Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14590 del 13/07/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 14590 Anno 2015
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DI PALMA SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 27928-2008 proposto da:
MENDER DI BONO IVAN (C.F. BNOVNL73C233041S), in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA B. TORTOLINI

Data pubblicazione: 13/07/2015

34, presso l’avvocato NICOLO’ PAOLETTI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO
2015

CARDANO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente-

850

contro

LANIFICIO LUIGI BOTTO S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE

1

STRAORDINARIA (C.F. 00467110029), in persona del
Commissario Straordinario pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO
CARO 50, presso gli avvocati PAPARUSSO DANILA e
CIRULLI DANIELE, rappresentata e difesa

margine del controricorso;

controricorrente

avverso il decreto del TRIBUNALE di BIELLA,
depositato il 20/10/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 12/05/2015 dal Consigliere
Dott. SALVATORE DI PALMA;
udito, per la ricorrente,

l’Avvocato NATALIA

PAOLETTI, con delega, che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

dall’avvocato GIOVANNI GOBBI, giusta procura a

2

Ritenuto che, con ricorso al Tribunale di Biella in

data 2 aprile 2008, Ivan Bono, quale titolare dell’impresa
individuale Mender, propose opposizione avverso il decreto
di esecutività dello stato passivo dell’Amministrazione
straordinaria della s.p.a. Lanificio Luigi Botto, ai sensi

del combinato disposto degli artt. 53, comma 1, del d. lgs.
8 luglio 1999, n. 270, e 99 della legge fallimentare, nel
testo sostituito dall’art. 84 del d. lgs. n. 5 del 2006,
esponendo che il Giudice delegato – a fronte del credito,
pari a C 54.506,10, fatto valere nei confronti della
Società a titolo di corrispettivo per la prestazione di
servizi (finissaggio di tessili e di articoli di
vestiario), documentalmente fondato su fatture commerciali
non contestate – aveva ammesso tale credito soltanto in via
chirografaria, negando il privilegio di cui all’art. 2751bis, n. 5, cod. civ., nel testo allora vigente, nella parte
in cui prevede(va)

«Hanno privilegio generale sul mobili i

crediti riguardanti:
artigiana

5) i crediti dell’impresa

per i corrispettivi dei servizi prestati

[—H»;
che, costituitasi, l’Amministrazione straordinaria
della s.p.a. Lanificio Luigi Botto, nel chiedere il rigetto
dell’opposizione, contestò che il credito azionato
integrasse l’ipotesi di cui al citato art. 2751-bis, n. 5,
cod. civ.;
3

che il Tribunale adito, con decreto del 20 ottobre
2008, ha rigettato l’opposizione;
che, in particolare, il Tribunale: a) ha individuato
l’esclusivo thema decidendum nella graduazione del credito
del ricorrente; b) ha ritenuto condivisibile l’orientamento

4

giurisprudenziale della Corte di cassazione, secondo cui,
in tema di impresa artigiana, il coordinamento tra la
disciplina codicistica e quella contenuta nella legge
speciale (legge n. 443 del 1985) deve essere realizzato
(tenuto conto che, alla luce delle rispettive normative,
un’impresa può avere i requisiti previsti dalla legge n.
443 del 1985, e non essere tuttavia conforme al modello
delineato dall’art. 2083 cod. civ.), ritenendo che í
criteri richiesti dall’art. 2083 cod. civ., ed in genere
dal codice civile, valgano per la identificazione
dell’impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre
quelli posti dalla legge speciale siano, invece, necessari
per fruire delle provvidenze previste dalla legislazione
(regionale) di sostegno, con la conseguenza che
l’iscrizione all’albo di un’impresa artigiana,
legittimamente effettuata ai sensi dell’art. 5 della citata
legge n. 443 del 1985, pur avendo natura costitutiva, nei
limiti sopra indicati, non spiega alcuna influenza,

ex se,

ai fini dell’applicazione dell’art. 2751-bis, n. 5, cod.
civ., dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine,
4

ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati,
in via generale, dall’art. 2083 cod. civ. (viene richiamata
la sentenza n. 7366 del 1998, erroneamente indicata come
sentenza n. 7366 del 1999); c) ha affermato come, «nel caso
di specie, alla stregua delle rituali e tempestive

allegazioni probatorie acquisite, possa ragionevolmente
escludersi, tenuto conto della natura ed entità dei servizi

prestati dalla impresa facente capo al ricorrente (attività
di finissaggio dei tessili e degli articoli di vestiario)
una “preminenza” (funzionale e/o quantitativa)
dell’attività lavorativa manuale del titolare (circostanza
quest’ultima, tra l’altro, meramente allegata dal
ricorrente

e

non adeguatamente supportata sul piano

probatorio) sia su quella espletata dai dipendenti (n. 6
unità oltre ad un lavoratore autonomo nel periodo di
insorgenza del credito oggetto di insinuazione al passivo)
sia sul capitale complessivamente investito nell’azienda.
Ed invero, tale epilogo valutativo (imposto, è bene
ribadirlo, dagli elementi documentali allegati
dall’opponente ed in mancanza di specifica deduzione di
ulteriori mezzi di prova integrativi) trova decisivo
aggancio logico-induttivo nelle risultanze dell’unico
documento contabile/fiscale prodotto dall’opponente
(operante

in

regime

di

contabilità

semplificata),

rappresentato dalla dichiarazione relativa al periodo di
imposta anno 2006 (quindi non aggiornato alla data di
5

apertura del concorso tra i creditori della Lanificio Luigi
Botto s.p.a.), attestante un volume d’affari di C
497.265,00 ed un valore della produzione determinato al
fini IRAP in 183.361,00: dati contabili questi ultimi
ragionevolmente compatibili, sul plano logico, con una

organizzazione industriale della impresa gestita
dall’odierno ricorrente, inspirata a criteri di
intermediazione speculativa e dotata di autonoma capacità
produttiva, come tale esorbitante dal limiti di una
attività imprenditoriale artigiana, caratterizzata dalla
essenzialità e dalla preponderanza dell’opera lavorativa
del titolare rispetto (anche) ad attività amministrative e
dirigenziali facenti capo al medesimo all’interno
dell’azienda»;
che avverso tale decreto Ivan Bono, quale titolare
dell’impresa individuale Mender, ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo un unico motivo di censura,
illustrato con memoria;
che resiste, con controricorso, l’Amministrazione
straordinaria della s.p.a. Lanificio Luigi Botto;
che, all’esito dell’odierna udienza di discussione,
il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del
ricorso.

6

Considerato che, con l’unico motivo (con cui deduce:

«Omissione, insufficienza e contraddittorietà della
motivazione in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. “Al
sensi dell’art. 366-bis c.p.c. il fatto controverso in
relazione al quale la motivazione della sentenza si assume

omessa, insufficiente e contraddittoria è il riconoscimento
della natura artigiana dell’impresa ai fini
dell’applicazione del privilegio di cui all’art. 2751-bis,
n. 5, c.c.”»),
(cfr.,

supra,

il ricorrente critica il decreto impugnato
Ritenuto,

lettera

c),

sostenendo che

«La

motivazione del Collegio circa l’esclusione nel caso di
specie della prevalenza dell’elemento lavoro sul capitale
risulta viziata in quanto si basa esclusivamente sul dati
del volume d’affari e del valore della produzione, senza
prendere in alcun modo in considerazione tutte le altre
risultanze, emergenti dalle allegazioni probatorie
acquisite, evidenziate nell’atto di opposizione»,

e

sottolineando che le singole circostanze esaminate dal
Tribunale, se correttamente considerate, valgono proprio a
confermare la natura artigiana dell’impresa;
che, con lo stesso motivo, il ricorrente denuncia
inoltre, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.,
l’omesso

«esame della domanda relativa al privilegio

speciale sull’IVA, motivato dal Giudice delegato sulla
mancata allegazione del beni su cui esercitarlo ex art.
7

2758 comma 2 c.c., concretizzando un vizio del procedimento
censurabile quale error in procedendo con violazione
dell’art. 112 c.p.c.»;
che il ricorso è inammissibile per diverse e

concorrenti ragioni;
che, preliminarmente, deve essere affermato che alla
fattispecie si applica,

ratione temporis

(18 aprile 2007,

data della domanda di ammissione al passivo), l’art. 2751bis, n. 5, cod. civ., nel testo aggiunto dall’art. 2 della
legge 29 luglio 1975, n. 426, dianzi riportato, e non come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la
recente sentenza n. 5685 del 2015 – lo stesso articolo nel
testo sostituito dall’art. 36 del d.l. 9 febbraio 2012, n.
5, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. l,
comma l, della legge 4 aprile 2012, n. 35, laddove accorda
il privilegio ai crediti dell’impresa artigiana «definita
al sensi delle disposizioni legislative vigenti»,

in quanto

tale nuova disposizione non ha natura interpretativa e
(quindi) efficacia retroattiva, mancando sia l’espressa
previsione nel senso dell’interpretazione autentica, sia i
presupposti di incertezza applicativa che avrebbero
giustificato l’adozione di una norma di interpretazione
autentica, con la conseguenza che, relativamente al periodo
anteriore all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art.
2751-bis, n. 5, cod. civ. (vigente dalla data del 10
8

febbraio 2012), resta fermo che l’iscrizione all’albo delle
imprese artigiane ai sensi dell’art. 5 della legge 8 agosto
1985, n. 443, non spiega alcuna influenza sul
riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la

all’art. 2083 cod. civ. (cfr. anche in tal senso,

ex

plurimis, la sentenza n. 11154 del 2012);
che, innanzitutto – avuto riguardo all’oggetto e al
contenuto del motivo in esame, con il quale si censura
esclusivamente la motivazione del decreto impugnato -, il
cosiddetto “momento di sintesi”, che deve concludere il
motivo a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366bis,

secondo periodo, cod. proc. civ. (applicabile alla

specie,

ratione temporis, ai sensi dell’art. 27, comma 2,

del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il decreto impugnato
essendo stato pubblicato in data 20 ottobre 2008), è
palesemente inidoneo ad integrare i requisiti di legge;
che, infatti, è diritto vivente che, in tema di

i

formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso
provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del
d.lgs. n. 40 del 2006 ed impugnati per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360,
primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), l’illustrazione di
ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità,
la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
9

I

nozione di “impresa artigiana” dai criteri generali di cui

quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria,
ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la renda inidonea a giustificare la
decisione, sicché la relativa censura deve contenere un

ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e
di valutazione della sua ammissibilità (cfr.,

ex plurimis,

le sentenze nn. 20603 del 2007, pronunciata a Sezioni
Unite, e 5858 del 2013);
che, nella specie, il “momento di sintesi”, così
come formulato e dianzi riprodotto nella rubrica del
motivo, individua non il fatto controverso né le ragioni
censurate ma esclusivamente – peraltro in modo del tutto
avulso dalla concreta fattispecie – il punto della
!

decisione;
che inoltre – a fronte della su riprodotta
motivazione, immune da vizi logici e giuridici, conforme a
principi consolidati (cfr.,

ex plurlmis,

I

la sentenza n.

17996 del 2011 e la citata sentenza delle Sezioni Unite n.
5685 del 2015) e fondata essenzialmente sull’affermazione
della sostanziale mancanza di prova in ordine ai requisiti
della preminenza del fattore lavoro rispetto al capitale
investito e della prevalenza del lavoro personale del
,

titolare dell’impresa, inteso non soltanto in senso
10

“momento di sintesi” (omologo del quesito di diritto) che

quantitativo ma anche funzionale e qualitativo, nonché
a

sull’accertamento di

«dati contabili

valore della produzione]

[volume d’affari e

ragionevolmente compatibili, sul

piano logico, con una organizzazione industriale della
impresa gestita dall’odierno ricorrente, inspirata a

criteri di intermediazione speculativa e dotata di autonoma
capacità produttiva, come tale esorbitante dai limiti di
una attività imprenditoriale artigiana» –

il nucleo delle

censure è complessivamente volto ad una nuova valutazione
degli elementi probatori presi in considerazione dai
Giudici
.

a quibus

inammissibile in questa sede, ciò a

prescindere dall’ulteriore rilievo che la denunciata omessa
considerazione di elementi probatori, asseritamente
favorevoli al ricorrente ed acquisiti al processo, non è
supportata da precisi e specifici riferimenti a circostanze
e/o a documenti ritualmente allegati e/o prodotti ed
offerti in prova nel giudizio a quo;
che palesemente inammissibile è anche il motivo di
omessa pronuncia sulla domanda relativa all’ammissione al
passivo del credito per rivalsa I.V.A. con il privilegio
speciale di cui all’art. 2758, secondo comma, cod. civ., in
quanto lo stesso è formulato dal ricorrente in modo
assolutamente generico, senza alcuna specificazione in
ordine al se il rigetto della domanda da parte del Giudice
delegato abbia formato oggetto dell’opposizione al decreto
.

11

di esecutività dello stato passivo e per quali motivi, ed
inoltre senza formulazione del relativo quesito di diritto
(cfr., ex plurimis, la sentenza n. 10758 del 2013);
che le spese seguono la soccombenza e vengono
liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
alle spese, che liquida in complessivi

e 7.200,00, ivi

compresi 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di
legge, oltre alle spese forfetarie.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima
Sezione Civile, il 12 maggio 2015

4

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