Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14590 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/07/2020, (ud. 24/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. Dell’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22678/13 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

– ricorrente –

contro

SACI IMMOBILIARE MEDITERRANEA S.P.A., oggi FINCOM HOLDING S.P.A., in

persona del legale rappresentante

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Sicilia n. 173/27/12 depositata in data 5 luglio 2012

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 febbraio

2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate notificava alla Saci Immobiliare Mediterranea s.p.a. due avvisi di accertamento con i quali venivano rettificati i redditi di impresa, recuperando a tassazione, per l’anno 1989, la quota di accantonamento per rischi sul credito, perchè ritenuta indeducibile ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, e, per l’anno 1990, costi non inerenti e, per entrambi gli anni d’imposta, la differenza fra gli interessi passivi, afferenti al prestito obbligazionario di lire 1.000.000.000, e quelli attivi di lire 101.621.000 scaturenti da deposito con saldo attivo, entrambi intrattenuti con la Fincom Holding s.p.a.

La Commissione tributaria provinciale dinanzi alla quale la contribuente impugnava gli atti impositivi accoglieva parzialmente i ricorsi, annullando gli avvisi di accertamento limitatamente al recupero a tassazione delle quote di accantonamento rischi su crediti ed ai costi non inerenti e non di competenza, rideterminando il reddito imponibile.

In esito all’appello principale dell’Ufficio ed all’appello incidentale della società, la Commissione tributaria regionale rigettava il primo ed accoglieva parzialmente il secondo. Osservava che i primi giudici, con motivazione adeguata, avevano correttamente annullato i recuperi a tassazione delle quote di accantonamento rischi su crediti ed i costi ritenuti dall’Amministrazione non inerenti e non di competenza, in quanto la contestazione appariva insussistente e in ogni caso perchè l’assunto non era stato adeguatamente provato; altrettanto correttamente avevano respinto le doglianze della società in ordine al recupero a tassazione della differenza fra gli interessi passivi per il prestito obbligazionario assunto e quelli attivi maturati sul conto deposito intrattenuto con la medesima Fincom Holding s.p.a.; riteneva, invece, fondato il rilievo della contribuente riguardante la non assoggettabilità ad Ilor dei redditi degli immobili, avendo la stessa provato, con idonea documentazione, che gli stessi godevano dell’esenzione venticinquennale.

Per la cassazione della sentenza d’appello ricorre l’Agenzia delle entrate, con due motivi.

La contribuente, sebbene ritualmente intimata, non ha svolto attività

difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la difesa erariale censura la decisione impugnata per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 53,71 e 75 (oggi 85, 106 e 109), nella parte in cui i giudici di appello hanno annullato le riprese a tassazione dei costi perchè ritenute non provate. Precisa che la quota di accantonamento era riferibile ad un credito rappresentato dal conto corrente intrattenuto presso la Fincom Holding s.p.a. per lire 1.463.345.069, regolato a tassi bancari, e che il costo era stato recuperato a tassazione ai sensi dell’art. 71, comma 1, del vecchio t.u.i.r., trattandosi di credito non derivante dalla cessione di beni o dalle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio era diretta l’attività di impresa; relativamente, poi, al riconoscimento dell’esenzione Ilor venticinquennale, non aveva effettuato alcuna tassazione, ai fini Ilor, del reddito di fabbricati dichiarato dalla società, ma aveva piuttosto rettificato il reddito d’impresa; in ogni caso, l’esenzione venticinquennale dell’Ilor sul reddito di fabbricati, nel caso di immobili appartenenti ad imprese, spettava soltanto se tali immobili non avevano carattere strumentale rispetto alla produzione del reddito d’impresa.

2. Con il secondo motivo denuncia vizio motivazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ribadendo che la sentenza impugnata è viziata laddove ritiene insussistenti o non provate le contestazioni concernenti i costi non inerenti o non di competenza dell’anno 1990, poichè i giudici di merito non hanno spiegato i passaggi logici che li hanno indotti a ritenere non fondati gli elementi offerti dall’Ufficio.

3. Il primo motivo è fondato nei limiti che di seguito si espongono.

3.1. Come emerge dalla sentenza impugnata e dal ricorso la ripresa a tassazione per l’anno 1989 concerne una quota di accantonamento a copertura di rischi su credito riportato in bilancio, risultante dal rapporto di conto corrente intrattenuto dalla contribuente con la Fincom Holding s.p.a. per lire 1.463.345.060, regolato a tassi bancari; con tale rilievo l’Amministrazione finanziaria ha contestato che l’accantonamento eccede i limiti di deducibilità previsti dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71 (ora 106), comma 1, che recita: “Le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi indicate nell’art. 53, comma 1, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi”.

3.2. In linea generale, va premesso che i crediti devono essere iscritti nel bilancio d’esercizio al valore di presumibile realizzo (art. 2426 c.c., comma 1, n. 8) e ciò comporta che al momento della redazione del bilancio deve essere effettuata una stima di tutti i crediti esistenti in bilancio, in modo da stabilire la parte di essi che non si ritiene esigibile; tale analisi impone di tenere conto della personalità del debitore, delle condizioni del suo settore di attività e del rischio Paese, cioè del rischio che può dipendere da particolari situazioni politico-economiche esistenti nello Stato del debitore. Effettuata la stima dell’ammontare dei crediti che si reputa di non riuscire ad incassare, deve essere effettuata una svalutazione degli stessi per lo stesso importo; a tal fine, il valore nominale dei crediti deve essere rettificato tramite un fondo di svalutazione appositamente stanziato, di modo che i crediti appaiano nello stato patrimoniale al netto della svalutazione stessa.

La svalutazione dei crediti può attuarsi a) in forma analitica per le perdite subite in relazione a situazioni di inesigibilità già manifestatesi, o comunque per altre situazioni di inesigibilità ragionevolmente prevedibili (in tale ipotesi la contropartita della svalutazione è rappresentata da un “fondo svalutazione crediti”), oppure b) in forma generica, ossia non direttamente correlata ad credito specifico, ed in tal caso il relativo accantonamento a “fondo rischi su crediti” deve essere contabilizzato in apposita voce del passivo dello stato patrimoniale.

3.3. Fiscalmente, tale svalutazione non è integralmente deducibile, ma incontra i limiti previsti dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71 (ora 106), comma 1, che dispone la deducibilità dei crediti entro il limite dello 0,5 per cento dei crediti che derivano dall’attività caratteristica dell’impresa, cioè dalle cessioni di beni o dalle prestazioni di servizi produttive di ricavi ai sensi dell’art. 85 t.u.i.r., comma 1; la svalutazione non è più deducibile quando il suo ammontare complessivo ha raggiunto il 5 per cento di tali crediti, risultanti in bilancio, alla fine dell’esercizio. Non concorrono alla formazione del plafond su cui calcolare la svalutazione (deducibile nella misura dello 0,5 per cento) i crediti coperti da garanzia assicurativa, in quanto per questi il rischio dell’insolvenza è garantito dall’assicurazione ed il relativo premio assicurativo è deducibile.

3.4. Tanto premesso, nel caso in esame, la Commissione regionale ha confermato l’annullamento della ripresa a tassazione in esame già pronunciato dai giudici di primo grado, motivando che “la contestazione appariva insussistente” e in ogni caso che “l’assunto non era stato adeguatamente provato” dall’Amministrazione finanziaria.

L’accertamento in fatto svolto dai giudici di merito, sebbene la motivazione resa risulti estremamente sintetica, non può essere rimesso in discussione in questa sede con la censura in esame che, sotto le spoglie del vizio di violazione di legge, poggia su dati fattuali diversi da quelli posti dai giudici di merito a fondamento della decisione; infatti, l’Agenzia delle Entrate, in contrasto con la ricostruzione operata dalla Commissione regionale, assume anche in questa sede che l’accantonamento dedotto eccede i limiti previsti dal citato art. 71 t.u.i.r., comma 1, del e che il credito vantato nei confronti della Fincom Holding s.p.a., non essendo inerente all’attività d’impresa della contribuente, debba essere escluso dai crediti su cui calcolare il fondo rischi, mentre i giudici di merito hanno ritenuto non provate tali circostanze sulle quali l’Amministrazione fonda la propria pretesa.

Va, al riguardo, ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., sez. 6 – 2, ordinanza n. 24054 del 12/10/2017).

Ne discende che la sentenza impugnata va confermata con riguardo alla statuizione afferente alla quota di accantonamento rischi su crediti.

4. A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi con riguardo alla statuizione che ha escluso l’assoggettabilità ad Ilor dei redditi da fabbricati.

Sul punto i giudici di appello, riformando la sentenza di primo grado, hanno affermato che la società contribuente ha provato, con idonea documentazione, che gli immobili godevano dell’esenzione venticinquennale. Così argomentando, non si sono uniformati all’indirizzo costante di questa Corte, secondo cui l’esenzione venticinquennale dell’Ilor sul reddito da fabbricati non ha natura oggettiva e nel caso di immobili appartenenti ad imprese, come in quello di specie, può essere riconosciuta soltanto se tali immobili non abbiano carattere strumentale rispetto alla produzione del reddito d’impresa, atteso che, se tali immobili concorrono alla determinazione del reddito, sono sottratti al regime dei redditi fondiari, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 40, e dunque anche all’esenzione in esame (Cass., sez. 5, n. 4272 del 25/03/2002).

La sentenza, sotto tale profilo, va, pertanto, cassata.

5. Merita accoglimento anche il secondo motivo di ricorso.

La motivazione della sentenza impugnata, con riguardo ai costi recuperati a tassazione perchè ritenuti non inerenti o non di competenza, a fronte degli specifici elementi indicati a sostegno della pretesa tributaria nel verbale di constatazione – allegato dalla ricorrente e ritrascritto in ricorso in omaggio al principio di autosufficienza – risulta gravemente lacunosa, poichè non esplicita il percorso argomentativo che i giudici regionali hanno seguito per addivenire al loro convincimento.

Infatti, ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perchè questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa (Cass., sez. 5, n. 1236 del 23/01/2006; Cass., sez. 6-5, ord. n. 15964 del 29/7/2016; Cass. n. 32980 del 20/12/2018).

6. In conclusione, va accolto il primo motivo nei limiti di cui in motivazione ed il secondo motivo, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla competente Commissione tributaria regionale perchè provveda a nuovo esame ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo nei limiti di cui in motivazione; accoglie il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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