Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14589 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/07/2020, (ud. 24/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. Dell’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22462/13 R.G. proposto da:

B.C., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al

ricorso, dagli avv.ti Carlo d’Urso e Massimiliano Iaione, con

domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, Piazza dei

Caprettari, n. 70;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia n. 79/49/13 depositata in data 14 giugno 2013

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 febbraio

2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello

Fatto

RILEVATO

che:

La Commissione tributaria provinciale di Milano, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, accoglieva parzialmente il ricorso proposto da B.C. avverso l’avviso di accertamento – con il quale l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato un maggiore imponibile, per l’anno d’imposta 2005 – annullando la ripresa a tassazione con riferimento all’IRAP per insussistenza dei presupposti e confermando nel resto l’atto impositivo.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio, dichiarando legittimo l’avviso di accertamento con riguardo all’Irap. Osservava, in particolare, che dall’esame della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2005, per Euro 211.754,00, emergevano una spesa complessiva per immobili di Euro 12.556,00 e altre spese documentate per complessivi Euro 59.687,00, a dimostrazione del fatto che il contribuente, pur non avendo lavoratori dipendenti, vantava una consistente organizzazione a sostegno della propria attività professionale, rilevante ai fini dell’imposta in esame.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione B.C., con cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.

Il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 324,327 e 329 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2 e ss., per avere i giudici di appello fondato la pronuncia sulla considerazione che “le spese documentate per complessivi Euro 59.687,00” sarebbero indice di “una consistente organizzazione a sostegno della attività professionale e dei relativi compensi”, trascurando che la sentenza di primo grado, passata, in parte qua, in giudicato, aveva rideterminato in diminuzione le spese sostenute per l’attività, quantificandole in Euro 22.235,00 rispetto ai dichiarati Euro 59.687,00; l’errore in cui è incorsa la Commissione regionale, ad avviso del ricorrente, concreta palese violazione del giudicato interno ed incide sulla intera decisione, tenuto conto che la circostanza che le spese sostenute fossero pari a circa il 10 per cento dei ricavi ottenuti era tale da escludere in radice la sussistenza dei presupposti impositivi dell’IRAP; in ogni caso, anche se le spese venissero considerate pari al valore dichiarato, le stesse non sarebbero sufficienti ad affermare l’esistenza di una autonoma organizzazione.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3 e ss. e sostiene che la decisione impugnata è viziata laddove considera rilevanti ai fini dell’imposta l’ammontare delle spese sostenute ed i compensi percepiti nell’esercizio dell’attività, omettendo qualsiasi valutazione sulle specifiche voci di costo dichiarate, per lo più composte da: a) spese condominiali e rendita catastale di un immobile ad uso promiscuo destinato a studio ed ad abitazione; b) quote di ammortamento del motoveicolo e dell’autovettura, utilizzati per gli spostamenti; c) spese per computer e mobili per ufficio, spese telefoniche, spese per viaggi e trasferte sostenute nell’interesse dei clienti.

3. Con il terzo motivo censura la sentenza impugnata per assoluta carenza di motivazione, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 111 Cost., comma 6, in quanto manca qualsiasi giustificazione del decisum adottato.

4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., per avere i giudici di appello ritenuto sufficientemente provata dall’Amministrazione la sussistenza del presupposto impositivo Irap, pur non essendo stata fornita alcuna prova concreta della esistenza di una “autonoma organizzazione di persone e di capitali”.

5. Con il quinto motivo censura la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., e lamenta che la Commissione regionale avrebbe omesso qualsiasi statuizione sulla domanda subordinata di esclusione dalla base imponibile IRAP dei proventi realizzati quale amministratore e sindaco di società, in quanto ottenuti senza il ricorso ad una autonoma organizzazione diversa dalle strutture societarie assistite; tale domanda era stata formulata già nel ricorso di primo grado ed era stata reiterata in sede di appello.

6. Il terzo motivo, da esaminare con priorità in quanto concerne un error in procedendo, è infondato.

Il vizio di motivazione apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione dell’obbligo costituzionalmente imposto dall’art. 111 Cost., comma 6, omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione e di illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e, quindi, di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento. Alla stregua di tali principi è sanzionata con la nullità sia la sentenza del tutto priva di motivazione o quella che presenta un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presenta una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014), sia quella che contiene una motivazione che non consente di comprendere le ragioni su cui poggia il decisum, poichè viene meno in tal caso la finalità sua propria, che è quella di esternare un ragionamento che, partendo da determinate premesse, pervenga ad una determinata soluzione sulla res decidendi (Cass., Sez. U, n. 22232 del 3/11/2016).

Questa Corte ha, quindi, affermato che la motivazione è solo apparente quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016, cit.; Cass., sez 6-5, ordinanza n. 14927 del 15/6/2017).

La motivazione della decisione impugnata non presenta le gravi anomalie argomentative individuate negli arresti giurisprudenziali sopra richiamati, in quanto la C.T.R. ha accolto l’appello sul rilievo che i redditi conseguiti e le spese complessivamente sostenute nell’anno oggetto di accertamento dal contribuente, esercente la professione di commercialista, fossero di per sè sufficienti a dimostrare, anche in assenza di lavoratori dipendenti, la esistenza del requisito della autonoma organizzazione che costituisce presupposto per l’assoggettamento all’imposta.

Le argomentazioni dei giudici di merito, sebbene sintetiche, evidenziano chiaramente le ragioni che li hanno indotti a tale convincimento e non integrano, di conseguenza, una ipotesi di motivazione apparente.

7. Il secondo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.

7.1. Il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, del prevede quale presupposto per l’applicazione dell’IRAP “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ha ritenuto legittima l’imposta in quanto non colpisce il lavoro autonomo in sè, ma la capacità produttiva che deriva dalla “autonoma organizzazione”, non coincidente con l’autorganizzazione, ma intesa come elemento impersonale ed aggiuntivo rispetto all’apporto del professionista.

7.2. Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 9451 dei 10/5/2016) ha enunciato il principio secondo il quale “Con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2 – il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quanto il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo Vid quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

7.3. Il giudice di appello non ha fatto buon governo di tale principio, poichè ha valorizzato elementi di fatto non idoneamente significativi per l’espressione di un giudizio circa la sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione.

Come chiarito da questa Corte, in tema di IRAP, il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o il carburante utilizzato per il veicolo strumentale), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto “organizzativo” (Cass., sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23557 del 18/11/2016; Cass. 8728 del 10/4/2018).

Nel caso di specie, pertanto, ai fini della valutazione della sussistenza del presupposto impositivo, i giudici di merito, anzichè fare generico riferimento all’ammontare del reddito prodotto e delle spese sostenute, avrebbero dovuto procedere ad un esame più attento della natura di tali spese, tenendo conto anche della prospettazione difensiva del ricorrente che aveva indicato – come emerge dallo stralcio del ricorso introduttivo trascritto in omaggio al principio di autosufficienza nel ricorso per cassazione (pagg. 21 e 22) – che le spese attenevano all’immobile, in parte destinato all’esercizio della professione ed in parte destinato ad abitazione, ai mezzi di locomozione utilizzati per gli spostamenti nell’espletamento della medesima attività ed ai beni strumentali indispensabili per lo svolgimento dell’attività di commercialista; con riguardo ai ricavi, inoltre, avrebbero dovuto esaminare se una parte di essi fosse costituita da compensi per attività di componente di organi societari, come tali estranei al reddito imponibile ai fini Irap (Cass. n. 17987 del 4/7/2019).

L’accoglimento dei mezzi in esame consente di ritenere assorbiti i restanti motivi.

8. In conclusione, va rigettato il terzo motivo e vanno accolti il secondo ed il quarto motivo, assorbiti gli altri, con conseguente rimessione al giudice di merito perchè rinnovi il proprio giudizio in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’imposizione e provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il terzo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il quarto motivo e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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