Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14588 del 04/07/2011

Cassazione civile sez. VI, 04/07/2011, (ud. 27/05/2011, dep. 04/07/2011), n.14588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 13.583/10) proposto da:

L.C.P. (c.f. (OMISSIS)) rappresentata e difesa

dall’avv. Giovine Pietro ed elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’avv. Matilde Abignente in Roma, via Cavour n. 325, giusta

procura speciale in calce al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

C.G. (c.f. (OMISSIS));

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria n.

378/2009, pubblicata il 4/12/2009.

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza del 27/05/2011

dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

udito il procuratore della ricorrente avv. Pietro Giovine, che ha

concluso riportandosi ai propri scritti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. FUCCI Costantino che ha dichiarato di concordare con

la relazione.

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

C.G. convenne innanzi alla Pretura di Reggio Calabria – Sezione distaccata di Villa San Giovanni – L.C.P., per sentir dichiarato l’acquisto per usucapione di un fondo formalmente intestato alla convenuta: quest’ultima costituendosi, negò la fondatezza della domanda deducendo che: a – l’attore avrebbe detenuto il terreno a titolo di piccola colonia parziaria; b – sarebbe mancata la prova dell’interversione del possesso. Soppresso l’ufficio di Pretura e subentrato il giudice unico presso il Tribunale, quest’ultimo respinse la domanda del C. e, in accoglimento di quella riconvenzionale della convenuta, confermò il diritto di proprietà e lo stato di perdurante possesso in capo a quest’ultima.

La Corte di Appello di Reggio Calabria accolse l’appello del C., dichiarando acquistata la proprietà per usucapione sul fondo in contesa, regolando di conseguenza le spese di lite: il giudice dell’appello pervenne a tale decisione diversamente valutando l’apparato probatorio e negando che da esso si fosse potuta trarre la conclusione dell’esistenza di un rapporto agrario dell’appellante sul terreno.

Detta sentenza ha formato oggetto di ricorso in sede di legittimità da parte della L.C. che ha affidato le proprie doglianza a quattro motivi; l’intimato non si è costituito. Il Consigliere delegato ha ritenuto d’avviare la trattazione in Camera di consiglio redigendo relazione ex art. 380 bis c.p.c. nella quale ha osservato quanto segue.

“1 – Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’erronea interpretazione della L. n. 203 del 1982 – nonchè degli artt. 1141;

1350 e 2697 c.p.c. per aver affermato, la Corte territoriale, che il contratto di colonia parziaria non potesse dirsi accertato mancandone la prova scritta: il motivo è infondato perchè la Corte d’appello ha affermato l’esatto contrario – cfr. punto 5.3 ultima parte, della gravata decisione- rilevando che prima della L. n. 203 del 1982 la forma scritta – in applicazione dell’art. 1350 cod. civ. – era imposta solo per i contratti agrari ultranovennali o a tempo indeterminato, e che in mancanza della dimostrazione di tali presupposti il contratto doveva dirsi a tempo determinato ed a forma libera, di tal che è scesa all’esame delle testimonianze all’uopo dedotte.

2 – Con il secondo motivo la ricorrente censura decisione della Corte distrettuale in quanto sorretta da una motivazione insufficiente a dar conto della valutazione delle emergenze probatorie – così determinando la violazione degli artt. 1141, 1158 e 1163 cod. civ. – non solo in relazione all’esistenza del contratto agrario ma anche e soprattutto alla sussistenza dei presupposti dell’usucapione.

2/a – Il motivo è infondato in quanto la decisione di ritener concretizzata la usucapione è supportata da idonea motivazione – cfr. punto 5.5 della gravata pronunzia – facente leva sulla raggiunta prova del possesso diuturno ed incontrastato per oltre un ventennio, in relazione non solo alle testimonianze assunte – cfr punto 5.4 della decisione di appello – ma anche a positive attività sicut dominus poste in essere dal C. – frazionamento catastale della particella di maggior estensione originariamente acquistata dalla ricorrente nel 1962 -: dal momento che tale ultima attività si poneva, nella logica della Corte distrettuale, solo come ulteriore conferma della valutazione delle deposizioni già esaminate, ne deriva , una volta accertata l’infondatezza della critica contro tale valutazione, l’assorbimento della censura contenuta nel terzo motivo, in merito al valore argomentativo che si sarebbe potuto trarre dall’anzidetto frazionamento.

2/b – Da quanto esposto consegue la impossibilità di diverso scrutinio da parte di questa Corte delle medesime prove – neppure specificando parte ricorrente ove le stesse si sarebbero poste in contraddizione con la ritenuta concludenza circa il possesso utile ad usucapire -, appartenendo il relativo esame alla fase di merito.

3 – Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la sottovalutazione – nella trama espositiva e logica della sentenza – della mancata comparizione dell’allora convenuto a rispondere all’interrogatorio deferitogli: il motivo è inammissibile sia in quanto in presenza di congrua motivazione non è consentito in fase di legittimità, censurare le scelte delibative delle emergenze istruttorie operate dal giudice del merito, sia anche perchè, violando il principio di autosufficienza del ricorso – art. 366 c.p.c., n. 6 la ricorrente non ha riportato il capitolo dell’interpello, dalla cui valutazione sarebbe potuta scaturire una diversa conclusione da parte della Corte territoriale.

4 – La riscontrata manifesta infondatezza del ricorso fa ritenere sussistenti i presupposti per la trattazione della causa in camera di consiglio à sensi del combinato disposto dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1; art. 375 c.p.c., n. 5; art. 376 e 380 bis c.p.c.”.

La relazione è stata ritualmente comunicata alle parti ed al P.M.;

la ricorrente ha depositato memoria mentre l’intimato non ha svolto difese all’adunanza del 27 maggio 2011 il procuratore della L.C. si è riportato ai propri scritti il PG ha concluso in conformità alla relazione.

Ritiene il Collegio di poter integralmente recepire le conclusioni esposte nella relazione, non avendo apportato le memorie ex art. 380 bis, 3 comma, epe argomentate ragioni per disattenderne 1′ iter logico.

Invero, quanto alle deduzioni difensive relative al primo motivo, va osservato che con la richiamata memoria la ricorrente introduce un vizio di contraddittoria motivazione non sollevato nel ricorso eppertanto lo stesso non può formare oggetto di diverso esame da parte della Corte.

Quanto al rilievo inerente al secondo motivo, lo stesso ripropone la critica – presente nel ricorso- alla valutazione delle prove operata dal giudice dell’appello, non osservando peraltro il precetto dell’autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 là dove non riporta integralmente le deposizioni testimoniali dalla cui erronea interpretazione vorrebbe desumere la contraddittoria motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello; va in ogni caso rilevato che detto giudice ha desunto l’esercizio del possesso dalla materiale disponibilità e dall’utilizzazione sicut dominus del predio in contestazione da parte del C., in difetto dell’avversa prova della detenzione – ai testi comunque non potrebbe esser richiesto di qualificare “possesso” la disponibilità in questione ma solo di riferire sull’esercizio di attività corrispondenti a diritti reali- Quanto all’osservazione formulata a commento della relazione sul terzo motivo appare irrilevante il rimarcare, come fa la ricorrente duella memoria, che comunque dall’attività del C. diretta al frazionamento del fondo conteso, siccome esercitata cantra legem – nella specie, mancando il consenso della proprietaria catastale- non si sarebbe potuto tener conto al fine di identificare un possesso – sia come corpus che come animus – valevole per l’usucapione: ciò in quanto, la ridetta attività era stata considerata solo come ulteriore conferma del ragionamento del giudice dell’appello, dunque già di per sè sorretto da idonea ed autonoma motivazione.

Alla motivazione inerente il rigetto del quarto motivo, secondo quanto indicato in relazione, la Corte intende aggiungere il rilievo che la censura sarebbe comunque infondata in quanto, secondo una consolidata interpretazione di legittimità (cfr. Cass. 15.383/2010;

Cass. 20.740/2009; Cass. 2864/2003) l’art 232 cod. proc. civ., riconnette alla mancata risposta all’interrogatorio formale soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”), onde l’esercizio di tale facoltà, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità; non senza omettere di considerare che la Corte distrettuale ha compiutamente motivato in ordine a quali altri elementi probatori faceva riferimento a sostegno della propria decisione, rendendo esplicito il giudizio di subvalenza probatoria da attribuire alla condotta renitente dell’interrogando (cfr punto 5.2 della gravata decisione).

Il ricorso va pertanto rigettato senza onere di spese, non avendo parte intimata – risultata vittoriosa – svolto attività difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2011

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