Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14578 del 16/06/2010

Cassazione civile sez. I, 16/06/2010, (ud. 18/05/2010, dep. 16/06/2010), n.14578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9526-2005 proposto da:

COOPERATIVA EDILIZIA RINASCITA S.R.L. (p.i. (OMISSIS)), in

persona del Presidente DELL’AGLIO CORDIANO, domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COSIMATO ANIELLO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 59, presso l’avvocato MARONCELLI

SABINA, rappresentato e difeso dall’avvocato ALFANO MARINO, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1042/2004 del TRIBUNALE di NOCERA INFERIORE,

depositata il 05/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Cooperativa Edilizia Rinascita a r.l. conveniva in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Nocera Inferiore G.R., chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 2.416.976, oltre interessi.

Deduceva l’attrice, a sostegno della domanda, che il 9.3.2000 aveva ricevuto un avviso di rettifica della dichiarazione annuale del 1995 da parte dell’Ufficio IVA di Salerno, con il quale le veniva contestata la mancata indicazione in fattura ed in dichiarazione di operazioni imponibili per un totale di L. 773.217.000; che tali operazioni si riferivano alla registrazione degli atti pubblici di assegnazione degli alloggi ai soci nel 1995; che per detta omissione le era stato richiesto il pagamento della complessiva somma di L. 75.598.000; che il consiglio di amministrazione della cooperativa aveva deciso di aderire all’avviso di accertamento, onde ottenere un risparmio, ed aveva così concordato con l’Ufficio IVA il pagamento di L. 46.610.000 (Euro 24.072,06); che il convenuto, quale socio della cooperativa ed assegnatario di uno dei 20 alloggi dell’anno 1995, ai quali si riferiva l’accertamento dell’Ufficio IVA, era tenuto a corrispondere la differenza fra quanto dichiarato e quanto accertato, ammontante, quale quota di sua spettanza, a L. 2.416.976 (Euro 1.248,26).

Il convenuto, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda della cooperativa e l’accoglimento della propria domanda riconvenzionale di condanna della attrice al pagamento della somma di L. 116.620, pari ad Euro 60,23, da lui illegittimamente pagata alla cooperativa.

Il Giudice di pace adito accoglieva la domanda della cooperativa e rigettava quella riconvenzionale del convenuto.

G.R. impugnava detta sentenza dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, che, in riforma della stessa, rigettava la domanda della Cooperativa Edilizia Rinascita; accoglieva la domanda riconvenzionale dell’appellante, condannando la Cooperativa al pagamento in suo favore della somma di Euro 60,22, oltre interessi fino al soddisfo; rigettava l’appello incidentale della Cooperativa relativo alla richiesta di riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui disponeva la compensazione tra le parti delle spese processuali.

Avverso detta sentenza la Cooperativa Edilizia Rinascita ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. G.R. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, n. 56.

Deduce la ricorrente che la assegnazione dell’alloggio al socio, con accollo di mutuo, è assimilabile alla compravendita e che la disciplina IVA individua nella stipulazione del relativo rogito il momento in cui trova applicazione il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18 in virtù del quale il cedente, che è tenuto al pagamento all’amministrazione finanziaria dell’imposta dovuta per tale operazione imponibile, è tenuto ad addebitare detta imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario.

Pertanto il socio assegnatario, pur non essendo il soggetto direttamente percosso dall’IVA, è comunque obbligato al pagamento, in quanto soggetto inciso dal tributo D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 18 “giacchè socio tenuto agli obblighi collegati all’assegnazione dell’alloggio, che seguono lo stesso”.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2700 c.c., per avere omesso di considerare quanto stabilito nell’art. 4 del rogito notarile riguardante l’alloggio assegnato al B., con il quale era stato pattuito che qualsiasi onere per imposte, tasse, contributi di ogni genere che dovesse gravare sull’immobile assegnato, doveva essere posto a carico, pro quota, della parte assegnataria. Anche in virtù di tale pattuizione l’attuale resistente avrebbe l’obbligo di versare, pro quota, alla Cooperativa, quanto da questa pagato per la rettifica IVA, comprese le sanzioni e gli interessi, che seguono imprescindibilmente l’imposta. Privo di pregio, per escludere l’esistenza di tale obbligo, sarebbe il riferimento del giudice a quo all’art. 6 del rogito notarile, atteso che l’imposta assegnata nasce a seguito dell’assegnazione del bene e, quindi, rientrerebbe nelle ipotesi previste dall’art. 4 e non dall’art. 6 del rogito, che garantirebbe la proprietà libera da ogni onere e pendenza fiscale, riferendosi in tal modo alle garanzie reali sull’immobile. Il giudice a quo avrebbe accolto l’appello, prescindendo dalla documentazione prodotta e da tutto quanto espletato nel giudizio di primo grado, violando così l’art. 112 c.p.c.. Inoltre in una cooperativa edilizia sono gli stesi soci che con i propri versamenti iniziali e successivi consentono alla stessa di costruire e successivamente assegnare ai soci l’alloggio, per cui ogni eventuale imposta, tassa, oneri fiscali che gravano sulla cooperativa, dovrebbero essere versati e pagati dagli stessi soci, per lo stesso scopo sociale previsto nello statuto approvato dai soci medesimi. Pertanto, essendo l’accertamento fiscale riferibile al 1995, quando ancora il B. era socio della operativa, anche se non lo si volesse ritenere tenuto al pagamento pro quota, in via di rivalsa, della maggiore imposta richiesta dal Fisco per essere assegnatario di un alloggio, lo si dovrebbe ritenere tenuto al pagamento della stessa in virtù della sua qualità di socio.

Infine dovrebbe ritenersi tenuto al pagamento in virtù del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 62 il quale, nel disciplinare l’esecuzione coattiva per la riscossione delle imposte dovute allo Stato, prevede anche il pignoramento e l’esecuzione con riferimento agli immobili oggetto di trasferimento.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Questa Suprema Corte con le sentenze n. 23181 del 2006 e n. 11549 del 2009, emesse nei confronti della medesima cooperativa edilizia e di altri due soci per la medesima vicenda fiscale, ha affermato che la cooperativa ha diritto di agire in rivalsa nei confronti dei soci ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18.

Il collegio ritiene di non poter condividere detta soluzione per le seguenti ragioni.

Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18 (recante la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) stabilisce che il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile (che è il soggetto passivo e, come tale, tenuto al pagamento dell’imposta – cfr. il precedente art. 17) deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente.

L’art. 21 del citato D.P.R. stabilisce che per ciascuna operazione imponibile deve essere emessa una fattura, prescrivendo le indicazioni che devono essere contenute nella stessa, tra le quali deve essere indicata la base imponibile, l’aliquota e l’ammontare dell’imposta (che il cedente del bene o il prestatore del servizio è tenuto a versare all’erario).

In virtù del disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6 l’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si intendono effettuate (e che è il momento dal quale decorrono alcune formalità da rispettare, quali la fatturazione, la registrazione e la liquidazione dell’imposta); tale momento, per le cessioni di beni immobili, coincide con il momento della stipula del contratto ed è questo il momento in cui il cedente è tenuto ad esercitare la rivalsa riscuotendo dal cessionario, sulla base dell’imposta indicata nella fattura, che è obbligato a rilasciare al cessionario, l’IVA, che poi dovrà versare, quale soggetto passivo d’imposta, all’Erario.

Come è agevole costatare dalla disciplina su richiamata, la fattispecie che da diritto alla rivalsa richiede: 1) il compimento di una operazione imponibile da parte di un soggetto passivo IVA (cedente di un bene o prestatore di un servizio); 2) la emissione della relativa fattura da parte di detto soggetto, completa delle indicazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 tra le quali la indicazione dell’imposta, direttamente liquidata dal cedente del bene oggetto dell’operazione imponibile o dal prestatore del servizio.

Essendo la rivalsa obbligatoria, il cedente del bene o il prestatore del servizio è tenuto ad esigere il pagamento dell’imposta, da lui direttamente liquidata, da parte del cessionario del bene o del committente del servizio, per successivamente versarla all’Erario.

Trattasi di operazioni che si svolgono tutte nell’ambito del rapporto che intercorre tra soggetti privati ed alle quali resta del tutto estranea l’iniziativa dell’amministrazione finanziaria.

L’applicazione dell’art. 18 presuppone, quindi, che la liquidazione e la riscossione dell’imposta (da versare successivamente all’Erario) avvengano da parte del cedente di un bene o del prestatore di un servizio (che nel l’esercitare la rivalsa opera come esattore dell’Erario) nel momento in cui viene posta in essere l’operazione imponibile. Il citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 disciplina invece l’ipotesi in cui la imposta o la maggiore imposta da versare all’Erario venga accertata successivamente al compimento dell’operazione imponibile a seguito di accertamento (nei termini previsti dalla legge) da parte dell’amministrazione finanziaria della intervenuta evasione totale o parziale del tributo.

Tale norma esclude il diritto alla rivalsa, nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi della imposta o della maggiore imposta dovuta in conseguenza dell’accertamento tributario o della rettifica della dichiarazione annuale, che resterà pertanto interamente a carico del cedente del bene o del prestatore del servizio (cfr, in tale senso: cass. n. 24794 del 2005).

Tale disciplina, come osservato da autorevole dottrina, è ispirata dall’esigenza di garantire la stabilità dei rapporti giuridici, che sarebbe compromessa da rivalse su operazioni ormai remote e dal tentativo del cessionario – se soggetto passivo d’IVA – di detrarre la relativa imposta; esigenza che prevale rispetto alle ragioni di politica tributaria ispiratrici della neutralità dell’IVA e della tassazione del solo consumo finale. Ne deriva che, qualora il cedente di un bene , come avvenuto nel caso di specie, allegando il fatto di aver pagato a seguito di rettifica della dichiarazione annuale una maggiore imposta rispetto a quella riscossa in via di rivalsa dal cessionario, pretenda da quest’ultimo l’integrazione della somma originariamente riscossa in via di rivalsa al momento del compimento della operazione imponibile, non può invocare a fondamento di tale pretesa il disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18 atteso che i fatti allegati trovano la loro specifica disciplina nell’art. 60 del citato D.P.R., che esclude nella fattispecie in esame la rivalsa.

Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

Nella sentenza impugnata si afferma che l’art. 4 del rogito notarile in atti stabilisce che, al momento dell’assegnazione, tutte le imposte ricadono sull’assegnatario dell’alloggio, ma non certo che sullo stesso devono ricadere anche le omissioni di calcolo compiute dagli organi sociali e successivamente accertate (dall’amministrazione finanziaria con l’avviso di rettifica), sussistendo anche la previsione del successivo art. 6 di libertà dell’immobile da successivi oneri fiscali; che, pertanto, la parte non può essere tenuta al pagamento della somma richiesta dalla cooperativa neppure in base a quanto stabilito nell’atto di assegnazione dell’alloggio.

La ricorrente non ha censurato tale motivazione adducendo la violazione di qualche norma ermeneutica, nè tale motivazione appare insufficiente, illogica o contraddittoria, Devesi osservare, peraltro, che la clausola n. 4 del contratto, qualora dovesse essere intesa quale clausola che ammette la rivalsa anche nell’ipotesi in cui la maggiore imposta venga richiesta dalla cooperativa a seguito di rettifica della dichiarazione IVA, dovrebbe ritenersi nulla, perchè formulata in violazione di una norma imperativa di legge, l’art. 60, u.c. summenzionato (come si può argomentare dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, comma 4 che prevede con riferimento al meccanismo della rivalsa la nullità di patti contrari).

Nè il pagamento della somma in questione potrebbe essere richiesta al resistente in base al rapporto sociale, essendo questo venuto meno il 5.4.1996 con la cancellazione dal libro dei soci, per cui questo, come correttamente si afferma nella sentenza impugnata, non può essere chiamato a rispondere di un debito accertato nell’anno 2.000.

In virtù dell’art. 2530 c.c. (nella formulazione antecedente alla riforma del diritto societario) il socio uscente è responsabile delle obbligazioni assunte dalla società sino al giorno, in cui la cessazione della qualità di socio si è verificata, soltanto per i successivi due anni dal giorno in cui il recesso si è verificato.

Per quanto precede il ricorso deve essere rigettato.

Considerate le oscillazioni giurisprudenziali che si sono verificate sulla questione oggetto del presente giudizio, il collegio ritiene che sussistano giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2010

 

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