Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14581 del 13/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14581 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 384-2010 proposto da:
VITALE NICOLA C.F. VTLNCL73B05273Q, domiciliato in ROMA
PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato ROBERTO GENNARO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2015
2186

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585;
– intimata –

Nonché da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del

Data pubblicazione: 13/07/2015

legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega in
atti;

contro

VITALE NICOLA C.F. VTLNCL73B05273Q;
– intimato –

avverso la sentenza n. 526/2009 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 26/05/2009 R.G.N. 265/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/05/2015 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale
GRANOZZI GAETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI I che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi.

controricorrente e ricorrente incidentale –

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:

SVOLGIMENTO DEL FATTO
1. La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza qui impugnata, n. 526 del
2009, confermando la pronuncia di primo grado del Tribunale di Palermo, rigettava
l’appello proposto da Vitale Nicola nei confronti della società Poste italiane spa.
2. Il Tribunale aveva ritenuto la legittimità del termine apposto al contratto di
lavoro stipulato tra le parti per il periodo 20 novembre 2001 – 20 gennaio 2002, ai
sensi dell’art. 25 del CCNL dell’ 11 gennaio 20011 “per far fronte agli incrementi di
attività o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo connesse alla

..

gestione degli adempimenti ICI, che non possono essere soddisfatte con il personale
in servizio”.
3. La Corte territoriale disattendeva l’eccezione di risoluzione del contratto
per mutuo consenso riproposta da Poste italiane spa e confermava la legittimità del
termine apposto nella vigenza dell’art. 25 del CCNL 11 gennaio 2001, in ragione
dell’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001.
4. Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore ricorre con un due motivi,
assistiti dai prescritti quesiti di diritto.
5. Poste italiane spa resiste con controricorso e ricorso incidentale, assistiti
da memoria depositata in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti
avverso la medesima sentenza pronunciata in grado di appello.
2. Con il primo motivo del ricorso principale è prospettato il vizio di
violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 25 del CCNL dell’ 1 l gennaio
2001, alla luce dell’art. 11, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 368 del 2001, in difformità alla
delega comunitaria della legge n. 422 del 2000, ed in contrasto con gli artt. 76 e 77
Cost. e della direttiva 1999/70/CE.
Mancata applicazione allo scadere degli accordi derogatori dell’art. 1 della
legge n. 230 del 1962 e contestuale conversione del contratto a termine in contratto a
tempo indeterminato. Violazione artt. 82, 86 e 90 del Trattato 25 marzo 1957,
sfruttamento di posizione dominante. Violazione del criterio ermeneutico

ternpus

regit acturn.
Il ricorrente deduce che la legittimità del termine poggia sulla norma
transitoria dettata dal citato art. 11, che tuttavia sarebbe stato adottato in eccesso di
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delega, tenuto conto della legge comunitaria e delle fonti comunitarie alle quale si
doveva dare attuazione.
2.1. Il motivo non è fondato.
Come la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare (sentenza n. 214 del
2009), invero, l’art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega n. 422 del 2000,
consentiva al Governo di apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti
nei singoli settori interessati dalla normativa da attuare e ciò al fine di evitare

disarmonie tra le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie e,
appunto, quelle già vigenti.
In base a tale principio direttivo generale, il Governo era autorizzato a
riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della direttiva 1999/70/CE, precetti
già contenuti nella previgente disciplina del settore interessato dalla direttiva
medesima (contratto di lavoro a tempo determinato).
Infatti, inserendo in un unico testo normativo sia le innovazioni introdotte al
fine di attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che, attenendo
alla medesima fattispecie contrattuale, erano alle prime intimamente connesse, si
sarebbe garantita la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo
sistematico, in conformità con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b),
della legge di delega.
Tanto premesso, la disciplina transitoria non è espressione di eccesso di
delega, in quanto la stessa si limita a disporre per un limitato e breve arco
temporale (rispettoso dell’originaria già prevista scadenza del CCNL) la persistente
vigenza della contrattazione collettiva, proprio al fine di favorire la piena attuazione
,

della nuova disciplina, e, dunque, non determina alcuna diminuzione della tutela
già garantita ai lavoratori dal precedente regime e, peraltro, non contrasta con la
clausola n. 8.3 dell’accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la
quale l’applicazione dell’accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per ridurre
il livello generale di tutela già goduto dai lavoratori.
La disciplina transitoria di cui all’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 368 del
2001, nel sancire il mantenimento di efficacia delle clausole dei contratti collettivi
di lavoro stipulate ai sensi dell’articolo 23 della legge n. 56 del 1987, vigenti alla
data di entrata in vigore del medesimo d.lgs, fino alla data di scadenza dei CCNL,
nell’applicarsi all’art. 25 del CCNL del 2001, quindi, risponde ai criteri direttivi
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t:
V
ir

della legge delega n. 422 del 2000 per l’attuazione delle disposizioni comunitarie,
alla quale concorre, né, proprio in ragione del mero mantenimento di efficacia di
quanto pattuito in sede di contrattazione collettiva può dar luogo ad abuso di
posizione dominante genericamente dedotto dal ricorrente.
Questa Corte, sulla suddetta disciplina transitoria ha avuto occasione di
precisare (Cass., n. 16424 del 2010), con orientamento che si intende confermare,
che “in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, la legge 28

febbraio 1987, n. 56, art. 23, che attribuisce alla contrattazione collettiva la
possibilità di identificare nuove ipotesi di legittima apposizione del termine, continua
a trovare applicazione anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 36 del 2001,
che pure ne reca la formale abrogazione, in relazione alle clausole dei contratti
collettivi di lavoro precedentemente stipulati sotto la vigenza della legge del 1987 ed
ancora in corso di efficacia al momento dell’entrata in vigore del citato d.lgs. fino
alla scadenza dei contratti collettivi, atteso che la disciplina transitoria, desumibile
dal d.lgs. n. 368, art. 11, ha proprio la finalità di garantire una transizione morbida tra
il vecchio ed il nuovo sistema” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21092).
In sostanza, il d.lgs. n. 368 del 2001, art. 11, accanto alla “continuazione degli
effetti”, fino alla scadenza, dei contratti individuali conclusi in attuazione della
normativa previgente, “in relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle
disposizioni di cui al comma 1” del citato art. 11, ha previsto, “in via transitoria e
salve diverse intese”, anche il “mantenimento” dell’efficacia “delle clausole dei
contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi della citata legge n. 56 del
1987, art. 23 e vigenti alla data di entrata in vigore” del decreto legislativo, “fino alla
data di scadenza” dei contratti collettivi stessi.
;.

L’elemento letterale già indica chiaramente che le clausole collettive
legittimanti la apposizione del termine, in virtù della “delega in bianco” espressa dal
legislatore del 1987, conservano la loro medesima pregressa efficacia e che,
conseguentemente, anche la abrogazione della norma delegante è, in via transitoria,
eccezionalmente attenuata soltanto nella misura M cui restano validi gli effetti delle
deleghe già esercitate dalle parti collettive, all’entrata in vigore del decreto
legislativo.
Nello stesso senso depone, poi, la ratio della norma, la quale proprio per
garantire una transizione morbida tra vecchio e nuovo sistema, ha previsto il
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”mantenimento” dell’efficacia delle clausole collettive in vigore, ovverosia la
conservazione degli stessi effetti pregressi nella loro piene772, fino alla “data di
scadenza” del CCNL.
Orbene, nel quadro del regime transitorio delineato e della natura eccezionale
della normativa descritta, ritiene il Collegio che la “data di scadenza” del CCNL non
possa che essere quella chiaramente e formalmente fissata dalle parti collettive. Nella
specie il CCNL 11-1-2001 all’art. 74, comma 1 (intitolato, appunto, “Durata e

applicazione”) chiaramente stabilisce: “Il presente CCNL, con riferimento sia alla
parte normativa che a quella economica, resta in vigore, in linea con quanto previsto
dal Protocollo d’intesa 23-7-1993, fino al 31 dicembre 2001 e si applica ai personale
in servizio alla data di stipulazione nonché a quello assunto successivamente”.
La “data di scadenza” del detto CCNL è quindi inequivocabilmente e
specificamente fissata al 31-12-2001, e tale data costituisce, ai sensi del d.lgs. n. 368
del 2001, art. l I , il termine ultimo di efficacia della delega già esercitata dalle parti
collettive con la clausola contenuta dell’art. 25 dello stesso CCNL.
Del resto l’art. 2 del medesimo CCNL, nella parte in cui stabilisce che “il
CCNL ha durata quadriennale per la parte normativa e biennale per quella
economica”, disciplina in generale gli “Assetti contrattuali” e la articolazione del
“sistema contrattuale” su due livelli e va inteso in relazione al periodo di riferimento
del CCNL (“1998/2001”) e non in rapporto alla data di stipula
La “scadenza” del contratto, quindi, richiamata dal d.lgs. citato, art. 11 è, e
non può che essere quella fissata specificamente e chiaramente dalle parti collettive
nell’art. 74.
2. Con il secondo motivo è dedotto difetto ed illogicità della motivazione ai
sensi dell’art. 360, n.1, punto 5. Inversione dell’onere della prova, erroneo
apprezzamento, violazione dell’art. 2697 ce. Erronea valutazione delle prove
applicazione dell’art. 25 CCNL 11 gennaio 2001.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente valutato le prove per testi tratte da
altri procedimenti relative alla sussistenza delle condizioni eccezionali per cui si
addiveniva alle assunzioni a termine. Grava sul datore di lavoro dimostrare
l’obiettiva esistenza delle esigenze di carattere straordinario, non essendo a ciò
sufficiente la semplice dichiarazione di un dirigente.

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2.1. Il motivo non è fondato, trovando applicazione nella specie la disciplina
di cui all’art. 25 del CCNL del 2001, in ragione di quanto sopra esposto.
Correttamente e con congrua motivazione la Corte d’Appello ha ritenuto che
una volta acclarata la sussistenza in generale delle esigenze aziendali , nessuna
ulteriore prova in ordine al collegamento tra tali esigenze e la assunzione dei
lavoratori era necessaria.
La legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione

collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste
dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonché dal di. 29
gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo

1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di
lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali,
pertanto, non sono vincolati all’individuazione ,di figure di contratto a termine
comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni
Unite di questa Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra
citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante
la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del
CCNL 11 gennaio 2001.
In particolare, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita
dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che i sindacati, senza essere vincolati alla
individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste
per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di
carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale
o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità dei mercato idonea garanzia per i lavoratori e per
un’efficace salvaguardia dei loro diritti.
Premesso, quindi, che l’art. 25, comma 2, del CCNL 11 gennaio 2001
prevede quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza
di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi
ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche
derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o
sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, questa Corte ha ritenuto
viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta
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genericità della disposizione in esame, aveva affermato che la stessa non contiene
alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a
termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli
contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali (Cass., 20267 del
2009). Tale orientamento va confermato.
3. Il ricorso principale deve essere rigettato.
incidentale con il quale Poste italiane ha censurato la statuizione della Corte
d’Appello che aveva escluso il verificarsi della risoluzione per mutuo consenso del
contratto di lavoro a termine intercorso tra le parti.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito
l’incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida
in euro cento per esborsi, euro tremila per compensi professionali, oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 maggio 2015

Il Presidente

4. Al rigetto del ricorso principale segue l’assorbimento del ricorso

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