Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1459 del 25/01/2021

Cassazione civile sez. I, 25/01/2021, (ud. 24/09/2020, dep. 25/01/2021), n.1459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6615/2016 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via F. Cesi n.

21, presso lo studio dell’avvocato Parenti Patrizia, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Inzitari Bruno, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in Liquidazione, in persona dei curatori

Dott.ri C.C., e D.L.F., elettivamente

domiciliato in Roma, Via Oslavia n. 14, presso lo studio

dell’avvocato Barbera Marco, rappresentato e difeso dall’avvocato

Marozzi Silvio, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO, depositato il

09/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/09/2020 dal Cons. Dott. Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) S.p.a. in liquidazione, proposto dal ragioniere I.M. contro l’ammissione del proprio credito, in prededuzione, limitatamente ad Euro 38.064,00 – a fronte del petitum di Euro 279.136,00 – in relazione ad attività professionale “consistita nello studio e nell’analisi prodromica alla presentazione del piano concordatario, nell’assistenza e nella presentazione di istanze agli organi” della procedura – asseritamente “riferibile, nel dettaglio, alla predisposizione dell’attestazione di cui alla L. Fall., art. 161, comma 3” – prestata in favore della società poi fallita in forza di contratto concluso nel 2013.

1.1. In particolare, il Tribunale ha rilevato la mancanza di prova “sia dell’effettiva attività svolta, in forza della quale parametrare il compenso, sia anche di elementi idonei a far apprezzare la bontà del piano concordatario presentato” (nonchè di “istanze istruttorie in tal senso”), osservando che – pur non dovendo tenersi conto, ai fini della prededuzione (qui riconosciuta), dell’utilità della prestazione dai suddetti elementi non si potrebbe prescindere ai fini della “determinazione del quantum dovuto”, tanto più che dal diniego di omologazione del concordato emergeva “la non fattibilità giuridica del piano concordatario”.

1.2. Il giudice a quo ha infine evidenziato che l’invocata applicazione del principio di non contestazione, ex art. 115 c.p.c., “riguarderebbe solo l’an della prestazione” e che “la documentazione prodotta dall’opponente appare del tutto insufficiente per affermare nel quantum la sussistenza del diritto dell’opponente all’intero credito così come richiesto”.

2. Il rag. I. ha impugnato il suddetto decreto con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo, cui il Fallimento ha resistito con controricorso.

2.1. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 101,112 e 115 c.p.c., art. 24 Cost., L. Fall., artt. 96, 97 e 99, art. 2697 c.c. – per avere il tribunale “ritenuto carente di prova ed indimostrata in giudizio l’esistenza del mandato professionale in data 18.3.2013 e l’attività professionale” svolta, “pur essendo detta circostanza del tutto pacifica in causa, mai contestata dal Fallimento ed anzi confermata con l’ammissione parziale del credito (…) nello stato passivo della Procedura, avente valore di giudicato endo-fallimentare” – nonchè il “mancato esame di un fatto decisivo, consistente nell’avvenuta prova del contratto di incarico professionale, circostanza sulla quale si era già creato giudicato endo-fallimentare”, ex art. 360 c.p.c., n. 5).

4. Preliminarmente va dato atto che l’eccezione di inammissibilità, ex art. 372 c.p.c., del documento prodotto dal ricorrente (autorizzazione del G.D. L. Fall., ex art. 25, resa “ad abundantiam” in data 05/04/2016) risulta superata dalla irrilevanza del documento medesimo, alla luce della L. Fall., art. 31.

5. Quanto al motivo, le censure da esso veicolate presentano plurimi profili di inammissibilità, formali e sostanziali.

5.1. In primo luogo, il fatto decisivo di cui si lamenta l’omesso esame non è un fatto materiale, bensì un’attività di produzione documentale, che può semmai integrare gli estremi del vizio revocatorio, essendo stato chiarito che “la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4” (Cass. 2529/2016).

5.2. In secondo luogo, il vizio specifico denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) riguarda l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario – la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) – non già di un atto processuale, come nel caso di specie “l’avvenuta produzione e prova” di un documento, integrante un mero elemento istruttorio da cui è semmai possibile trarre il “fatto storico” (v. Cass. 12387/2020, che ha dichiarato inammissibile il motivo con cui si denunciava l’omessa valutazione delle risultanze di una CTU; conf. Cass. 8621/2018, con riguardo ad una perizia stragiudiziale; cfr. Cass. 27415/2018, 9253/2017).

5.3. Non risulta nemmeno assolto l’onere del ricorrente, ripetutamente richiamato da questa Corte in forza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di “indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (ex plurimis, Cass. Sez. U, 8053/2014).

5.4. Peraltro, il Fallimento controricorrente ha eccepito la novità e inammissibilità dei documenti prodotti in questa sede, indicati a pag. 32 del ricorso, sub 4), lett. a) – “istanza di ammissione al passivo del Rag. I. e relativo allegato (conferimento d’incarico professionale del 15.4.2013)”, sostenendo che il ricorrente “non li aveva prodotti nel giudizio di opposizione”, come affermato dal Tribunale e come “oltretutto risulta dalla copia autentica del fascicolo avversario”, rilasciata ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c. e depositata con il controricorso.

5.5. Sul punto, il motivo difetta anche di specificità, non avendo il ricorrente indicato o trascritto il contenuto del documento in questione – ossia il conferimento dell’incarico professionale del 15 aprile 2013 – affinchè se ne potesse apprezzare la decisività, ai fini della quantificazione del compenso. Al contrario, nel controricorso è stata trascritta la memoria con cui la curatela avrebbe eccepito in sede di opposizione, oltre alla mancata produzione del documento, anche la sua inopponibilità per mancanza di data certa, in uno all’invito inutilmente rivolto al rag. I. affinchè provvedesse a “specificare e dare dimostrazione dell’attività concretamente svolta ai fini dell’attestazione, anche per distinguerla da quella già pagata alla Deloitte” e alla correlata “eccezione di inadempimento o inesatto adempimento”. Del resto, dallo stesso ricorso emerge (v. pag. 4) che il Giudice delegato, nell’escludere la maggior somma richiesta, aveva evidenziato le numerose criticità dell’attestazione e gli errori, addebitati all’attestatore dai Commissari giudiziali, che avevano contribuito alla rilevata insussistenza della fattibilità giuridica del piano concordatario.

5.6. Infine – e soprattutto – le censure sono inammissibili perchè, al di là degli ulteriori rilievi svolti in memoria sull’onere di produzione documentale L. Fall., ex art. 99, comma 2, n. 4 (in tesi corretti, ma non decisivi), esse si incentrano sulla pretesa violazione del “principio di non contestazione” ex art. 115 c.p.c., senza cogliere l’effettiva ratio decidendi del provvedimento impugnato.

5.7. Invero, premesso in linea generale che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il principio di non contestazione, pur avendo assunto rilievo nell’accertamento del passivo “quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perchè non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove” (Cass. 16554/2015, 19734/2017, 12973/2018), appare dirimente osservare come, nel caso di specie, il Tribunale abbia inequivocabilmente ricondotto la “non contestazione” da parte della curatela fallimentare solo all’an della prestazione (ossia il suo svolgimento da parte del professionista), non anche al relativo quantum, avuto riguardo ai contenuti sui quali parametrare il compenso spettante.

5.8. Ne consegue il venir meno di ogni fondamento del preteso vizio di illogicità della decisione, ripetutamente prospettato anche sotto forma di asserita preclusione derivante da giudicato endofallimentare, poichè l’avvenuta ammissione parziale del credito in prededuzione – cui la curatela non risulta essersi mai opposta non esclude (nè logicamente, nè giuridicamente) la controvertibilità della sua quantificazione, avuto riguardo alle prestazioni effettivamente rese.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese.

7. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U., 4315/2020).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2021

 

 

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