Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14585 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. II, 26/05/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 26/05/2021), n.14585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1726/2016 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

BARRACCO 2, presso lo studio dell’avvocato ANGELA SOCCIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE DE CATA;

– ricorrente –

contro

M.C., M.G., M.R.,

M.M., rappresentati e difesi dall’avv. SALVATORE

RICCIARDI;

– controricorrenti –

e contro

MA.RO., M.A., MA.GR.,

MA.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2043/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 16/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato De Cata Giuseppe, che si riporta al ricorso e alle

memorie depositate;

udito l’Avvocato Matteo Mazzomurro, con delega scritta che si riporta

agli atti depositati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 30 dicembre 2000 D.A. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Foggia le germane Ma.Ma., Gr., R., A., M., G., C. e Ro..

L’attore esponeva di aver stipulato, in data 2 agosto 1989, con esse sorelle un contratto preliminare di permuta di cosa presente (costituita dal 75% dei loro terreni, in atti indicati, siti in (OMISSIS)) contro cosa futura ovvero il 25% delle costruzioni che l’istante avrebbe realizzato sui medesimi terreni.

L’attore chiedeva, quindi e sul presupposto della proprietà esclusiva dei detti terreni da parte delle evocate in giudizio, sentenza costitutiva della proprietà in proprio favore ex art. 2932 e, in subordine, la condanna delle convenute al pagamento della pattuita penale di Lire centomilioni.

Le Ma.Ma. e Gr., nonchè – di seguito – la Ma.Ro. si costituivano aderendo alla domanda principale dell’attore secondo le condizioni di cui al preliminare.

Le rimanenti germane M. (ivi inclusa, in principio, la stessa succitata Ro.) contestavano l’avversa domanda, chiedendone il rigetto e formulando domanda riconvenzionale al fine di sentir dichiarare la risoluzione del preliminare inter partes per inadempimento del D., del quale chiedevano la condanna al pagamento della penale convenuta ed al risarcimento dei danni.

La sola M.A. deduceva, altresì, di non essere proprietaria dei terreni promessi in permuta.

Il Tribunale di prima istanza, con sentenza del 15 ottobre 2008, dichiarava la nullità del preliminare de quo per mancata determinazione dei beni che ne costituivano l’oggetto, rigettando le domande e compensando le spese.

Il D. interponeva appello avverso la succitata sentenza di primo grado, della quale richiedeva la riforma.

Il gravame era resistito dalle germane M. fatta eccezione delle sorelle Ma., Gr. ed A., che rimanevano contumaci in appello.

L’adita Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 2042/2014 rigettava il gravame e condannava l’appellante alla refusione delle spese in favore delle parti appellate.

Avverso la decisione della Corte territoriale ricorre il D. con atto affidato a cinque ordini di motivi e resistito dalle costituite parti intimate di cui in epigrafe.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso parte ricorrente deduce una “erronea motivazione della sentenza per omesso esame di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., artt. 1100 c.c. e segg., artt. 934,1346 e 2932 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. L’articolato motivo di ricorso si sostanzia, quanto, alla censura di omesso esame, sulla pretesa non valutazione – da parte della Corte barese – di un fatto che viene indicato nel contenuto del contratto preliminare.

Quest’ultimo, secondo parte ricorrente, era incentrato – quanto all’aspetto della determinazione dell’oggetto – sulla prevista costituzione di una comproprietà indivisa pro quota relativamente sia al terreno che al compendio immobiliare da costruire.

Il motivo, in mancato ossequio del noto principio di autosufficienza, non cita e trascrive il citato contratto preliminare in punto di “costituzione proprietà indivisa”. In ogni caso il “fatto” censurabile (ove non valutato e decisivo) è tale in senso ontologico.

Il contenuto di un contratto non rientra, di certo, nella nozione di tale fatto censurabile dell’art. 360 c.p.c., ex n. 5 (potendo, beninteso, dare atto ad altro tipo di censura per violazione di legge).

Va, quindi, rilevato che non è vero che i Giudici del merito ed, in particolare, la Corte di Appello non hanno valutato il cosiddetto (ovvero quello che parte ricorrente intende come) “fatto”.

Semmai è stata svolta una valutazione del contenuto del contratto in senso non conforme all’aspettativa dell’odierna parte ricorrente, ritenendosi invero la mancanza della determinazione o determinabilità dell’oggetto del contratto, comunque quest’ultimo lo si voglia riferire alla proprietà ovvero alla comproprietà.

Più specificamente risulta che la Corte distrettuale ha espressamente considerato il “riferimento al 75% ed al 25%”, ritenendolo comunque indeterminabile come oggetto del contratto preliminare per mancanza della “esatta collocazione della parte di terreno” e della “esatta collocazione delle costruzioni”, con indicazione omessa di dimensioni ed ubicazione dei fabbricati.

Quanto al denunciato preteso vizio di violazione di legge con riguardo alle norme innanzi indicate il motivo è infondato in quanto – a differenza di ciò che prospetta il ricorrente – la Corte territoriale non ha fatto malgoverno di norme e di principi.

Risultano, anzi, interpretati ed applicati correttamente arresti giurisprudenziali di questa Corte enunciati proprio per fattispecie analoghe.

Al riguardo non possono che richiamarsi il condiviso e qui ribadito principio che questa Corte ha già avuto modo di enunciare allorchè ha affermato che:

La vendita di cose generiche, appartenenti ad un “genus limitandum” è ammissibile, in virtù del principio di conservazione del negozio giuridico sancito dall’art. 1367 c.c., anche rispetto agli immobili, relativamente al “genus limitatum” costituito dal complesso di un determinato fondo. Più in particolare, nella compravendita di un terreno che debba essere distaccato da una maggiore estensione, e indicato soltanto quantitativamente nella misura della sua superficie, sussiste il requisito della determinabilità dell’oggetto quando sia accertato che le parti avevano considerato la maggior estensione di proprietà del venditore come “genus”, essendo stata la stessa perfettamente individuata nel contratto, nonchè stabilito la misura della estensione da distaccare, e sempre che per la determinazione del terreno venduto non debba richiedersi una nuova manifestazione di volontà delle parti, null’altro occorrendo, ai fini della sussistenza del suddetto requisito, se non l’adempimento del venditore che deve prestare la cosa determinata solo nel genere attenendosi al disposto dell’art. 1178 c.c.. Tale requisito di determinabilità dell’oggetto sussiste quando nel contratto siano contenuti elementi prestabiliti dalle parti, che possono consistere anche nel riferimento a dati di fatto esistenti e sicuramente accertabili, i quali siano idonei alla identificazione del terreno da trasferire mediante un procedimento tecnico di mera attuazione che ne individui la dislocazione nell’ambito del fondo maggiore, per cui la consegna di una parte piuttosto che di un’altra risulti di per sè irrilevante, essendo i diversi tratti di terreno del tutto equivalenti: per esempio, indicando l’ubicazione e la forma all’interno della più ampia superficie, ovvero demandando ad un terzo o a una delle parti la determinazione. Rileva per contro l’impossibilità di determinare la esatta consistenza del terreno da trasferire nel caso in cui sussistano margini di dubbio sulla identità del terreno venduto e si renda perciò necessario tornare alla determinazione dell’oggetto con un patto successivo. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullità del contratto di vendita di un terreno per totale indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto, in quanto che, mentre era esattamente individuato, con l’indicazione dei confini, il terreno dal quale operare il distacco, in base agli elementi contenuti nel contratto non risultava in alcun modo specificata la ubicazione e la forma della superficie venduta all’interno della più ampia superficie, con la conseguente impossibilità di individuarla)” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 29 marzo 2006, n. 7279, nonchè – in precedenza e conformemente – Cass. n. 13098/1997 e, con riferimento ad altri profili fattuali – Cass. n. 24172/2013, con la quale comunque si affermava la necessità quantomeno di una concreta determinabilità “della porzione dell’edificio che il permutante costruttore si è impegnato a realizzare”).

Il motivo va, dunque e nel suo complesso, respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge (artt. 1362,1367,2932,1472 e 1378 c.c.), nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

In ordine alla censura svolta con riferimento al n. 5, la stessa è inammissibile, giacchè non più è censurabile la mera insufficiente motivazione o la carenza motivazionale che non si risolva in affermazioni inconciliabili e in irrisolvibile contrasto logico-giuridico (Cass. civ.; S.U. 7 aprile 2014, n. 8053).

Quanto al prospettato vizio per violazione di legge la censura non è fondata.

Pretendere (per di più e, per come appare, solo oggi, non risultando tale profilo dapprima invocato) la previsione contrattuale di una comunione di beni come elemento sanante della nullità rilevata dai Giudici del merito non consente il superamento delle esatte conclusioni cui si è pervenuti in precedenza.

La ipotesi che il negozio fra le pari era finalizzato ad un trasferimento di semplice comproprietà non può condurre ad escludere la mancanza di identificazione e determinabilità dell’oggetto del contratto, come valutato da Giudici del merito.

I detti requisiti dell’oggetto sono, infatti (ed alla stregua dei principi innanzi citati su 1) indispensabili in ogni caso.

Il censura è, quindi, infondata ed il motivo va respinto nel suo complesso.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta un preteso “difetto di motivazione” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione di legge (artt. 1362,1472 e 1378 c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Quanto al preteso difetto di motivazione, genericamente addotto, non possono che ribadirsi le considerazioni innanzi già analogamente svolte con riferimento alla ammissibile esperibilità di censura del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5.

In ordine alla pretesa violazione di legge il motivo è infondato.

La eventuale soluzione della esecuzione parziale del contratto per alcune sole delle germane M. non regolarizza ed indirizza verso la validità il contenuto del contratto inter partes.

In altre parole non fa venir meno la non determinabilità dell’oggetto del contratto preliminare la circostanza che una delle parti intenda dare ex se esecuzione al contratto invalido.

Il motivo deve, quindi, essere respinto nella suo complesso.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione di legge (art. 112 c.p.c. e artt. 1337 e 1338 c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Pare ricorrente si duole, in sostanza, del rigetto della domanda tesa ad ottenere il pagamento della penale perchè tale penale c’era comunque anche “nell’ipotesi in cui non potesse essere trasferito il terreno”.

Il motivo non può essere accolto.

La previsione di penale che trae la propria ragion d’essere giuridica da un contratto preliminare nullo viene travolta e caducata da nullità (complessiva) dello stesso contratto.

Il motivo deve, pertanto, essere respinto.

5.- Con il quinto motivo, proposto in relazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, parte ricorrente si duole – nella sostanza – della condanna alle spese dallo stesso ricevuta ad opera della decisione della Corte di Appello.

Quest’ultima, secondo il D., non avrebbe “tenuto conto dei criteri previsti dalla legge”.

Senonchè neppure il ricorrente indica e specifica i criteri in basi ai quali sarebbe errata la condanna alle spese di lite.

In ogni caso la Corte non poteva che regolare le spese secondo la ritenuta soccombenza dell’appellante principale.

Il motivo è inammissibile.

6.- Il ricorso va, pertanto, rigettato.

7.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

8.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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