Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14592 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. II, 26/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 26/05/2021), n.14592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20671-2016 proposto da:

COMUNE DI MONTEBELLO VICENTINO, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE PARIOLI 41, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA

MANFREDI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIOVANNI BERTACCHE;

– ricorrente –

contro

G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIANPAOLO FRIGO, MAURO CONTIN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 382/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Comune di Montebello Vicentino ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 382/2016, pubblicata il 25 febbraio 2016, che ha riformato la sentenza n. 1612/2007 del Tribunale di Vicenza.

2. Resiste con controricorso G.C..

3. In data 3 novembre 2000, a conclusione di una procedura di asta pubblica, G.C. stipulò col Comune di Montebello Vicentino un contratto di compravendita, acquistando un compendio immobiliare. Il prezzo a base d’asta era stato fissato in Lire 330.000/mq, in rapporto all’estensione del lotto edificabile indicata nell’avviso in complessivi mq. 1919, così come risultante dai dati catastali. Avendo, però, l’acquirente verificato che la superficie reale dell’area fosse inferiore a quella individuata nell’avviso di asta pubblica (giacchè pari a complessivi 1844 mq, poi rideterminati in corso di causa in 1825 mq), con citazione del 19 marzo 2001 G.C. domandò di accertare il proprio diritto alla riduzione del prezzo e la condanna del convenuto Comune alla restituzione di quanto indebitamente versato, pari alla differenza tra l’importo di Lire 767.600.000 e l’importo di Lire 737.600.000, oltre accessori.

4. IL Tribunale di Vicenza con sentenza del 20 giugno 2007 rigettò le domande di G.C., il quale propose appello in via principale, mentre il Comune di Montebello Vicentino impugnò in via incidentale la decisione di primo grado relativa alla parziale compensazione delle spese di lite.

5. La Corte d’appello di Venezia, accogliendo l’appello di G.C., ha affermato che l’avviso di asta pubblica, nel descrivere l’immobile oggetto di vendita, non conteneva un riferimento ai confini nè al frazionamento che conteneva tali dati, e neppure poteva intendersi integrato dalla Det. 14 aprile 2000, n. 126. Secondo la sentenza impugnata, l’avviso d’asta pubblica – unico atto rappresentativo della volontà esterna dell’ente comunale – non poteva essere integrato con dati estrinseci e non espressi. Nè, al fine di applicare l’art. 1538 c.c., bastava il richiamo dell’art. 1 dell’avviso d’asta ai mappali catastali, in quanto privo di specificazione del tipo di frazionamento e dei rispettivi confini di ciascun mappale ed accompagnato unicamente l’estensione complessiva dell’area. Il contratto del 3 novembre 2000, sottolinea la sentenza impugnata, riproduceva il contenuto del decreto di aggiudicazione, individuando quale oggetto di alienazione un lotto di 1919 mq al prezzo di Lire 400.000 per ciascun metro quadrato. Il medesimo contratto andava perciò soggetto all’art. 1537 c.c., non rilevando in senso contrario l’accettazione del bando di gara contenuta nella lettera di offerta. Stimata la superficie complessiva reale dell’area venduta in 1844 mq, il Comune di Montebello Vicentino è stato condannato a restituire la somma di Euro 15.943,71 (Lire 30.000.000), oltre interessi dal 27 marzo 2001.

6. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c. Il controricorrente ha depositato memoria in data 8 gennaio 2021.

7. Il primo motivo del ricorso del Comune di Montebello Vicentino denuncia la violazione degli artt. 1346 e 1362 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. Si assume che l’oggetto del contratto fosse stato ben determinato e individuato dall’amministrazione comunale nell’avviso d’asta, avendo anche riguardo alla Det. 14 aprile 2000, n. 126 facendosi riferimento ai dati catastali ed al frazionamento eseguito dal geometra Scalchi. Secondo il ricorrente, il compratore G. aveva avuto piena contezza della discrepanza tra superficie catastale (pari a 1919 mq) e superficie reale del lotto (pari a 1844 mq), in quanto l’avviso di gara e la lettera di gara erano parte integrante della Det. n. 126 del 2000.

Il secondo motivo del ricorso del Comune di Montebello Vicentino deduce la violazione degli artt. 1322,1337,1366,1375 e 1537 c.c., nonchè della L. n. 15 del 1968, art. 4 per avere la Corte d’appello ritenuto che, sebbene il compratore G. non avesse reiterato, al momento della conclusione del contratto, le riserve avanzate con lettera del 29 giugno 2000, ed avesse anzi dichiarato di aver preso visione del bando d’asta e del modulo di offerta e di aver accettato integralmente le relative condizioni, egli potesse comunque invocare l’applicazione dell’art. 1537 c.c., giacchè la rinuncia a tale norma, come si legge nella sentenza impugnata “avrebbe meritato una specifica e chiara pattuizione in tal senso, evidenziata con doppia sottoscrizione”. Il ricorrente evidenzia che l’accettazione senza riserve del G. era contenuta in atto notorio e, dunque, era stata resa “a pena di falsità”. Si prospetta la contrarietà a correttezza e buona fede del comportamento del G. il quale, ben conoscendo la divergenza tra misure reali e catastali, si era determinato comunque a stipulare il contratto senza riserve.

8. I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi e risultano infondati nei termini di seguito chiariti.

8.1. La Corte d’appello di Venezia ha evidenziato come il giudice di primo grado avesse ritenuto che “dalla combinata analisi dell’avviso d’asta e della determinazione amministrativa n. 126 di data 14/04/2000 derivasse la possibilità, per chi era interessato a partecipare all’asta pubblica, di apprendere che con l’individuazione della superficie complessiva dell’area offerta si intendeva fare riferimento ai dati catastali, di regola considerati nelle aste pubbliche come unico riferimento certo e verificabile, che ciò fosse notorio al pari dell’eventualità che potessero emergere discrepanze tra la superficie catastale e la superficie reale del bene staggito, che l’attore potesse quindi rendersi conto di tale differenza usando la normale diligenza, che la stessa parte aveva peraltro attestato, sottoscrivendo il modulo di offerta di acquisto predisposto dal Comune, di aver preso visione e conoscenza delle condizioni del bene nonchè ritenuto congrue e integralmente accettate le condizioni d’asta, che correttamente il contratto di compravendita di data 03/11/2000 indicava quindi la superficie catastale dei singoli mappali componenti il compendio, il prezzo al metro quadro e il prezzo complessivo, e con quel contenuto era stato sottoscritto dall’acquirente aggiudicatario, senza alcun richiamo alla riserva di ripetizione del pagamento eccedente già espressa con nota del 25/07/2000”.

La sentenza impugnata, per pervenire alla qualificazione della vendita come “a misura”, ha invece sostenuto che “nel caso in esame è mancato il riferimento ai confini perchè l’avviso d’asta pubblica, nel descrivere l’oggetto della vendita, non ha fatto richiamo al frazionamento che tali dati conteneva nè poteva intendersi implicitamente integrato dai riferimenti contenuti nella determinazione n. 126 del 14-04-2000 (costituendone, viceversa, esso stesso elemento integrativo, insieme al modulo d’offerta predisposto dall’ufficio tecnico comunale)”.

La Corte d’appello di Venezia ha poi negato che, al fine di ritenere piuttosto applicabile l’art. 1538 c.c., fosse determinante “il mero riferimento, contenuto nell’art. 1 dell’avviso d’asta, ai mappati individuati al NCT… privo com’è di richiami al tipo di frazionamento e ai confini di ciascun mappate e accompagnato invece e solo dalla indicazione della loro rispettiva estensione in metri quadrati, della risultante superficie complessiva dell’area e del prezzo fissato per ogni metro quadrato: ne risulta così espressa la proposta cessione di un lotto individuate a misura, rappresentando quest’ultima l’unico parametro utile per la individuazione del rapporto sinallagmatico tra le prestazioni reciprocamente offerte dal Comune e assunte dall’aggiudicatario”.

La sentenza impugnata prosegue affermando che “il contratto di compravendita stipulato il giorno 03/11/2000 riproduce, date le premesse ivi espresse, i medesimi presupposti della formazione dell’accordo già cristallizzati con il decreto di aggiudicazione, col riferimento alia cessione di un lotto di 1919 m2 a fronte di un corrispettivo determinato in Lire 400.000 per ciascun metro quadrato: anche a prescindere dal richiamo alle riserve già espresse dall’aggiudicatario con la nota del 25-07/2000, il contratto di compravendita – quale atto ultimo a definizione della procedura d’asta pubblica – resta quindi assoggettato all’applicazione dell’art. 1537 c.c….”. La Corte di Venezia conclude, infine, che “anche l’attestazione – contenuta nella lettera d’offerta predisposta dalla Amministrazione comunale – di aver preso visione dello stato dei luoghi e di approvarlo, accettando senza riserve e condizioni il contenuto del bando d’asta e del modulo d’offerta non comporta alcuna implicita rinuncia all’applicazione dell’art. 1537 c.c., che avrebbe meritato una specifica e chiara pattuizione in tal senso, evidenziata con doppia sottoscrizione”.

8.2. Al di là dell’erroneità di tale ultimo riferimento alla necessità della “doppia sottoscrizione” (che presumibilmente suppone la natura vessatoria della ipotizzata clausola ma avendo riguardo alla cornice delle condizioni generali di contratto ex art. 1341 c.c., cornice cui è estranea la fattispecie in esame), la sentenza della Corte d’appello di Venezia ha deciso le questioni di diritto ad essa sottoposte in modo conforme all’orientamento consolidato di questa Corte.

8.3. Le due censure proposte dal Comune di Montebello Vicentino denotano innanzitutto una carente indicazione del contenuto del bando di vendita, dell’offerta, del verbale di aggiudicazione e del contratto, e ciò agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

8.4. Si ha riguardo a contratto traslativo di un bene immobile di un ente locale, stipulato dalla Pubblica Amministrazione con il sistema dell’asta pubblica: la normativa di settore ravvisa, allora, nel provvedimento di aggiudicazione – trasfuso in apposito processo verbale che tiene luogo del contratto – un atto di accertamento dell’avvenuta formazione dell’accordo in virtù dell’incontro della proposta dell’amministrazione contenuta nel bando, e costituente proposta al pubblico ai sensi dell’art. 1336 c.c., con quella del miglior offerente. Perchè l’effetto traslativo della proprietà dell’immobile oggetto della procedura d’asta pubblica possa prodursi già nel momento in cui viene redatto il verbale di aggiudicazione, occorre tuttavia che il bando si riferisca ad un bene esattamente individuato, altrimenti verificandosi, in virtù dell’art. 1376 c.c., soltanto al momento della stipula del susseguente rogito in favore dell’acquirente-aggiudicatario, in cui le parti manifestano legittimamente il reciproco consenso in relazione al bene effettivamente venduto mediante l’asta, con l’esatta ed integrale indicazione di tutti i suoi estremi (cfr. indicativamente Cass. Sez. 1, 11/06/2004, n. 11103; Cass. Sez. 3, 22/06/2009, n. 14545).

8.5. Proprio valutando l’identificazione dell’immobile alla stregua degli elementi obiettivi contenuti negli atti del procedimento, particolarmente nel bando di vendita, nel provvedimento di aggiudicazione e nel contratto, la Corte d’appello ha accertato la vendita fosse “a misura” e non “a corpo”.

8.6. Decisiva, a tal fine, nelle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata è stata la considerazione che gli atti del procedimento indicassero in complessivi mq. 1919 l’estensione del bene alienato e che il prezzo fosse stabilito non in un importo unitario, quanto in ragione di un tanto per ogni unità di misura sia nel bando (Lire 330.000 al mq) che nell’offerta (Lire 400.000 al mq). In sostanza, la vendita per cui è causa era caratterizzata, stando alla compiuta ricostruzione dei giudici del merito, dalla circostanza che la determinazione dei confini del lotto oggetto di asta dipendeva dalla misurazione, e non era invece indipendente dall’estensione preventivata del fondo.

8.7. E’ conforme all’interpretazione di questa Corte il principio secondo cui la differenza tra vendita a corpo (art. 1538 c.c.) o a misura (art. 1537 c.c.) attiene unicamente all’influenza dell’estensione del bene sul prezzo pattuito, mentre non produce effetti in ordine all’individuazione della cosa compravenduta, per la quale l’indicazione dei confini ha funzione essenziale ove sia precisa e riscontrabile sul terreno (ad esempio, Cass. Sez. 2, 07/06/2000, n. 7720; Cass. Sez. 2, 27/12/1993, n. 12791; Cass. Sez. 2, 06/11/1978, n. 5045; Cass. Sez. 2, 13/01/1976, n. 91). La distinzione, peraltro, diviene rilevante quando, proprio come nel caso in esame, sia controversa tra le parti la prevalenza del criterio di riferimento costituito dalla indicazione di una alcune determinate particelle catastali (nella specie, i mappali e le rispettive estensioni individuate nel N.C.T.), ovvero di quello costituito dalla indicazione della misura complessiva della superficie del fondo venduto (1919 mq). Poichè l’avviso d’asta indicava alcune particelle catastali ed una superficie pari alla somma della estensione delle stesse, era da verificare con i consueti criteri ermeneutici se quelle particelle erano state richiamate come dato catastale meramente descrittivo della superficie comunque pattuita, o come oggetto stesso della vendita, ossia per la loro effettiva estensione (Cass. Sez. 2, 03/04/1979, n. 1906; Cass. Sez. 2, 30/03/1987, n. 3042; Cass. Sez. 2, 10/12/1973, n. 3352).

8.7. La circostanza – sulla quale insistono le censure del Comune di Montebello Vicentino – che l’acquirente G. fosse a perfetta conoscenza della divergenza fra l’estensione dei richiamati elementi catastali risultante dalle mappe e la superficie reale censita vale, piuttosto, a rendere presumibilmente prevalente, nella individuazione del fondo alienato come nella determinazione del prezzo, proprio la misura complessiva di 1919 mq con cui le parti intesero ulteriormente specificare il bene in base alle sue effettive dimensioni (cfr. Cass. Sez. 2, 22/11/2004, n. 22038; Cass. Sez. 3, 27/01/1981, n. 615).

8.8. La Corte d’appello di Venezia ha, pertanto, ravvisato la sussistenza di una vendita a misura, e così riconosciuto al compratore il diritto ad una riduzione del prezzo ex art. 1537 c.c., comma 1, sulla base di un congruo apprezzamento correlato alla volontà contrattuale, che non è censurabile in cassazione per violazione di norme di diritto, come il ricorrente propone, in realtà, al fine soltanto di contrapporre una diversa interpretazione dell’operazione contrattuale rispetto a quella contenuta nella sentenza gravata (cfr. Cass. Sez. 2, 19/12/2019, n. 34025; Cass. Sez. 2, 28/06/2000, n. 8793; Cass. Sez. 2, 23/04/1997, n. 3503).

8.9. Trattandosi di contratto di compravendita immobiliare, di cui è peraltro parte una pubblica amministrazione, le esigenze della forma scritta ad substantiam escludono in radice che potesse ravvisarsi una “rinuncia implicita”, o per fatti concludenti, proveniente dal compratore ed intesa a derogare all’applicabilità dell’art. 1537 c.c., nel senso di considerare del tutto irrilevante l’effettiva estensione dell’immobile al fine della possibilità di chiedere la riduzione del prezzo.

9. Il ricorso va perciò rigettato.

10. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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