Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14591 del 13/07/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 14591 Anno 2015
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DI PALMA SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 27932-2008 proposto da:
C.P.L. IMPERIAL 2 S.P.A.
CO.DI.AL .

S.P.A.,

in

(C.F. 01216000685), già
persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 13/07/2015

domiciliata in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso
l’avvocato LUCIO VALERIO MOSCARINI, che la
2015
851

rappresenta e difende unitamente agli avvocati
PATRIZIO CIPRIANI, GIOVANNI DI BIASE, GIACOMO
COLACITO, giusta procura a margine del ricorso;

ricorrente

1

contro

FALLIMENTO AVIC MARKET S.A.S. DI SALVATORE PALMA E
CO., in persona del Curatore avv. GIANLUCA CESARI,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BRUNO BUOZZI
82, presso l’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che lo

controricorso;
– controricorrente contro

SIDIS TORRE S.A.S.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1324/2008 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 12/05/2015 dal Consigliere
Dott. SALVATORE DI PALMA;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato GREGORIO
IANNOTTA che si riporta e chiede la conferma della
sentenza;

rappresenta e difende, giusta procura in calce al

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

Svolgimento del processo
1.

– Con citazione del 29 novembre 1990, il

Fallimento della S.a.s. Avic Market di Salvatore Palma & C.
(dichiarato dal Tribunale di Roma il 19 aprile 1990) –

Società che aveva incorporato le società s.a.s. Marsica
Gest di Salvatore Palma & C., la s.a.s.. Fucino Gest di
Antonio Palma & C. e la s.a.s. Abruzzo Gest di Salvatore
Palma & C. – convenne dinanzi al Tribunale di Roma la
s.r.l. Maxisidis Pineto e la s.a.s. Sidis Torre, perché
fosse dichiarata l’inefficacia, ai sensi dell’art. 67,
primo comma, n. 2, della legge fallimentare, di alcuni
contratti intercorsi nel periodo sospetto, e fossero
condannate le convenute al pagamento delle somme riscosse
in esecuzione di quei contratti.
Il Fallimento espose che: l) tra il 16 settembre
1986 ed il 14 febbraio 1988 erano stati stipulati quattro
contratti di affitto di azienda: il primo, tra la s.r.l.
So.Ve.Pro. e la Avic Market, avente ad oggetto un
supermercato in Sulmona; il secondo, tra la Interfood e la
Marsica Gest per una azienda in Avezzano; il terzo tra la
s.r.l. Discount Aquila e la Fucino Gest; il quarto tra la
Interfood e la Abruzzo Gest per una azienda in L’Aquila; 2)
tali contratti, che prevedevano un canone pari al 3,20% dei
corrispettivi registrati ed incassati nel mese precedente e
l’obbligo della affittuaria di vendere solo merci acquisite
3

dalla s.p.a.

C.P.L.

So.Ve.Pro. – furono

Imperial – che controllava la
consensualmente risolti tra il 7

febbraio e il 15 giugno 1989; 3) il 16 giugno 1989 la
s.p.a. CPL Imperial 2, che aveva incorporato la So.Ve.Pro.,

la Interfood e la Discount L’Aquila, cedette in affitto
alla Maxisidis Pineto, senza soluzione di continuità con i
precedenti contratti, gli esercizi in Avezzano e Sulmona e
tre giorni dopo alla Sidis Torre il supermercato di
L’Aquila; 4) lo stesso 16 giugno 1989 la Cpl Imperial 2
aveva ceduto alla Maxidis Pineta i crediti vantati nei
confronti della Avic, della Abruzzo Gest e dalla Marsica
Gest, per la somma complessiva di £. 1.308.594.475, e alla
Sidis Torre quelli vantati verso la Fucino Gest per la
somma complessiva di £. 183.039.829; 5) il 18 giugno 1989
la Avic Market, la Abruzzo Gest e la Marsica Gest avevano
conferito alla Maxisidis Pineto mandato a vendere al prezzo
di dettaglio le merci giacenti in magazzino, con una
commissione in favore della mandataria del 20% sul ricavato
e nello stesso giorno la Fucino Gest aveva conferito
analogo mandato alla Sidis Torre; 6) le due mandatarie
avevano venduto le merci delle mandanti, realizzando somme
sufficienti a soddisfare i crediti della Cpl Imperial 2.
Tanto esposto, il Fallimento dedusse che i mandati e
le cessioni dei crediti avevano avuto la funzione di
realizzare una compensazione tra i crediti dalla fallita
4

per la vendita delle merci e i crediti dalla Cpl Imperial
2, poi ceduti, così ponendo in essere un mezzo anomalo per
il soddisfacimento dei crediti nei confronti della fallita
e chiese, pertanto, che: fosse accertato e dichiarato che i

mandati a vendere, le cessioni di credito a favore delle
mandatarie, la esecuzione dei mandati avevano realizzato
una fattispecie complessa, che si configurava come mezzo
anormale di pagamento, revocabile ai sensi dell’art. 67,
primo comma, n. 2, della legge fall.; fossero revocati i
contratti di mandato e fosse dichiarato l’obbligo delle
società Maxisidis Pineto e Sidis Torre a dare il conto
delle vendite realizzate per la fallita; fosse dichiarata
non operativa la compensazione volontaria tra crediti e

debiti, in quanto mezzo anomalo di pagamento; fossero
dichiarati inefficaci tutti i pagamenti eseguiti con il
ricavo dalle vendite e quindi gli atti estintivi dai
crediti ceduti alla Maxisidis e alla Sidis Torre; Maxisidis
e Sidis Torre fossero condannate al pagamento delle somme
riscosse per la vendita al dettaglio in esecuzione dei
mandati e quindi, rispettivamente, delle somme di £.
1.408.593.480 e di E. 187.039.829, oltre interessi,
rivalutazione e risarcimento del danno. In via subordinata
chiese che la revoca dai mandati e della compensazione
fosse pronunziata ai sensi dell’art. 67, secondo comma,
della legge fall.
5

Il Tribunale adito, con sentenza del 14 novembre
1994, respinse le domande.
1.1.

Il Fallimento propose impugnazione dinanzi

alla Corte d’Appello di Roma che, con sentenza dell’8

1.2.

aprile 2001 respinse l’appello.
A séguito di ricorso per cassazione del

Fallimento, la Corte, con sentenza n. 18057/04 dell’8
settembre 2004, accolse il ricorso per quanto di ragione,
cassò la sentenza impugnata e rinviò ad altra sezione
della Corte di Appello di Roma.
In particolare, per quanto in questa sede ancora
rileva, la Corte ha affermato:
rilevato

che

alla

stregua

a) «Va

della

preliminarmente
incontroversa

ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito – la
domanda di revoca del curatore del fallimento della soc.
Avic Market ha avuto ad oggetto i contratti di mandato a
vendere e la sopravvenuta compensazione. I mandati avevano
riguardato le merci rimaste in giacenza negli esercizi
commerciali in Sulmona, Avezzano e L’Aquila ed erano
intervenuti – dopo la risoluzione dei contratti di affitto,
che aveva lasciato le affittuarie debitrici del prezzo di
quanto avevano acquistato da 201 e del canoni – con Maxidis
Pineto e Sidis Torre, nuove affittuarie, cui ppl aveva
ceduto, nello stesso contesto temporale e precisamente due
6

giorni prima, i suoi crediti. Le due creditrici, in quanto
mandatarie, erano rimaste obbligate a trasferire il
realizzo delle vendite, al netto della commissione, e,
trattenendo il prezzo riscosso, avevano ritenuto di operare

la compensazione tra le opposte partite. La complessa
operazione, compiuta attraverso la cessione del crediti, i
mandati a vendere, la loro esecuzione e la conseguente
compensazione tra crediti delle cessionarie, che trovavano
causa nei contratti di affitto inadempiuti da parte delle
mandanti, e i crediti di queste ultime, per il prezzo delle
merci rimaste negli esercizi già in fitto, aveva realizzato
una fattispecie estintiva anomala, sanzionata di
inefficacia dall’art. 67, primo coma, n. 2, L.F. La corte
di merito ha ritenuto che la compensazione non fosse stata
volontaria, ma legale, ed in quanto tale, non
identificandosi con un atto negoziale, non potesse essere
oggetto di azione revocatoria; che gli atti di cessione dei
crediti

non avessero formato oggetto di impugnazione,

trattandosi, peraltro, di negozi intervenuti tra terzi; che
il mandato a vendere non realizzasse una fattispecie
legale, attraverso cui pervenire in modo anomalo alla
estinzione del debito, come invece si ottiene con la
cessione del credito o con il mandato in rem propriam
all’incasso, che conseguono uno scopo ulteriore – quello
solutorio – rispetto alla funzione tipica del singolo
7

negozio. Al contrario – precisa la sentenza impugnata – 11
mandato a vendere consiste in un contratto di
collaborazione nell’attività giuridica, espletato il quale
“il mandatario, realizzata la cooperazione prevista con le

vendite, ha l’obbligo giuridico di rendere il conto e si
costituisce debitore. Se egli è creditore del mandante
opera la compensazione: la estinzione del debito del
mandante non è conseguenza di un negozio giuridico a
carattere solutorio, ma è frutto dell’automatismo della
compensazione”. Conclude la corte territoriale “la doppia
divergenza dalle suddette fattispecie, data, in quella in
esame, dall’essere il collegamento tra negozi (le cessioni
dei crediti da una parte e i mandati a vendere dall’altra)
stipulati tra soggetti diversi e dal non essere i negozi
impugnati (i mandati a vendere) idonei a realizzare il fine
satisfattivo, impedisce di applicare al caso in esame la
sanzione di inefficacia secondo la norma stabilita
dall’art. 67, primo comma, n. 2, 1.f.”»; b) «Le conclusioni
non possono essere condivise, trovando fondamento nella
inammissibile scomposizione degli elementi della
operazione, in quanto finalizzati ad un risultato
pregiudizievole per la nassa del creditori, in linea con lo
schema tracciato dalla legge fallimentare all’art. 67 che,
allorquando considera gli atti estintivi di debiti scaduti
ed esigibili, in quanto capaci di alterare la par condicio
8

creditorum, colloca quelli ordinari tipici nell’area della
normalità e li assoggetta a revocatoria, se infrannuali rispetto alla dichiarazione di fallimento – sempreché il
curatore provi la scientia decoctionis dell’accipiens;

mentre se non effettuati con danaro o con altri messi
normali di pagamento, li sottopone alla revocatoria
aggravata, sino a comprendere il biennio precedente alla
dichiarazione, con l’inversione dell’onere della prova a
carico dell’accipiens, in termini di inscientia
decoctionis. E ciò per il fatto che oltre ad alterare la
par condicio essi determinano, per la loro anormalità,
oggettiva dispersione di risorse, inadeguate essendo quelle
impiegate, rispetto al risultato economico dell’atto
compiuto, e riducono la garanzia patrimoniale del debitore,
quanto gli atti previsti nel n. 1 e nel nn. 3 e 4 del primo
comma della norma. A causa di siffatta potenzialità, la
legge considera qualunque atto che non abbia una propria
natura solutoria, ma che raggiunga il risultato di
estinguere o ridurre la obbligazione pecuniaria, attraverso
intese concordate tra le parti e quindi anche con l’impiego
di negozi caratterizzati da cause tipiche diverse, ovvero
con la utilizzazione di plurimi atti tra loro correlati e
finalizzati alla estinzione del debito, attraverso
procedimenti inusuall nelle comuni transazioni commerciali.
Attesa l’ampiezza della formula legislativa, che considera
9

qualunque mezzo diverso da quello normale di pagamento, non
è ad essa estranea la fattispecie in esame, che ha finito
per realizzare una datio in solutum, con un negozio, quale
il mandato a vendere, che non ha di per sé finalità tipiche

solutorie, ma in quanto inserito in una serie di atti – la
preventiva cessione di crediti al mandatario, che lo aveva
reso creditore del mandante, la vendita delle merci, che lo
aveva esposto all’azione di rendiconto e a rimettere al
mandante tutto ciò che aveva ricevuto a causa del mandato
(art. 1713 c.c.), la successiva compensazione – ha
consentito al creditore di ottenere il soddisfo delle sue
ragioni, in linea con il principio più volte affermato da
questa Corte, secondo cui il fine di estinguere una
precedente passività, come scopo ulteriore rispetto alla
causa tipica dei negozi utilizzati, conferisce alla
operazione complessivamente realizzata il carattere di
anormalità (Cass. 76/2004; 10264/2000; 8703/1998),
qualifica come non normali quei mezzi di pagamento, in cui
il danaro entra in funzione non come strumento di immediata
e diretta soluzione, ma in via mediata ed indiretta, quale
effetto finale di altre forme negoziali (Cass. 9520/1997;
10347/1996; 2706/1995)»; c) «Erra dunque la corte di merito
allorché, dopo essersi correttamente prospettato il
problema se il mandato a vendere possa configurare una
fattispecie legale, attraverso cui realizzare in modo
10

anomalo la estinzione del debito, ed avere considerato che
il carattere anormale può essere riconosciuto alla
estinzione di una precedente passività, anche in virtù di
un collegamento negoziale, ha rilevato che, a differenza

della cessione di credito e del mandato in rem propriam
all’incasso, 11 mandato a vendere consiste in un contratto
di collaborazione in attività giuridica, inidoneo a
realizzare il fine satisfattivo, all’esito della quale il
mandatario ha l’obbligo di rendere il conto e si
costituisce debitore; per cui, se è creditore del mandante,
opera la compensazione e la estinzione del debito di
quest’ultimo è frutto del suo automatismo. La
argomentazione è palesemente contraddittoria, giacché, se
l’anormalità può essere rinvenuta in ogni negozio o serie
negoziale, per via dello scopo pratico che le parti
connettono alla funzione tipica dello strumento utilizzato,
come la sentenza impugnata premette; e se espressamente si
ammette che il mandato in rem propriam realizza una
situazione di estinzione anomala del debito
5061/2001,

(Cass.

1036/1999; 11057 e 4688/1998; 12091/1992;

6467/1987), in quanto dissimula una cessione di credito
compiuta con finalità solutorie, risolvendosi nella
precostituzione di un mezzo sicuro di pagamento per il
mandatario, che del mandante sia creditore, estraneo alle
relazioni commerciali, si appalesa incongrua la conclusione
11

che il mandato di cui si tratta non possa integrare analoga
fattispecie e ciò per il fatto che, se il mandatario è
creditore del mandante, l’estinzione del debito non è
conseguenza di un negozio giuridico a carattere solutorio,

ma frutto della compensazione. Non può, infatti, a tale
effetto finale conferirsi rilievo, quanto invece allo
strumento impiegato, che lo ha a monte realizzato, non
essendo la estinzione, attraverso la compensazione, a
risultare inefficace, ma il mandato utilizzato per
conseguirla, il quale, come nel mandato in rem propriam,
proprio per il fatto di essere concepito e diretto a
produrre la compensazione e proprio per la circostanza che
– come ogni mandato e non solo quello a vendere – è un
contratto di collaborazione in attività giuridica, si
iscrive nella categoria degli atti anomali, per la
conseguenza, indiretta e mediata, che produce sulla
obbligazione del mandante»;

d)

«Nella specie l’operazione

si arricchì di un ulteriore passaggio – significativo della
stretta correlazione tra loro degli elementi che avevano
costituito l’intera operazione, unificata dallo scopo di
estinguere il debito di Avic Market verso ppl Imperial quello cioè del trasferimento della situazione creditoria a
chi si era trovato nella detenzione delle merci, per via
del nuovo affitto degli esercizi commerciali in cui erano
rimaste; sicché, ad esso attribuendo il mandato a venderle,
12

si perfezionava 11 programma estintivo della obbligazione
della società poi fallita, che vedeva come controparte non
più ppl Imperial, ma le società Maxisidis Pineto e Sidis
Torre. Per le stesse ragioni inconferente è l’affermazione

che ad impedire l’applicazione dell’art. 67 L.F. sia la
circostanza che le cessioni di credito e i mandati a
vendere siano stati regolati tra soggetti diversi, in
quanto non è il passaggio del crediti in capo al mandatario
ad essere oggetto dell’azione revocatoria, avendo esso,
oltretutto perché inter alios, prodotto e restando idoneo a
produrre gli effetti traslativi, mentre quel trasferimento
ha costituito un elemento utile nella operazione a finalità
satisfattive posta in essere, in quanto, essendo le merci
pervenute nella disponibilità delle mandatarie, che il
16.6.1989 erano divenute affittuarie dagli esercizi
commerciali di ppl Imperial 2, nella stessa data ne
rilevarono i crediti verso Avic Market e due giorni dopo
ricevettero da quest’ultima 11 mandato alla vendita; in un
contesto temporale significativo dello stretto collegamento
dei negozi, del quale la corte territoriale non ha dubitato
in punto di fatto, salvo a rinvenire in esso ragioni
ostative al raggiungimento del risultato solutorio,
ottenuto per via di altri eventi giuridici. Non ha pregio,
pertanto, la eccezione di inammissibilità del ricorso
sollevata dalla controri corrente, in quanto “volto a
13

criticare la sentenza di appello su un punto di mero
apprezzamento, quale è quello dalla ricostruzione della
effettiva volontà delle parti”, in ordine all’intento
perseguito “attraverso l’utilizzo della fattispecie

negoziale tipica del mandato a vendere”, atteso che nessuna
censura il ricorrente muove alla valutazione di merito,
avendo invece addebitato alla corte territoriale di avere
tratto conseguenze giuridiche errate da tale pacifica
valutazione. Minor fondamento, ancora, trova la tesi che
nessun danno il conferimento dei mandati aveva prodotto,
non essendosi, comunque, provato che la vendita delle merci
in sede concorsuale avrebbe consentito vantaggi maggiori.
Anche qui manca di considerare la controricorrente che
l’obiettivo dell’azione proposta dalla curatela è il
mandato in chiave satisfattiva del credito del mandatario,
il quale, come si è prima rilevato, ha prodotto un
pregiudizio diretto alla massa concorsuale ed ha alterato
la par condicio creditorum, consentendo al creditore il
soddisfo fuori dalle regole del concorso»; e) «Alla stregua
di tali considerazioni perde qualunque rilevanza la
circostanza che il credito del mandatario sia stato
acquistato prima o dopo il conferimento del mandato.
Erroneamente il ricorrente deduce che l’acquisto fu coevo
se non successivo, per il fatto che la cessione, benché del
16.6.1989, fu notificata al debitore dopo il 18 successivo,
14

data questa del mandato a vendere. È fuor di dubbio,
infatti, che il negozio traslativo si perfezionò il
16.6.1989, mentre successivamente, con la notifica al
ceduto, si raggiunse semplicemente il risultato di renderlo

opponibile a lui, onde evitare che 11 pagamento del debito
fosse eseguito al creditore originario (art. 1264 c.c.). Ma
poiché nella complessiva operazione rilevava che le merci,
che costituivano un mezzo di estinzione del debito della
proprietaria, potessero essere impiegate a quel fine, la
cessione, il mandato, la vendita di esse, l’effetto
compensativo che ne derivava furono concepiti in funzione
solutoria, stante la prossimità temporale in cui si
verificarono, segno di una concordata intesa, che non poté
non interessare tutti gli aspetti dell’operazione, con
l’effetto che il negozio posto in essere dalla fallita,
formalmente precedente o successivo alla cessione, ha
trovato nell’art. 67, primo comma, n. 2, L.F. la sanzione
della inefficacia. Altrettanto inconferente è il richiamo
del ricorrente all’art. 56 L.F., per contestarne
l’applicabilità; e ciò in quanto la caducazione
dell’affetto compensativo risulta indotta dalla inefficacia
del mandato e non rileva che i crediti – peraltro scaduti fossero stati ceduti al mandatario entro o oltre l’anno
anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento. La
sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte
15

di Appello di Roma, altra sezione, la quale si conformerà
al principio di diritto secondo cui “il mandato a vendere
merci proprie del mandante, che sia a sua volta debitore
del mandatario, realizza finalità solutorie, allorché sia

conferito con l’intesa delle parti di estinguere in tutto o
in parte le reciproche ragioni di credito, e si iscrive
nella categoria degli atti anormali di cui all’art. 67,
primo comma, n. 2, L.F.”».
2.

Con citazione del 15 novembre 2004, il

Fallimento della S.a.s. Avic Market di Salvatore Palma & C.
ha riassunto la causa dinanzi alla Corte d’Appello di Roma,
riproponendo le medesime originarie domande, mentre la
s.p.a. CPL Imperial 2 (già s.p.a. Codial) e la s.a.s. Sidis
Torre di Scotto Cesare & C., in persona del curatore
speciale hanno concluso per la reiezione dell’appello.
La Corte adita, con la sentenza n. 1324/08 del 27
marzo 2008, ha così provveduto nel merito:

«In riforma

della sentenza del Tribunale di Roma del 14/11/94 n. 15706,
dichiara inefficaci i mandati a vendere del 18/6/89 tra la
soc. Avic Market, la Abruzzo Gest e la Marsica Gest, da un
lato, e la soc. Maxisidis Pineto, dall’altro, nonché
quello, in pari data, conferito dalla soc. Fucino Gest alla
soc. Sidis Torre; condanna la soc. CPL Imperial 2 a pagare
al fallimento Avic Market C 727.478,34, oltre gli interessi
legali dalla domanda giudiziale; condanna la soc. Sidis
16

Torre a pagare al Fallimento Avic Market € 96.598,01, oltre
gli interessi legali dalla domanda giudiziale».
In particolare, la Corte – dopo aver riprodotto il
principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione a)

per quanto in questa sede ancora rileva, ha affermato:

«In sostanza la pronuncia in esame ha rilevato che, attesa
l’ampiezza della formula legislativa di cui all’art. 67
citato, che considera qualsiasi mezzo diverso da quello
normale di pagamento, non è ad essa estranea la fattispecie
posta all’attenzione della Corte, che ha finito per
realizzare una datio in solutum, con un negozio, quale il
mandato a vendere, che non ha di per sé finalità tipiche
solutorie, ma in quanto inserito in una serie di atti – la
preventiva cessione del crediti al mandatario, che lo aveva
reso creditore del mandante, la vendita delle merci, che lo
aveva esposto all’azione di rendiconto e a rimettere al
mandante tutto ciò che aveva ricevuto a causa del mandato,
la successiva compensazione – ha consentito al creditore di
ottenere il soddisfo delle sue ragioni»;

b)

«In

applicazione dei citati principi non può che ribadirsi
quanto evidenziato dalla Suprema Corte e cioè che l’intera
e complessa operazione compiuta attraverso la cessione dei
crediti_ da parte di CPL Imperial alla Màxisidis ed alla
Sidis Torre, i mandati a vendere le merci rimaste negli
esercizi commerciali rilasciati dalle affittuarie debitrici
17

della CPL a favore delle nuove affittuarie Maxisidis e
Sidis Torre e la sopravvenuta compensazione tra i crediti
delle cessionarie, che trovavano causa nei contratti di
affitto, inadempiuti da parte delle mandanti, ed i crediti

di queste ultime, per il prezzo delle merci rimaste negli
esercizi già in fitto, ha realizzato l’estinzione dei
crediti della CPL imperial nel confronti della fallita, con
pregiudizio della massa dei creditori, in quanto avvenuto
fuori delle regole del concorso. Lo stesso contesto
temporale in cui sono stati posti in essere i negozi, come
già evidenziato dalla Suprema Corte, costituisce
espressione del collegamento esistente tra gli stessi,
unificati dallo scopo di estinguere il debito Avic Market
verso CPL Imperial, e dell’esistenza di un’intesa tra le
parti, che ha interessato tutti gli aspetti
dell’operazione, finalizzata proprio al suddetto fine di
estinguere l’obbligazione della fallita verso la CPL
Imperial, finalità la cui sussistenza è stata più volte
sottolineata nella sentenza della Corte di cassazione»; c)
«Nel costituirsi nel presente giudizio la soc. CPL Imperial
ha rilevato che la scelta delle affittuarie di affidare la
vendita al dettaglio alle nuove affittuarie attraverso 11
mandato a vendere era stata determinata esclusivamente da
una valutazione di pura convenienza economica, e cioè la
valutazione delle merci che esse si erano riservate in
18

proprietà, se fosse stata attuata in qualunque altro modo,
ossia come vendita in blocco ad un altro grossista, ovvero
come svendita al pubblico secondo la tecnica dei saldi,
avrebbe comportato per esse mandanti un costo in ogni caso

molto superiore alla modestissima commissione del 20% che
le mandatarie avevano accettato di percepire sollevando con
effetto immediato le mandanti da tutti i costi di gestione,
tra cui la componente di gran lunga superiore era
costituita dal costo del personale dei supermercati. La
soc. CPL Imperial sottolinea, pertanto, che il mandato a
vendere conferito dalla Avic Market alla Maxisidis Píneto
rappresentava una scelta estremamente conveniente per la
mandante compiuta allo scopo esclusivo di salvaguardare il
patrimonio della società, e non già a consentire una forma
di pagamento anomalo. Premesso che nel giudizio di rinvio
non è possibile produrre nuova documentazione e che,
pertanto, non risulta in alcun modo provato che il
conferimento del mandato a vendere risultava la scelta
maggiormente conveniente, resta da rilevare che la tesi
sostenuta da CPL Imperial non modifica in alcun modo quanto
già evidenziato dalla Suprema Corte con riferimento alla
sussistenza dell’interesse delle mandanti ad estinguere nel
modo più vantaggioso le loro posizioni debitorie verso la
CPL Imperial».

19

3. – Avverso tale sentenza la s.p.a. C.P.L. Imperial

2

(già

s.p.a.

CO.DI.AL .)

ha

proposto

ricorso

per

cassazione, deducendo tre motivi di censura, illustrati con
memoria.

Fallimento della S.a.s. Avic Market di Salvatore Palma & C.
4. – All’esito dell’odierna udienza di discussione,

il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Motivi della decisione
1.

– Con il primo (con cui deduce:

«Violazione e

falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.; omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia – ex art. 360, n.ri 3
c.p.c.»)

e

5

e con il secondo motivo (con cui deduce:

«Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.

,

I

sotto un diverso profilo; omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia – ex art. 360, n.ri 3 e 5 c.p.c.») – i quali
possono essere congiuntamente esaminati, avuto riguardo
alla loro stretta connessione -, la ricorrente critica la
sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di
motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus: a) in forza
del principio di diritto enunciato da questa Corte con la
20

Resiste, con controricorso illustrato da memoria, il

su riprodotta sentenza n. 18057 del 2004 – secondo cui «il
mandato a vendere merci proprie del mandante, che sia a sua
volta debitore del mandatario, realizza finalità solutorie,
allorché sia conferito con l’intesa delle parti di

estinguere in tutto o in parte le reciproche ragioni di
credito, e si iscrive nella categoria degli atti anormali
di cui all’art. 67, primo coma, n. 2, L.F.» -,

hanno

omesso di accertare che, nella specie, fosse intercorsa
un’intesa tra i soggetti coinvolti volta ad estinguere le
reciproche ragioni di credito;

b)

hanno erroneamente

ritenuto che ad integrare detta intesa fosse sufficiente lo
stretto contesto temporale in cui sono stati effettuati i
negozi in questione, omettendo peraltro di valutare
circostanze di segno opposto ritualmente dedotte in
giudizio e militanti univocamente nel senso che i negozi
medesimi sono stati volti a realizzare la scelta
economicamente più conveniente per salvare l’azienda e per
assicurare alla stessa il maggior ricavato possibile dalla
vendita della merce residua.
Con il terzo motivo (con cui deduce:

«Violazione

dell’art. 394 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in
materia di ammissibilità della esibizione di documenti nel
giudizio di rinvio»),

la ricorrente critica ancora la

sentenza impugnata – nella parte in cui ha affermato che
«[….] nel giudizio di rinvio non è possibile produrre nuova
21

documentazione e [….], pertanto, non risulta in alcun modo
provato che il conferimento del mandato a vendere risultava
la scelta maggiormente conveniente» -,

sostenendo che la

necessità di produrre i documenti concernenti la

dell’intesa fraudolenta ipotizzata è insorta proprio a
séguito del principio di diritto enunciato da questa
Corte.
2.

2.1.

Il ricorso è complessivamente inammissibile.

Quanto ai primi due motivi – da qualificarsi

“misti”, siccome denuncianti violazione di legge (art. 2697
cod. civ.) e, al contempo, vizi della motivazione

t

entrambi volti a censurare l’errato, omesso o insufficiente

I

accertamento, da parte del Giudice di rinvio, sulla
«intesa» richiesta dal principio di diritto enunciato da
questa Corte con la sentenza n. 18057 del 2004

(«il mandato

a vendere merci proprie del mandante, che sia a sua volta

I

debitore del mandatario, realizza finalità solutorie,
allorché sia conferito con l’intesa delle parti di
estinguere in tutto o in parte le reciproche ragioni di
credito, e si iscrive nella categoria degli atti anormali
di cui all’art. 67, primo comma, n. 2, L.F.»),

v’è

immediatamente da rilevare che i relativi quesiti non sono
conformi a quanto richiesto dall’art. 366-bis cod. proc.
civ. Il primo

«se, atteso che il mandato a vendere merci
22

convenienza economica dell’operazione a confutazione

proprie del mandante, che sia a sua volta debitore del
mandatario, realizza finalità solutorie, allorché sia
conferito con l’intesa delle parti di estinguere in tutto o
in parte le reciproche ragioni di credito, l’indagine circa

l’effettiva sussistenza di un’intesa in tal senso tra le
parti possa limitarsi alla constatazione della mera
vicinanza temporale degli atti negoziali da esse posti in
essere, ovvero debba essere compiuta tenendo conto di tutti
gli elementi di valutazione a disposizione del giudice,
compreso il fatto che tale vicinanza temporale trova una
diversa ed alternativa giustificazione nell’urgenza della
situazione, e compresa altresì la circostanza per cui
l’operazione comportava sensibili vantaggi per tutti i
soggetti coinvolti indipendenti dall’effetto solutorio»
da qualificarsi come “momento di sintesi” dei vizi di
motivazione denunciati, manca delle ragioni per le quali la
dedotta omissione, insufficienza o contraddittorietà della
motivazione renda questa inidonea a giustificare la
decisione e si risolve sostanzialmente in una critica
all’indagine in fatto, svolta dal Giudice di rinvio,
sull’intento solutorio delle parti. Il secondo –

«se,

qualora la decisione di una controversia dipenda da una
valutazione sui fatti di causa che il giudice può compiere
autonomamente, sia legittimo che lo stesso ometta di
compiere tale valutazione, anche se espressamente
23

prospettatagli da una parte del giudizio, e ritenga
comunque necessaria una specifica produzione istruttoria» , se considerato come quesito di diritto in senso stretto,
risulta (tra l’altro) totalmente astratto rispetto alla

fattispecie concreta, se considerato invece come “momento
di sintesi” dei vizi di motivazione denunciati, manca del
tutto della chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione (cfr.,

ex plurimis,

le sentenze

nn. 20603 del 2007, pronunciata a Sezioni Unite, e 5858 del
2013).
Tutto ciò, a prescindere dalla considerazione che i
Giudici

a quibus,

in forza del più volte ricordato

principio di diritto enunciato da questa Corte – affermando
che «Lo stesso contesto temporale in cui sono stati posti
in essere i negozi, come già evidenziato dalla Suprema
Corte, costituisce espressione del collegamento esistente
tra gli stessi, unificati dallo scopo di estinguere il
debito Avic Market verso CPL Imperial, e dell’esistenza di
un’intesa tra le parti, che ha interessato tutti gli
aspetti dell’operazione, finalizzata proprio al suddetto
fine di estinguere l’obbligazione della fallita verso la
CPL Imperial, finalità la cui sussistenza è stata più volte
24

sottolineata nella sentenza della Corte di cassazione»
hanno compiuto un accertamento di fatto che, in quanto
giustificato da motivazione immune da vizi logici e
giuridici e, soprattutto, immediatamente derivante dalla

passaggi argomentativi

«[_.]

motivazione esplicitata da questa Corte in molteplici
A causa di siffatta

potenzialità, la legge considera qualunque atto che non
abbia una propria natura solutoria, ma che raggiunga il
risultato di estinguere o ridurre la obbligazione
pecuniaria, attraverso intese concordate tra le parti

e

quindi anche con l’impiego di negozi caratterizzati da
cause tipiche diverse, ovvero con la utilizzazione di
plurimi atti tra loro correlati e finalizzati alla
estinzione del debito, attraverso procedimenti inusuali
nelle comuni transazioni commerciali. Attesa l’ampiezza
della formula legislativa, che considera qualunque mezzo
diverso da quello normale di pagamento, non è ad essa
estranea la fattispecie in esame, che ha finito per
realizzare una datio in solutum, con un negozio, quale il
mandato a vendere, che non ha di per sé finalità tipiche
solutorie, ma in quanto inserito in una serie di atti – la
preventiva cessione di crediti al mandatario, che lo aveva
reso creditore del mandante, la vendita delle merci, che lo
aveva esposto all’azione di rendiconto e a rimettere al
mandante tutto ciò che aveva ricevuto a causa del mandato
25

(art.

1713 c.c.), la successiva compensazione – ha

consentito al creditore di ottenere il soddisfo delle sue
ragioni, in linea con il principio più volte affermato da
questa Corte, secondo cui il fine di estinguere una

precedente passività, come scopo ulteriore rispetto alla
causa tipica dei negozi utilizzati, conferisce alla
operazione complessivamente realizzata il carattere di
anormalità [….]»; «[….] Nella specie l’operazione si
arricchì di un ulteriore passaggio – significativo della
stretta correlazione tra loro degli elementi che avevano
costituito l’intera operazione, unificata dallo scopo di
estinguere il debito di Avic Market verso Cpl Imperial quello cioè del trasferimento della situazione creditoria a
chi si era trovato nella detenzione delle merci, per via
del nuovo affitto degli esercizi commerciali in cui erano
rimaste; sicché, ad esso attribuendo il mandato a venderle,
si perfezionava il programma estintivo della obbligazione
della società poi fallita, che vedeva come controparte non
più Cpl Imperial, ma le società Maxisidis Pineto e Sidis
Torre [….]»; Ma poiché nella complessiva operazione
rilevava che le merci, che costituivano un mezzo di
estinzione del debito della proprietaria, potessero essere
impiegate a quel fine, la cessione, il mandato, la vendita
di esse, l’effetto compensativo che ne derivava furono
concepiti in funzione solutoria, stante la prossimità
26

temporale in cui si verificarono, segno di una concordata
intesa, che non poté non interessare tutti gli aspetti
dell’operazione, con l’effetto che il negozio posto in
essere dalla fallita, formalmente precedente o successivo

L.F. la sanzione della inefficacia –

alla cessione, ha trovato nell’art. 67, primo coma, n. 2,
sfugge al

sindacato di legittimità di questa Corte.
2.2. – Quanto al terzo motivo, lo stesso è parimenti

inammissibile.
Decisiva, al riguardo, è la formulazione del quesito
di diritto («Dica l’Ecc.ma Corte se la produzione di nuove
prove documentali in sede di rinvio non sia da giudicare
inammissibile quando si tratti di documenti finalizzati a
soddisfare le esigenze probatorie scaturenti direttamente
dalla sentenza di cassazione»),

totalmente astratto dalla

fattispecie e meramente riproduttivo del terzo comma
dell’art. 394 cod. proc. civ., ciò a prescindere sia dalla
mancanza di autosufficienza del motivo in esame, nella
misura in cui non si precisa il contenuto di tali
documenti, sia dal rilievo che nei due gradi del giudizio
di merito precedenti la sentenza della Corte di cassazione
n. 18057 del 2004 l’oggetto del giudizio concerneva proprio
(anche) l’accertamento delle finalità del più volte
ricordato mandato a vendere conferito dalla Avic Market,
27

-

dalla Abruzzo Gest, dalla Marsica Gest e dalla Fucino Gest
alla Maxisidis Pineto ed alla Sidis Torre.
3. —

Le

spese seguono la soccombenza e vengono

liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
t/
alle spese, che liquida in complessivi C/4.200,00, ivi
compresi C 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di
legge ed alle spese forfetarie.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima
Sezione Civile, il 12 maggio 2015

,

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