Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14577 del 15/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 15/07/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 15/07/2016), n.14577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10900/2011 proposto da:

M.G., C.F. (OMISSIS), D.G.M. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TIEPOLO 21, presso

lo studio dell’avvocato PIETRO BOGNETTI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato VINCENZO BELLOCCI, giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

TRENITALIA S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che

la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2330/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/04/2010 r.g.n. 10003/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.G. e D.G.M. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma Trenitalia s.p.a. ed esponevano di esser stati assunti dalla SER. FE.R. s.r.l. con mansioni di addetti alla pulizia delle vetture; di essere stati adibiti esclusivamente alla manutenzione e ricollocamento degli accumulatori nel (OMISSIS) di Trenitalia s.p.a., utilizzando materiale fornito da tale societa’, secondo i turni dalla stessa predisposti e con inserimento nell’assetto organizzativo aziendale, in violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1. Chiedevano quindi accertarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con Trenitalia s.p.a. a far tempo dal 1991, con condanna della stessa al pagamento delle differenze retributive spettanti. Resisteva la societa’ convenuta instando per il rigetto delle domande. Il giudice adito respingeva il ricorso con pronuncia che veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma.

A tal fine, dopo aver ricordato una serie di pronunce di legittimita’ in ordine alla configurabilita’ di una intermediazione vietata di manodopera, e l’evoluzione normativa dell’istituto, la sentenza osservava, in sintesi, che l’oggetto dell’appalto era costituito dal servizio di pulizia delle vetture e da una serie di servizi accessori che includevano la manipolazione delle batterie per attivita’ di “piccola manutenzione”; che non vi era commistione di mansioni fra dipendenti SER.FE.R. s.r.l. e dipendenti Trenitalia; che il raccordo fra appaltante ed appaltatrice era rappresentato da un responsabile di servizio il quale si occupava di adeguare l’organizzazione lavorativa alle diverse esigenze dell’appaltante; che la appaltatrice aveva adeguato il servizio alle esigenze della appaltante, organizzando i turni di lavoro e gestendo le assenze per malattia o ferie dei propri dipendenti; che, in sostanza, la SER.FE.R. s.r.l. aveva fornito un facere specialistico in cui il cd. know how era prevalente rispetto alle attrezzature utilizzate e si era assunta un autonomo rischio di impresa, come desumibile dalle penali contrattualmente previste. Concludeva, quindi, nel senso che la SER.FE.R s.r.l. risultava dotata di autonomia organizzativa e di gestione propria dell’attivita’ oggetto di contratto d’appalto escludendo che si fosse realizzata, nello specifico, alcuna violazione del divieto interpositorio sancito dalla L. n. 1369 del 1960.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono i lavoratori con tre motivi. Resiste la societa’ intimata con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 1, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si sostiene che la gestione dell’appaltatore non poteva dirsi autonoma, dipendendo dagli ordini di servizio impartiti dai responsabili Trenitalia che determinavano e variavano i turni, controllavano l’opera dell’appaltatore, comunicando le anomalie all’ufficio del personale “come se la forza lavoro dell’appaltatore e l’appaltatore stesso, per quel servizio, fossero tutt’uno con la sua forza lavoro”.

Si assume, altresi’, che la societa’ appaltatrice non aveva assunto il rischio di impresa con riguardo alle prestazioni lavorative in concreto affidate, realizzando un’ipotesi di divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro che la giurisprudenza di legittimita’ ha ravvisato in tutti i casi in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa in assenza di una reale organizzazione della prestazione, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.

Con il secondo mezzo di impugnazione si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si critica la statuizione impugnata per aver ritenuto sussistenti in capo al sovrintendente dell’appaltatore, compiti di direzione e di gestione dell’esecuzione dell’appalto, benche’ le testimonianze raccolte deponessero nel senso che la societa’ appaltatrice “non solo non svolgeva alcun controllo tecnico sui lavoratori, ma neppure risulta che organizzasse turni, assicurasse la presenza dei lavoratori…”.

Con il terzo motivo si denuncia carente, insufficiente, illogica motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3, agli artt. 112, 115, 116 e 416 c.p.c., nonche’ all’art. 2697 c.c..

Ci si duole, in sintesi, della errata valutazione del compendio istruttorio, operata mediante considerazione atomistica delle deposizioni e dei dati probatori raccolti, conferendo precipua importanza al cd. know how rispetto al valore delle attrezzature impiegate dalla societa’ appaltatrice, cosi’ pervenendo al risultato di alterare la corretta interpretazione dell’articolato quadro probatorio acquisito.

I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono privi di pregio.

Non va sottaciuto, invero, con specifico riferimento ai primi due mezzi di impugnazione che, sotto il profilo della violazione di legge, i ricorrenti tendono a pervenire inammissibilmente, ad una rinnovata considerazione, nel merito, della valutazione dei fatti di causa elaborata dai giudici del gravame.

Va in proposito rimarcato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito.

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (vedi Cass. 16 luglio 2010 n. 16698, cui adde Cass. 18 novembre 2011 n. 24253). Nella specie, ricorre proprio siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa, che non appare congruamente sussumibile sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge.

E, sempre sulla medesima linea interpretativa, va rimarcato come la giurisprudenza di questa Corte sia costante nel ritenere che “la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e’ apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e, quanto a quest’ultimo, che il controllo di logicita’ del giudizio di fatto, consentito da tale ultima disposizione, “non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realta’, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’”, con la conseguenza che “risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilita’ per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa” (v., fra le altre, Cass. 1 settembre 2011 n. 17977). Nello specifico, si impone, quindi, l’evidenza della inammissibilita’ dei motivi laddove tendono a pervenire ad una rinnovata valutazione degli elementi fattuali sottesi alla pretesa azionata, non consentita in questa sede di legittimita’.

Quanto alla terza censura, la stessa presenta ulteriori profili di inammissibilita’ ove si faccia richiamo ai principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, alla cui stregua la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione intrinsecamente eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate sotto i nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, mostra di non tener conto dell’impossibilita’ della prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione ai quali si deve decidere della violazione o della falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale ed analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorieta’ della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nell’impugnata sentenza, che si porrebbero in contraddizione tra loro (vedi ex plurimis, Cass. 23 settembre 2011 n. 19443).

Nell’ottica descritta della contemporanea proposizione di censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, si realizza, invero, una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 c.p.c., n. 4, giacche’ si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (vedi fra le tante, Cass. Sez. Lav. 26 marzo 2010 n. 7394 cui adde Cass. 8 giugno 2012 n. 9341, Cass. 20 settembre 2013 n. 21611).

In realta’, con il motivo di doglianza proposto, si tende a pervenire, ad una rinnovata considerazione, nel merito, della valutazione dei fatti di causa elaborata dai giudici del gravame che si palesa inammissibile nella presente sede di legittimita’.

La motivazione omessa o insufficiente e’ infatti configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non gia’ quando, invece, vi sia difformita’ rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, Cass. SS.UU. 25 ottobre 2013 n. 24148, Cass. 4 aprile 2014 n. 8008).

Invero il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza nonche’ scegliere tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti in discussione, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. In ogni caso, per considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non e’ necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma e’ sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (tra le tante, Cass. 14 febbraio 2013 n. 3668).

Inoltre con la riforma del giudizio di cassazione operata con la L. n. 40 del 2006, che ha sostituito il concetto di “punto decisivo della controversia” con quello di “fatto controverso e decisivo” il legislatore ha mirato ad evitare che il giudizio di cassazione, che e’ giudizio di legittimita’, venga impropriamente trasformato in un terzo grado di merito (cosi’ Cass. 31 luglio 2013 n. 18368).

Nello specifico va rimarcato che i ricorrenti si limita’no ad esporre un’interpretazione dei dati istruttori acquisiti a loro favorevole, proponendo un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei dati acquisiti al solo fine di indurre il convincimento del giudice di legittimita’ che l’adeguata valutazione di tali fonti probatorie avrebbe giustificato l’accoglimento della domanda.

Diversamente, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia reso, nei termini riportati nello storico di lite, una motivazione perfettamente comprensibile e coerente con le risultanze processuali esaminate.

Ha rimarcato, infatti, che l’oggetto del contratto di appalto era rappresentato dal servizio di pulizia delle vetture nonche’ dai servizi accessori di “manipolazione delle batterie” relative alla piccola manutenzione; che i testimoni escussi avevano confermato l’insussistenza di una commistione di mansioni fra dipendenti Trenitalia e dipendenti SER.FE.R, cosi’ come di un controllo dei primi sui secondi; che in particolare, la deposizione del teste B. non ostava a tali conclusioni, atteso che il predetto aveva riferito di essere intervenuto quale tecnico Trenitalia solo quando si doveva decidere se conservare o meno la batteria; che la societa’ appaltatrice era dotata delle competenze necessarie allo svolgimento della attivita’ oggetto di contratto, di natura prevalente rispetto alle mere attrezzature utilizzate.

Si tratta di un iter argomentativo del tutto congruo sotto il profilo logico, e corretto sul versante giuridico, perche’ in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui (vedi ex plurimis, Cass. 9 marzo 2009 n. 5648, Cass. 28 marzo 2011 n. 7034) in tema di divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti endoaziendali occorre accertare, in primo luogo, se, a termini di contratto, la prestazione lavorativa debba essere resa nell’ambito di un’organizzazione e gestione propria dell’appaltatore, in quanto finalizzata ad un autonomo risultato produttivo e, all’esito positivo di tale indagine, la concreta esecuzione del contratto e, quindi, l’esistenza, anche in fatto, dell’autonomia gestionale dell’appaltatore esplicata nella conduzione aziendale, nella direzione del personale, nella scelta delle modalita’ e dei tempi di lavoro. Elementi tutti, che risultano oggetto di precipua disamina da parte del giudice dell’impugnazione le cui statuizioni resistono, per quanto sinora detto, alle censure all’esame.

In definitiva, il ricorso e’ respinto.

Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

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