Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14581 del 15/07/2016
Cassazione civile sez. lav., 15/07/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 15/07/2016), n.14581
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4015/2015 proposto da:
O.B., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR,
presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMILIANO MARINELLI, giusta
delega in atti;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI,
rappresentata e difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega
in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2200/2014 della CORTE di PALERMO, depositata
il 14/11/2014 R.G.N. 1064/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21/04/2016 dal Consigliere Dott. MATILE LORITO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale Avvocato GRANOZZI
GAETANO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Generale Dott. CELESTE
Alberto, che ha concluso per l’inammissibilita’, in subordine
rigetto.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Palermo confermava la pronuncia del giudice di primo grado emessa il 6/2/14, con cui era stata respinta l’opposizione proposta L. n. 92 del 2012 , ex art. 1, comma 51, da O.B. nei confronti di Poste Italiane s.p.a. avverso l’ordinanza del Tribunale di Agrigento 25/9/13 con cui era stato respinto il ricorso proposto dal lavoratore ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47, volto alla impugnazione del licenziamento intimatogli in data 21/10/12.
A fondamento del decisum, per quanto in questa sede rileva, osservava il giudice dell’impugnazione che le ragioni sottese alla sanzione espulsiva, tempestivamente irrogata, risultavano suffragate dalle acquisizioni probatorie in atti, dalle quali era desumibile come il ricorrente si fosse appropriato di somme depositate presso il libretto postale di una cliente. Anche in considerazione del ruolo di direttore dell’ufficio postale rivestito, il comportamento assunto si palesava di tale gravita’ da giustificare il licenziamento per giusta causa in ragione della irrimediabile lesione del vincolo fiduciario che informava il rapporto di lavoro.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’ O. con tre motivi. Resiste con controricorso la societa’ Poste Italiane che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ci si duole che la Corte territoriale, nello scrutinare il materiale probatorio, abbia tralasciato di considerare la circostanza della avvenuta sottoscrizione da parte della ricorrente, dei moduli di prelevamento della somma di Euro 932,52 integrante elemento decisivo ai fini del riconoscimento della infondatezza degli addebiti mossi.
Il motivo non appare rispettoso dei dettami sanciti dal novellato art. 360, n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis.
Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle sezioni unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimita’ sulla motivazione.
Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorieta’ e dell’illogicita’ manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.
Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 c.p.c., concerne, quindi, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.
L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
Applicando i suddetti principi nella fattispecie qui scrutinata, non puo’ prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminate dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a se’ piu’ favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimita’.
Va infatti rimarcato che lo specifico l’iter motivazionale seguito dai giudici dell’impugnazione non risponde ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorieta’ e dell’illogicita’ manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimita’. La Corte di merito ha infatti, considerato il fatto storico del prelievo della somma di Euro 932,52 da parte della cliente, rendendo di tale fatto una interpretazione coerente con il restante quadro probatorio, nel cui contesto la sottoscrizione dei relativi moduli non era risultata sorretta da adeguata consapevolezza da parte della cliente medesima.
Era infatti emerso che in data 12/4/2012, in occasione della estinzione di un libretto per la creazione di uno nuovo, era stato prelevato l’importo descritto alle ore 10,30 e versato nel nuovo libretto postale della cliente G.F.R.; quindi, alle ore 14,30 ad ufficio chiuso, era stato prelevato un ulteriore importo di Euro 932,52 dal vecchio libretto non ancora estinto, con operazione ritenuta ascrivibile non alla cliente, bensi’ all’ O.. Tanto sulla scorta di una serie di argomentazioni logiche che portavano a ritenere poco credibile la versione dei fatti da questo prospettata, secondo cui la G.F. il (OMISSIS) sarebbe tornata verso l’orario di chiusura, pretendendo la riapertura dello sportello al fine di prelevare le somme appena versate.
La Corte distrettuale, nel proprio incedere argomentativo, sottolinea l’incongruenza della tesi accreditata dall’ O. il quale, dopo aver sottolineato l’impossibilita’ di estinguere il vecchio libretto non consentendolo il programma informatico nella stessa giornata in cui veniva svolta un’operazione sullo stesso (nella specie trasferimento di Euro 932,52) avrebbe invece piu’ tardi – dopo essersi ripreso da un malore – deciso di procedere comunque alla nuova estinzione, cui rinunciava successivamente, essendovi un saldo di Euro 3.034,19.
Si tratta di un accertamento del tutto congruo, oltre che completo, che si sottrae alle censure di assoluta omissione o di mera apparenza il cui ingresso in sede di legittimita’ e’ consentito dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5, onde resiste alla censura all’esame.
Con il secondo mezzo di impugnazione, e’ denunciata violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5. Si deduce che il giudice dell’impugnazione abbia erroneamente valutato il materiale probatorio raccolto, avendo fondato la propria decisione esclusivamente sulle dichiarazioni rese in sede istruttoria dalla teste F., senza considerare la non univocita’ delle dichiarazioni rese dalla stessa in sede ispettiva ed in sede istruttoria, e trascurando le precipue dichiarazioni rese dall’altro testimone, T.. Il ricorrente asserisce che non poteva essere a conoscenza dell’esistenza di altre poste sul conto da estinguere, se non al momento della creazione del nuovo libretto in favore della cliente.
La censura palesa le medesime carenze evidenziate in relazione al motivo che precede giacche’ le critiche formulate dal ricorrente, nonostante il formale richiamo a vizio di violazione di legge, si risolvono nella denuncia di vizio di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, inammissibile nella presente sede, per quanto innanzi detto. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 119 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare formulata a carico del ricorrente il 21/9/12 quando in data 8/6/12 a seguito della nota sottoscritta dalla F., la societa’ aveva avuto conoscenza dei fatti posti a base del provvedimento espulsivo.
Il motivo e’ infondato.
I giudici dell’impugnazione infatti, nel ritenere tempestiva la contestazione degli addebiti e la ritualita’ del recesso, hanno mostrato di conoscere e condividere l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessita’ della struttura organizzativa dell’impresa, fermo restando che la valutazione delle suddette circostanze e’ riservata al giudice del merito (vedi ex aliis, Cass. 12/1/2016 n. 281, Cass. 25/1/2016 n. 1248). La Corte distrettuale ha, infatti, puntualmente argomentato in ordine al breve lasso temporale intercorso fra la denuncia della cliente (8/6/12), l’attivazione di una ispezione interna (12/6/12), la contestazione disciplinare(21/9/12) e l’irrogazione del provvedimento espulsivo (22/10/12), con valutazione che, in quanto congrua sul piano logico e corretta sul versante giuridico, resiste alla formulata censura.
In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso e’ respinto.
Il governo delle spese del presente giudizio di legittimita’ segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
Occorre, infine, dare atto della sussistenza delle condizioni richieste del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento a titolo di contributo unificato dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso principale.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e spese generali al 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Cosi’ deciso in Roma, il 21 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016