Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14596 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. III, 09/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17658/2016 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO,

13, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA, ROMA CAPITALE (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 348/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

11/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/02/2020 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SARA CISTRIANI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.F. convenne dinanzi al Giudice di pace di Roma il Comune di Roma e la società Equitalia Sud s.p.a., dichiarando formalmente di agire ex art. 615 c.p.c. e chiedendo l’annullamento di un sollecito di pagamento, emesso sulla base di una cartella esattoriale per l’importo di Euro 2.067,59, a sua volta emessa per il recupero di cinque diverse sanzioni amministrative irrogate per violazioni del C.d.S..

L’opponente dedusse che non gli erano mai stati notificati i verbali di contestazione dell’infrazione.

2. Con sentenza 17 maggio 2012 n. 21031 il Giudice di pace accolse la domanda solo in parte, limitandosi a dichiarare l’illegittimità dell’applicazione delle maggiorazioni e respingendola per il resto.

Ritenne il Giudice di pace che la contestazione relativa alla mancata notifica dei verbali avrebbe dovuto essere proposta con opposizione della L. n. 689 del 1981, ex art. 22, nel termine di decadenza di 30 giorni.

3. La sentenza venne appellata da P.F., il quale dedusse che per l’opposizione da lui proposta, intesa a far valere la mancata formazione del titolo esecutivo a causa della mancata notifica dei verbali, non vi era alcun termine di decadenza.

Propose appello incidentale anche Roma Capitale, la quale si dolse dell’accoglimento dell’opposizione limitatamente alle maggiorazioni.

4. Con sentenza 11 gennaio 2016 n. 348 il Tribunale di Roma rigettò l’appello principale ed accolse l’incidentale.

Ritenne il Tribunale che avverso la cartella esattoriale e l’avviso di mora emessi ai fini della riscossione di sanzioni amministrative è ammissibile l’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22, soltanto ove la parte deduca che quegli atti costituiscono il primo atto per mezzo del quale è venuta a conoscenza della sanzione; in tal caso, però, l’opposizione deve essere proposta, pena di inammissibilità, nel termine di 30 giorni previsto dal citato art. 22.

Poichè nel caso di specie l’opposizione proposta era fondata sulla mancata notifica dei verbali, correttamente il giudice di pace l’aveva dichiarata inammissibile in quanto tardiva, non avendo fornito l’attore prova del momento in cui aveva ricevuto la notifica del sollecito di pagamento e, di conseguenza, della tempestiva proposizione dell’opposizione.

5. Il Tribunale accolse invece l’appello incidentale proposto da Roma Capitale.

Ritenne il Tribunale che, nella parte in cui lamentava la illegittima applicazione delle maggiorazioni, l’opposizione andava qualificata come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., da proporre a pena di decadenza entro 20 giorni dal compimento dell’atto che si assume il legittimo. Ritenne tuttavia il Tribunale che non vi fosse la prova in atti della tempestività di tale opposizione, e cioè che l’atto fosse stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica entro il ventesimo giorno dalla ricezione dell’invito al pagamento.

6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da P.F. con ricorso fondato su due motivi.

La causa, già fissata per l’adunanza camerale del 13 settembre 2019, con ordinanza 5 dicembre 2019 n. 31869 è stata rinviata alla pubblica udienza, in particolare per la disamina del secondo motivo di ricorso.

Nessuna delle parti intimate si è difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (contraddistinto dalla lettera “B”, pagina 5 del ricorso), il ricorrente sostiene che l’opposizione con cui si contesti l’inesistenza del titolo esecutivo e di legittimità dell’iscrizione a ruolo, per mancata notifica dei verbali della cartella esattoriale, il rimedio esperibile dalla parte interessata è l’opposizione ex art. 615 c.p.c., per la quale la legge non prevede termini di decadenza.

2. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., in quanto invoca un principio già ripetutamente giudicato erroneo da questa Corte (ex multis, in tal senso, si veda Sez. 6-3, Ordinanza n. 14496 del 07/06/2013, Rv. 626692-01, secondo cui “l’opposizione proposta avverso una cartella esattoriale emessa ai fini della riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del C.d.S., quando basata su vizi di notificazione dell’atto presupposto costituito dal verbale di contestazione dell’infrazione stradale, del quale l’opponente lamenti di essere venuto a conoscenza solo in occasione della notificazione della cartella esattoriale, presenta natura di opposizione della L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 22”), e sancito in via definitiva dalle Sezioni Unite di questa Corte con la decisione pronunciata da Cass. Sez. U. 22/09/2017, n. 22080 (seguita già, tra molte, da Cass. ord. 23/10/2018, n. 26843, o da Cass. ord. 06/05/2019, n. 11789).

3. Col secondo motivo (anch’esso contraddistinto dalla lettera “B”, pagina 8 del ricorso) il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’erroneità della sentenza d’appello nella parte in cui ha accolto l’appello incidentale proposto da Roma Capitale.

Deduce il ricorrente che l’appello incidentale di Roma Capitale non poteva essere accolto perchè:

-) era tardivo, in quanto proposto oltre il trentesimo giorno dalla conoscenza legale del provvedimento da impugnare, che nel caso di specie andava ravvisata nella notifica dell’impugnazione principale;

-) Roma Capitale non poteva beneficiare dell’istituto dell’impugnazione incidentale tardiva ex art. 334 c.p.c., in quanto il suo gravame era diretto a ottenere la riforma di un capo della sentenza di primo grado che non aveva formato oggetto dell’impugnazione principale, cioè l’accoglimento dell’opposizione limitatamente alle maggiorazioni.

4. Il motivo è infondato.

Mentre l’appello principale non può che essere tempestivo, quello incidentale può essere anche, a determinate condizioni, tardivo.

Stabilisce infatti l’art. 334 c.p.c., per quanto qui interessa, che “le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione (…) possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine (…)”.

La corretta interpretazione di questa norma aveva dato luogo, in passato, a varie oscillazioni giurisprudenziali, ricomposte tuttavia da un duplice intervento delle Sezioni Unite di questa Corte.

L’orientamento più antico, infatti, adottava una lettura restrittiva dell’art. 334 c.p.c., ritenendo che l’impugnazione incidentale tardiva ivi prevista fosse consentita non contro ogni capo della sentenza, nè contro ogni controparte processuale, ma solo entro limiti oggettivi e soggettivi precisi, vale a dire:

(a) dal punto di vista oggettivo, quando:

(a1) l’impugnazione incidentale aveva ad oggetto lo stesso capo di sentenza impugnato con l’impugnazione principale;

(a2) l’impugnazione incidentale aveva ad oggetto un capo di sentenza dipendente da, o connesso con, quello impugnato con l’impugnazione principale;

(b) dal punto di vista soggettivo, l’impugnazione incidentale tardiva era ammessa solo se proposta contro l’impugnante principale, ma non se proposta adesivamente rispetto all’impugnante principale, e contro l’appellato principale.

Questo orientamento era stato criticato in dottrina, perchè sotto il manto dell’uniformità nascondeva asperrimi contrasti circa la definizione del concetto di “capo di sentenza”, che da talune decisioni veniva individuato in base al corrispondente “capo di domanda” e da altre decisioni considerato sinonimo di “questione controversa”, anche se conosciuta incidenter tantum.

A comporre questi contrasti intervenne dapprima la decisione di Sez. U, Sentenza n. 4640 del 07/11/1989, Rv. 464074-01, la quale ampliò l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 334 c.p.c..

Ritennero in quel caso le Sezioni Unite che:

(a) la ratio dell’art. 334 c.p.c., è una finalità “transattivo-ritorsiva”: la norma infatti ha lo scopo di indurre la parte parzialmente vittoriosa a rinunciare all’impugnazione, per non correre il rischio che l’appellato, attraverso l’impugnazione tardiva, possa rimettere in discussione anche le parti della sentenza favorevoli all’appellante principale;

(b) se questa è la ratio della norma, essa sarebbe frustrata se si impedisse all’appellato di impugnare tardivamente anche capi di sentenza diversi da quelli impugnati in via principale, perchè l’esigenza di favorire la definitiva composizione della lite, dissuadendo le parti dall’impugnazione, sussiste anche in questa ipotesi;

(c) ergo, l’interesse a proporre l’impugnazione tardiva non coincide con quello che sorge dalla mera soccombenza, ma è un interesse diverso e sorge dall’impugnazione altrui, “che tende a modificare l’assetto di interessi che l’impugnato, in mancanza dell’altrui impugnazione principale, avrebbe accettato”.

Per effetto della sentenza appena ricordata, cadde il limite all’impugnazione incidentale tardiva rappresentato dalla medesimezza o dipendenza tra il capo di sentenza impugnato dall’impugnante principale e quello impugnato dall’impugnante incidentale. A quest’ultimo, di conseguenza, si è consentito impugnare qualsiasi capo della sentenza, anche se diverso da quello investito dall’impugnazione principale.

4.1. La sentenza appena ricordata, tuttavia, aveva ad oggetto un caso in cui l’impugnante principale e quello incidentale avevano rivolto le proprie impugnazioni l’uno contro l’altro. Restava, perciò, irrisolto il problema dell’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva nel caso in cui l’impugnante incidentale non solo avesse impugnato un capo diverso da quello impugnato dall’impugnante principale, ma l’avesse fatto rivolgendo la propria impugnazione contro una parte diversa dall’impugnante principale, come nel caso della c.d. impugnazione adesiva.

Anche tale problema venne risolto da un successivo intervento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 24627 del 27/11/2007, Rv. 600589-01).

Tale sentenza ampliò ulteriormente l’ambito di applicazione dell’art. 334 c.p.c., ma questa volta dal punto di vista soggettivo.

La decisione appena ricordata aveva infatti ad oggetto un caso in cui, rimasti soccombenti due coobbligati solidali, solo uno di essi impugnò tempestivamente la sentenza, mentre l’altro l’impugnò tardivamente in via incidentale.

Tutte e due le impugnazioni erano ovviamente rivolte contro il creditore comune.

Chiamate a stabilire se l’impugnazione incidentale tardiva fosse in questo caso ammissibile, le Sezioni Unite hanno dato a tale quesito risposta affermativa, ancora una volta facendo leva sul concetto di “interesse” all’impugnazione. Nella motivazione della sentenza 24627/07, infatti, si afferma che sussiste un interesse all’impugnazione tardiva, meritevole di tutela, tutte le volte che l’impugnazione proposta da uno qualsiasi dei litisconsorti, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche accettate da uno qualsiasi degli altri, poichè darebbe luogo o ad una soccombenza totale, oppure ad una soccombenza più grave di quella stabilita dalla sentenza impugnata.

Per effetto di questa sentenza si è ammessa anche l’impugnazione incidentale tardiva rivolta contro parti diverse dall’impugnante principale (o “adesiva”).

Questa ammissibilità tuttavia non è automatica e non sussiste sempre e comunque, ma esige che il giudice valuti se l’interesse all’impugnazione tardiva, nel caso concreto, possa davvero reputarsi sorto per effetto dell’impugnazione principale: e dunque si tratterà di stabilire caso per caso se l’accoglimento eventuale di quest’ultima possa pregiudicare o meno l’impugnante incidentale tardivo. In caso affermativo l’impugnazione tardiva sarà ammissibile, nel caso contrario no.

4.2. Questo essendo il diritto quo utimur, ne emerge la palese infondatezza del secondo motivo di ricorso.

Sul piano soggettivo, infatti, nel nostro caso l’impugnazione incidentale tardiva è stata proposta contro l’impugnante principale, e dunque non poteva sussistere sotto questo profilo alcun dubbio sull’ammissibilità.

Sul piano oggettivo, l’impugnazione incidentale aveva ad oggetto un capo di sentenza diverso da quello investito dall’impugnazione principale, ma in un caso in cui l’interesse ad impugnare per Roma Capitale era indiscutibilmente sorto dall’impugnazione principale: se, infatti, quest’ultima fosse stata accolta, Roma Capitale avrebbe perduto il credito scaturente dall’inflizione della sanzione amministrativa, con ovvia modificazione dell’assetto di interessi risultante dall’esito del primo grado di giudizio.

E tanto bastava per far sorgere l’interesse all’impugnazione incidentale tardiva, per quanto esposto in precedenza.

5. Il ricorso va rigettato, per l’inammissibilità del primo motivo e l’infondatezza del secondo, ma, per la indefensio degli intimati, non è luogo a provvedere sulle spese.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di P.F. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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