’ordinanza di aggiudicazione), con tale espressione riferendosi evidentemente alla declaratoria di nullità processuale o comunque di invalidità di quello. Dunque, è erronea l’affermazione secondo cui le opponenti sarebbero state “lungi dal formulare la domanda di merito”.

In secondo luogo, la motivazione non raggiunge il “minimo costituzionale” indispensabile alla stregua della giurisprudenza di legittimità formatasi pur dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al cui esito residua un limitato ambito di rilevanza del vizio di motivazione. Tale vizio non è più espressamente previsto fra i motivi di ricorso per cassazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, Rv. 650880; Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828). Nel caso di specie è dato rilevare un contrasto irriducibile fra l’affermazione secondo cui le ricorrenti non avrebbero formulato una domanda di merito e l’enunciazione, immediatamente successiva, del petitum che si assume essere mancante.

Infine, è erronea anche l’asserzione secondo cui la “revoca” dell’ordinanza impugnata è “atto del G.E.”. Invero, il Tribunale sembra aver indebitamente confuso l’ipotesi della revoca, in senso proprio, degli atti del giudice dell’esecuzione, consentita dall’art. 487 c.p.c., fintanto che non abbiano trovato attuazione, con la denuncia di nullità articolata dalle ricorrenti con l’opposizione agli atti esecutivi proposta ex art. 617 c.p.c., comma 2. Piuttosto, l’opposizione con la quale si denunciano i vizi relativi alla regolarità formale degli atti della procedura esecutiva è volta ad ottenere, per l’appunto, dal giudice del merito la declaratoria di nullità dell’atto opposto. Pertanto, il Tribunale investito della relativa domanda non poteva respingerla affermando che la competenza funzionale spettasse al giudice dell’esecuzione. A ragionare in questi termini, la fase di merito dell’opposizione agli atti esecutivi sarebbe sempre priva di qualsivoglia significato pratico e giuridico.

Per tutte queste ragioni, il capo della sentenza impugnata relativo alla prima opposizione deve essere cassato.

1.3 Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, è possibile decidere nel merito l’opposizione agli atti esecutivi, erroneamente dichiarata inammissibile.

Essa è infondata.

Infatti, le ragioni delle ricorrenti si basano sull’erronea convinzione che, essendo proprietarie solo pro quota dell’immobile ipotecato, potessero liberarlo dal vincolo del pignoramento corrispondendo in denaro un importo corrispondente al valore delle loro quote.

Piuttosto, la sostituzione delle cose pignorate con una somma di denaro è consentita esclusivamente nelle forme dell’art. 495 c.p.c. e solo quando tale somma sia pari, oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese.

Dunque, la conversione del pignoramento prescinde del tutto dal valore della cosa pignorata. A maggior ragione, la somma da corrispondere per conseguire la liberazione del bene non può essere arbitrariamente parametrata alla circostanza che il bene appartiene pro quota a terzi datori di ipoteca. L’unico modo legittimo per ottenere lo svincolo dell’immobile sarebbe stato quello di pagare per intero tutti i debiti.

Ne consegue la legittimità del provvedimento opposto.

2.1 Il quinto, il sesto e il settimo motivo attengono alla seconda delle opposizioni riunite, concernente la controversia distributiva.

In particolare, con il quinto motivo (par. 9) si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte la sentenza impugnata ha ritenuto che la misura degli interessi riconosciuti alla Deutsche Bank S.p.a. fosse conforme a quanto previsto dall’art. 2855 c.c.. Tale statuizione non terrebbe “conto degli atti di causa” e, in particolare, del tenore delle contestazioni sollevate dalle opponenti circa la misura degli interessi.

Con il sesto motivo (par. 10) si deduce nuovamente la violazione dell’art. 112 c.p.c., stavolta consistita nell’avere il Tribunale totalmente omesso di pronunciarsi sulla domanda spiegata dalle opponenti relativa alle spese liquidate in favore dell’avvocato Vanni.

Il settimo motivo (par. 11) ha ad oggetto la violazione degli artt. 615,616,617 e 618 c.p.c., nonchè degli artt. 474 e 499 c.p.c. e segg., in quanto “la statuizione sulla liquidazione delle spese legali di cui all’atto di intervento, viola la normativa in materia rispetto a più di una norma di legge. Infatti il Tribunale civile di Roma non ha considerato che: 1) le spese legali della difesa nel giudizio di esecuzione devono essere liquidate dalla decisione cautelare o di merito assunta dal G.E.; 2) nella specie, non è stata emessa alcuna statuizione al riguardo; 3) le opposizioni sul punto sono coperte dal giudicato; 4) l’intervento senza titolo è inammissibile; 5) il Giudice poteva valutare solo le spese dell’intervento”.

2.2 I motivi sono tutti inammissibili per carente esposizione dei fatti di causa (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) e difetto di specificità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

In particolare, il quinto motivo sembra che non riguardi la sentenza impugnata, bensì l’ordinanza del giudice dell’esecuzione pronunciata in udienza. Se così fosse, le opponenti avrebbero dovuto opporre, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., quel provvedimento. Altrimenti, il ricorso risulta inammissibile in quanto la confusa esposizione dei fatti di causa rende impossibile comprenderne l’effettiva portata.

Quanto al sesto motivo, le ricorrenti omettono di indicare non soltanto i documenti cui questo è fondato, ma anche gli stessi fatti di causa pertinenti. Non è dato comprendere, infatti, cosa sia accaduto nel giudizio di merito. In particolare, le ricorrenti non indicano in dettaglio quale sarebbe il tenore della domanda su cui, a loro dire, il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi, nonchè quando e come una simile domanda sia stata prospettata (pag. 24).

Infine, il settimo motivo si compone dell’elencazione di una serie di circostanze del tutto aspecifiche e quasi incomprensibili, il cui impatto sulla sentenza impugnata non viene chiarito nei termini di uno o più puntuali vizi di legittimità. Di conseguenza, il motivo non è inquadrabile in nessuna delle ipotesi tassative previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, risultando totalmente mancante l’esposizione stessa delle ragioni per le quali è domandata la cassazione della sentenza impugnata.

3. Con l’ottavo motivo (par. 12) si denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., in quanto le spese di lite sarebbero state liquidate a tutte le parti nella stessa misura, senza alcuna distinzione tra parti costituite e non, senza tenere conto che si trattava di due giudizi riuniti ed in violazione del D.M. Giustizia n. 55 del 2014.

Il motivo è inammissibile.

Le ricorrenti sono risultate totalmente soccombenti rispetto ad entrambe le domande riunite, così che è esclusa la violazione del principio di soccombenza, restando precluso qualsivoglia sindacato volto a verificare la congruità della liquidazione operata dal Tribunale (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017 Rv. 646335 01; Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013 Rv. 627183 – 01; Sez. 5, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017 Rv. 643477 – 02).

L’asserzione secondo cui il “Tribunale nel P.Q.M. ha riconosciuto il medesimo importo delle spese legali, sia per le parti costituite in tutto il giudizio, anche per parti processuali non costituite (tra cui il sig. D.L.)” è smentita dalla sentenza che – proprio nel dispositivo – precisa che la liquidazione delle spese è disposta “in favore di ciascuna delle altre parti costituite”.

4. In conclusione, la decisione relativa alla prima delle due opposizioni riunite deve essere cassata, ma, essendo possibile decidere nel merito, la stessa deve essere rigettata in quanto infondata.

Le censure che riguardano il capo della sentenza impugnata relativo alla seconda opposizione sono invece inammissibili, sicchè sul punto passa in giudicato la statuizione del Tribunale.

Stante la parziale cassazione della sentenza impugnata, occorre procedere alla rinnovazione della liquidazione delle spese processuali del giudizio di merito complessivamente inteso, attesa la necessaria unitarietà del relativo capo e di conseguenza così assorbita quella già operata nella gravata sentenza, come da dispositivo.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico delle ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Poichè il ricorso è stato parzialmente accolto, benchè nel merito la domanda sia stata rigettata, non sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

accoglie, per quanto di ragione, i primi quattro motivi di ricorso e dichiara inammissibili i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai soli motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione proposta avverso l’ordinanza emessa in data 30 maggio 2013. Condanna le opponenti in solido al pagamento delle spese processuali del processo di merito, che liquida in Euro 13.400,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, per ciascuna delle parti costituite, e del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, per ciascuna delle parti controricorrenti.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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