Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14593 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1003 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Casalinghi De Feo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Carmine Giovine per

procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, via dei Gracchi, n. 151, presso lo studio degli Avv.ti

Francesco Segreto e Luca Di Genio;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

Per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, n.

316/12/2012, depositata il giorno 7 maggio 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti di Casalinghi De Feo s.p.a. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, aveva proceduto al recupero di costi fittizi e di costi non documentati; avverso il suddetto atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’appello non conteneva motivi specifici avverso la pronuncia di primo grado, limitandosi ad una riproduzione delle argomentazioni già in precedenza svolte e senza addurre profili nuovi da condurre ad una riforma della pronuncia impugnata; l’accertamento compiuto dall’amministrazione finanziaria era legittimo ed era stato contrastato con argomentazioni privi di rilevanza e strumentali; l’avviso di accertamento era sufficientemente motivato mediante il rinvio al processo verbale di constatazione conosciuto o conoscibile da parte del contribuente; relativamente alle indagini bancarie, oltre che sussistere l’apposita autorizzazione, in ogni caso la mancanza della stessa non poteva condurre ad una valutazione di inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita; la contribuente aveva rinunziato alla contestazione relativa al recupero del costo di cui alla fattura emessa dalla ditta C.M.;

avverso la suddetta pronuncia la società ha proposto ricorso affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello con il quale la società aveva censurato la decisione di primo grado per mancata pronuncia sul motivo di ricorso relativo alla contestazione inerente i rapporti tra la stessa e la CDF distribuzione s.r.l., in particolare sul rilievo della natura fittizia delle operazioni riportate nelle fatture emesse nei confronti di quest’ultima società e poi stornate con note di credito;

il motivo è fondato;

si evince dall’avviso di accertamento riprodotto dalla ricorrente (pag. 9-14) che lo stesso aveva avuto riguardo, fra l’altro, alla contestazione della natura oggettivamente inesistente delle operazioni di cui alle fatture emesse nei confronti della CDF Distribuzione s.r.l. e successivamente stornate;

risulta, altresì, che già in sede di ricorso originario (vd. pag. 15-18, ricorso) la società contribuente aveva contestato la legittimità dell’avviso di accertamento relativamente alla pretesa basata sulla fittizietà delle operazioni di cui alle suddette fatture, ritenendo non sufficienti le prove presuntive poste a fondamento del rilievo e ricostruendo, secondo la propria prospettazione difensiva, l’effettiva natura dei rapporti commerciali tra le due società;

risulta, infine, che, a seguito della pronuncia del giudice di primo grado, la società aveva proposto appello con il quale, tra i diversi motivi di impugnazione, aveva anche prospettato la mancata considerazione del motivo di ricorso in esame (pag. 22-26), riproponendo le ragioni di doglianza prospettate dinanzi al giudice di primo grado;

sulla questione in esame non risulta che la sentenza censurata si sia pronunciata, avendo, già in sede di svolgimento del processo, fatto unicamente riferimento alle altre due ragioni di ripresa di cui all’avviso di accertamento e senza, di conseguenza, avere esposto, in parte motiva, alcuna considerazione circa la fondatezza o meno della medesima;

non rileva, va osservato, l’argomentazione difensiva della controricorrente sul punto, in ordine al fatto che gli esiti dell’attività ispettiva non avevano dato luogo a recupero di imposta e che la contestazione riguardava la sola sanzione: il motivo di doglianza prospettato dalla società ricorrente già in sede di primo grado riguardava la non legittimità dell’accertamento in quanto mancante dei presupposti e tale prospettazione ineriva anche alle conseguenze che nell’avviso di accertamento erano state fatte derivare, cioè al calcolo della sanzione complessivamente irrogata; con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, nonchè per motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, per avere ritenuto che le risultanze delle indagini svolte in ambito penale sono liberamente utilizzabili in sede tributaria a prescindere dal rilascio dell’autorizzazione di cui al suddetto art. 33, cit., e per averla ritenuta, comunque, esistente, nonostante il fatto che la stessa non era stata esibita e prodotta in giudizio;

il motivo è infondato;

la giurisprudenza di questa Corte ha precisato (Cass. civ., 20 luglio 2017, n. 22788; Cass. civ., 27 gennaio 2016, n. 1464; Cass. civ., 16 dicembre 2011, n. 27149; Cass. civ., 16 maggio 2007, n. 11203), che l’autorizzazione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, ha un funzione di garanzia ai soli fini del processo penale, cioè a salvaguardia della riservatezza delle relative indagini e non già a tutela dei soggetti coinvolti nel procedimento penale medesimo o di terzi, sicchè finanche l’eventuale mancanza di autorizzazione non è preclusiva dell’utilizzabilità ai fini dell’accertamento tributario dei dati trasmessi;

la pronuncia del giudice del gravame è quindi conforme al suddetto principio;

inammissibile, inoltre, è la ragione di censura relativa al vizio di motivazione, in quanto è stata proposta non in relazione ad una circostanza di fatto, ma alla non sufficiente motivazione sulla questione, in diritto, della utilizzabilità delle risultanze delle indagini svolte in sede penale quando non sia stata rilasciata l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria;

nè può assumere rilievo la ragione di censura con cui si contesta l’affermazione “apodittica” del giudice del gravame in ordine al fatto che l’autorizzazione era stata comunque rilasciata;

il giudice del gravame ha compiuto un accertamento in fatto, non contrastato specificamente dal ricorrente, circa la circostanza che, nella fattispecie, l’autorizzazione era stata rilasciata;

tale circostanza, peraltro, risulta confermata dalla trascrizione del processo verbale di constatazione notificato alla ricorrente e, quindi, alla stessa noto, di cui alle pagg. 10 e 11 del controricorso; peraltro, va osservato che l’eventuale errore percettivo del giudice del gravame avrebbe dovuto essere censurato come errore revocatorio;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 42, commi 2 e 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè per violazione dell’art. 115 c.p.c. e per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, per aver

ritenuto motivato l’avviso di accertamento nonostante il fatto che lo stesso rimandasse, a sua volta, ad una comunicazione della Tenenza della Guardia di finanza di Sapri ed a una documentazione bancaria di riferimento, non allegati al processo verbale di constatazione nè notificati unitamente all’avviso di accertamento;

il motivo è infondato;

il giudice del gravame ha ritenuto, risolvendo la questione del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, che era sufficiente il rinvio ad altro atto conosciuto o conoscibile dal contribuente ovvero al contenuto del processo verbale di constatazione, in tal modo implicitamente pronunciandosi sulla completezza motivazionale dell’atto impugnato;

va quindi osservato che ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente, nonchè al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass. civ., 13 febbraio 2019, n. 4176; Cass. civ., 25 marzo 2011, n. 6914; o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. civ., 25 luglio 2012, n. 13110;

quel che rileva, dunque, ai fini della valutazione della sufficienza

della motivazione dell’atto impositivo, è la circostanza che lo stesso, anche mediante l’allegazione o il richiamo ad altro atto già

conosciuto dal contribuente, consenta di avere contezza degli elementi necessari e sufficienti per comprendere le ragioni della pretesa, profilo, come detto, risolto dal giudice del gravame sulla base della implicita considerazione della sufficienza motivazionale dell’atto impugnato;

nè sussiste violazione dell’art. 115 c.p.c., che si prospetta solo quando si alleghi che il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 11 dicembre 2015, n. 25029; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960): eventualità, che non ha a che vedere con la fattispecie considerata; nè, infine, può rilevare il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in quanto la questione relativa alla sufficienza motivazionale dell’atto impugnato è stata, correttamente, definita sulla base della ritenuta completezza degli elementi, come riscontrabili dal contenuto del processo verbale di constatazione già notificato al ricorrente;

con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere ritenuto di non pronunciarsi sul motivo di gravame con cui era stata censurata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto legittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria relativa alla detrazione dell’Iva di cui alla fattura n. 26 della ditta C.M.;

il motivo è infondato;

va in primo luogo osservato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100), in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati;

sotto tale profilo, pur cumulando il presente motivo ragioni di censura di per sè eterogenee (vizio di motivazione, violazione di legge, error in procedendo), deve ritenersi che, tenuto conto del contenuto del motivo, con lo stesso si sia voluto, in sostanza, censurare la sentenza per non essersi pronunciata sullo specifico motivo di appello;

sotto tale profilo, va osservato che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, in ordine alla questione in esame il giudice del gravame si è pronunciato, ritenendo che parte ricorrente aveva rinunciato alla contestazione nel giudizio di appello, in tal modo procedendo ad una valutazione del contenuto dell’atto di impugnazione e rilevando che nessuna contestazione sulla sentenza del giudice di prime cure era stata prospettata;

nè può rilevare il passaggio dell’atto di appello, riportato nel ricorso, sul quale parte ricorrente intende basata la presente ragione di censura, che non contiene alcuna specifica doglianza sulla pronuncia del giudice di primo grado, sicchè non può ragionarsi in termini di omessa pronuncia;

in conclusione, è fondato il primo motivo, infondati gli altri motivi, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale per il motivo accolto, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo motivo, infondati i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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