Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14598 del 13/07/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 1 Num. 14598 Anno 2015
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo ed il secondo motivo, deducendo vizio di
motivazione, il ricorrente censura la statuizione sub a) di parte
narrativa, lamentando, rispettivamente, che la Corte d’appello non
aveva considerato che, col provvedimento di omologazione del
concordato preventivo, il Tribunale di Savona aveva riservato al
GD di scegliere le più opportune azioni di recupero dei crediti
mentre, nella specie, tale autorizzazione non era stata richiesta, e
che, nel luglio 2002, epoca della richiesta del ricorso in
monitorio, la Società non aveva la disponibilità dei propri diritti
dispiegando effetti, fino alla data del 24.1.2003, la sentenza
dichiarativa di fallimento. 2. I motivi sono entrambi
inammissibili: il primo, perché non censura la ratio decidendi

2

Data pubblicazione: 13/07/2015

secondo cui l’intervento in giudizio del liquidatore giudiziale
aveva provveduto a sanare la dedotta irregolarità, ed attiene
comunque, ad un profilo nuovo (pure privo di senso logico, a dire

contenente la prescrizione in tesi inosservata, del marzo 2003
successiva alla proposizione del ricorso in monitorio del luglio
2002); il secondo perché muove da un dato fattuale che non trova
riscontro nell’impugnata sentenza, che ha, al contrario, dato conto
che la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento è passata in
giudicato il 5 ottobre 2000, data di emissione della relativa
pronuncia da parte di questa Corte.
3. Col terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli
artt. 180 cpc, 29, co 5, del dPR n. 1063 del 1962, in relazione
all’art. 360, 10 co, n. 3 cpc, evidenziando che la Corte territoriale
non aveva rilevato che la questione della mancanza di
comunicazione per atto scritto dell’ultimazione dei lavori,
attenendo al procedimento di esecuzione degli appalti pubblici,
poteva esser rilevata d’ufficio, e non era pertanto soggetta a
preclusione processuale.
4. Col quarto motivo, si deduce, nuovamente la violazione
dell’art. 29, co 5, del dPR n. 1063 del 1962, in relazione all’art.
360, 1° co n. 3 cpc, per avere l’impugnata sentenza ritenuto che
l’atto dirigenziale del 21.3.2002 o la successiva delibera della
GM del 4.4.2002 che lo ha recepito potessero tener luogo della
comunicazione scritta di cui all’art. 29 co 5 del citato dPR.

3

della controricorrente, essendo la sentenza di omologazione,

5. Con l’ottavo mezzo (erroneamente indicato come
settimo), il ricorrente denuncia il vizio di motivazione in
relazione alle conseguenze della mancata comunicazione

l’insussistenza della mora di essa stazione appaltante e, per
l’effetto, del diritto agli interessi.
6. I motivi, che, censurando il punto b) di parte narrativa,
vanno congiuntamente esaminati, sono infondati. 7. Disattesa
l’eccezione di novità della questione prospettata col terzo mezzo,
che postula, appunto, trattarsi di diritti indisponibili e sollecita in
tal senso l’esame della Corte, va osservato che il verbale di
ultimazione dei lavori costituisce una certificazione redatta dal
direttore dei lavori in contraddittorio con l’appaltatore (art. 62
R.D. n. 350 del 1895 e 29 co 5 del dPR n. 1062 del 1963), che ha
interesse a far constare l’avvenuta ultimazione dell’opera: la
sottoscrizione di tale atto ha, infatti, la funzione di accertare, in
modo sicuro, l’esecuzione del contratto ed a segnare l’inizio
dell’articolato procedimento descritto dal R.D. n. 350 del 1895,
art. 102, e segg., destinato a confluire nel collaudo (o, come nella
specie, nel certificato di regolare esecuzione). 8. Nella specie, tale
accertamento risulta, del tutto legittimamente, effettuato dalla
stazione appaltante in via amministrativa, mediante la delibera
della GM n. 139 del 4.4.2002, con cui, come riferisce lo stesso
ricorrente, è stato recepito l’atto dirigenziale del 21.3.2002 e si è
dichiarato di considerare ultimati i lavori nella data del 5.10.1990,

4

dell’ultimazione dei lavori da parte dell’appaltatore e 1 cioè,

data alla quale l’appaltatrice ha, poi, fatto riferimento nel
richiedere gli interessi moratori sulla rata di saldo. Tanto basta
per il rigetto delle doglianze, tenuto conto che il Comune non può

dell’appaltatrice, e, comunque, non può, di certo, operare siffatto
jus poenitendi mediante atti processuali, che, per di più,
immutano, del tutto, l’originaria strategia difensiva.
9. Con il quinto motivo (erroneamente indicato nuovamente,
come quarto), il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2948 n.
5 cc, in relazione all’art 360, 1° co, n 3, cpc in riferimento alla
statuizione su c) della narrativa. Il ricorrente evidenzia che gli atti
interruttivi della prescrizione risalgono, solo, al 1995 e che il
termine di prescrizione è quinquennale. 10. Il motivo è infondato,
alla stregua del principio, ormai consolidatosi secondo cui: “La
prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948, n. 4, cod. civ.,
anche per quanto concerne gli interessi, è applicabile soltanto a
condizione che la relativa obbligazione rivesta i caratteri indicati
per la fattispecie genericamente indicata dalla norma con
l’espressione “e, in genere, tutto ciò che deve pagarsi
periodicamente ad anno o in termini più brevi”, la quale si
riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata, caratterizzate
dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo
con il decorso del tempo. Ne consegue che l’obbligazione relativa
agli interessi, per potere essere assoggettata alla disposizione,
deve rivestire il connotato della periodicità. La disposizione non è

5

disconoscere il suo proprio accertamento a scapito

pertanto applicabile, in difetto del richiamato requisito della
periodicità, agli interessi moratori di fonte legale dovuti a causa
del ritardo nel pagamento del prezzo dell’appalto, ai sensi degli

del 2005; n. 12140 del 2006; n. 23670 del 2006; n. 17197 del
2012).
11. Con il sesto motivo (indicato come quinto), si deduce la
violazione degli artt. 645 e 163 cpc, nonché 1283 cc, in relazione
all’art 360, 1° co, n. 3 cpc, per avere la Corte genovese ritenuto
tardiva l’eccezione relativa al divieto di richiedere gli interessi
anatocistici, potendo la questione essere sollevata d’ufficio.
12. Col settimo motivo (indicato come sesto), il ricorrente
lamenta il vizio di motivazione, in cui è incorsa l’impugnata
sentenza nel ritenere che, in sede d’opposizione al decreto
ingiuntivo, si fosse genericamente contestato il calcolo degli
interessi, per la loro eccessività, e non anche per la violazione del
divieto di anatocismo, e, comunque, nel non motivare sulle
ragioni per le quali si era discostata dalle valutazioni contenute
nella memoria di replica relative all’imputazione del pagamento.
13. I motivi, relativi alla statuizione sub d) della narrativa, e,
perciò, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili. 14.
Premesso che la regola dell’anatocismo è applicabile, in
mancanza di usi contrari, a tutte le obbligazioni pecuniarie sulla
quale spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui
agli artt. 35 e 36 del dPR n. 1063 del 1962 (cfr. Cass. SU n. 9653

6

artt. 33 e ss. del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (Cass. n. 14080

t

del 2001; Cass. n. 2934 del 2002; n. 10692 del 2005; n. 26267 del
2010; n. 18438 del 2013 ) che escludono che il debito per interessi,
anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale, si

derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al
risarcimento del maggior danno ex art. 1224, co 2, cc), il
ricorrente tralascia di esporre le eccezioni relative al “divieto di
chiedere interessi anatocistici” che avrebbero dovuto esser
rilevate d’ufficio. 15. In particolare, la questione, svolta in seno al
motivo, secondo cui gli interessi anatocistici sarebbero stati
richiesti ex adverso a decorrere non dalla domanda, ma ex art..35
del dPR 1063 del 1962 (in tal caso non si tratterebbe di
un’eccezione in senso tecnico, ma di una mera difesa, volta a
contestare, in parte, la fondatezza della pretesa avversaria) è
nuova e priva del tutto di autosufficienza, non avendola affrontata
l’impugnata sentenza, che si, è piuttosto riferita alla genericità
della contestazione dei calcolo -asseritamente in eccesso- degli
interessi e non alla decorrenza di quelli anatocistici. 16. Il vizio di
motivazione è, nel resto, inammissibile, potendo tale censura
utilmente svolgersi in riferimento ad accertamenti di fatto, ed
attenendo, invece, la questione dell’imputazione del pagamento
agli interessi anziché al capitale (in difetto del consenso del
creditore), al profilo di diritto relativo al criterio legale posto
dall’art. 1194 cc.

7

configuri come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale

17. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
PQM
pagamento delle spese che si liquidano in e 7.200,00, di cui E
200,00, per spese, oltre accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2015.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA