Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14576 del 16/06/2010

Cassazione civile sez. I, 16/06/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 16/06/2010), n.14576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23935-2006 proposto da:

P.C.M.P. (C.F. (OMISSIS)),

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARZO

RICCARDO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

V.G.P. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CONDOTTI 91, presso l’avvocato CAPPIELLO

RAFFAELE, rappresentato e difeso dagli avvocati DE VELLIS VALERIA,

MISURALE LIA, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA COLTRERA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato RIZZO ANTONIO, con delega,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva del 23-31 maggio 2005 il Tribunale di Lecce ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra P.C.M.P. e V.G. (celebrato ad (OMISSIS). P.C.M.P. ha impugnato la pronuncia innanzi alla Corte d’appello di Lecce, deducendo col primo motivo che la sentenza di separazione, emessa dal Tribunale di Lecce in data 24 maggio – 4 giugno 2004, non era passata in giudicato, siccome era ancora pendente l’impugnazione relativa alla parte in cui ne era stata disposta la correzione con riferimento al luogo di celebrazione del matrimonio e lamentando, col secondo motivo, omessa pronuncia dei provvedimenti presidenziali di natura patrimoniale, con sollecito di scrutinio sulla legittimità costituzionale della norma regolatrice per mancata espressa obbligatorietà della relativa assunzione. La Corte territoriale, con sentenza depositata il 12 giugno 2006 e notificata il 29 giugno ha respinto il gravame.

P.C.M.P. ha infine impugnato questa decisione con ricorso per cassazione in base a due motivi resistiti dall’intimato con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La decisione impugnata ha escluso gli estremi per la sospensione del giudizio non avendo ravvisato nesso di pregiudizialità col giudizio d’impugnazione della sentenza di separazione che, riguardando il solo capo del dispositivo, emendato del denunciato errore materiale . nel senso che la sentenza dovesse essere trasmessa per l’annotazione nei registri dello stato civile al Comune di (OMISSIS) e non già a quello di (OMISSIS) erroneamente ivi indicato, è passata in giudicato con riferimento alla pronuncia sullo status. Data la funzione di pubblicità a tutela dei terzi dell’annotazione, la questione controversa non può rappresentare presupposto della domanda di divorzio.

La ricorrente col primo motivo denuncia questa statuizione per difetto di motivazione e per violazione dell’art. 324 c.c. dell’art. 2909 c.c. della L. n. 898 del 1970, art. 3, n. 2, lett. b) come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 4 dell’art. 295 c.p.c..

Ascrive al giudicante:

1.- errore nell’aver escluso che l’ordine d’annotazione rappresenti elemento essenziale della pronuncia di separazione. Non si tratta di mera formalità ma di componente indefettibile ed inscindibile della sentenza;

2.- d’aver esaminato incidentalmente questione che, rimessa all’esame dell’organo investito dell’impugnazione, era estranea al thema decidendum riguardante la cessazione degli effetti civili del matrimonio;

3.- d’aver per l’effetto pronunciato diniego della sospensione del giudizio in corso, pur in presenza del suo interesse alla definizione della questione;

4.- d’aver erroneamente accertato e dichiarato in via incidentale il passaggio in giudicato della sentenza impugnata in relazione alla dichiarata separazione, rimessa invece al separato giudizio d’impugnazione.

Il resistente replica al motivo deducendone l’infondatezza.

Il motivo è infondato in ciascuno dei suoi profili argomentativi.

La sentenza di separazione è stata corretta nella parte indicata e quindi è stata impugnata, a mente dell’art. 288 c.p.c. u.c. nella sola parte corretta. Ancora sub judice in parte qua, è comunque definitiva laddove esprime pronuncia sullo status, che rappresenta l’unico indefettibile presupposto per la proponibilità della domanda di divorzio, unitamente al decorso del triennio dalla comparizione davanti al Presidente del Tribunale nella pregressa causa di separazione. Le Sezioni Unite, con sentenza n. 15248 del 2001, hanno affermato il principio, ribadito anche con sentenza n. 15157/2005, al quale ha prestato adesione la Corte di merito seppur con richiamo a precedente enunciato n. 416/2000, che ogni domanda autonoma, avanzata nel giudizio di separazione da una delle parti e logicamente subordinata alla pronuncia di separazione, non comporta immutazione del tema d’indagine suscettibile di riflettersi sulla pronuncia di separazione. Questa si consolida del giudicato, autorizzando la proposizione della successiva domanda di divorzio. Se ciò avviene nel caso in cui il giudizio prosegue in ordine alla domanda di addebito della separazione ovvero con riguardo alle statuizioni di carattere patrimoniale, a maggior ragione non influisce sulla pronuncia sullo status l’individuazione dell’ufficio territoriale competente per l’annotazione della separazione. Trattasi di disposizione di carattere accessorio rispetto alla pronuncia sulla separazione, volta al compimento di un adempimento di natura amministrativa, che assolve, secondo la ratio del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 69, lett. b) alla funzione di mera opponibilità ai terzi dello scioglimento della comunione derivante dalla separazione, assimilabile, nei suoi effetti, al caso, espressamente previsto, avente ad oggetto sentenza di separazione giudiziale dei beni di cui all’art. 193 c.c. (v. Cass. n. 12098/98).

Affidata ad astratta enunciazione di principio, la censura, che neppure contesta la correttezza dell’intervenuta correzione, propugna tesi difensiva priva di pregio siccome attribuisce all’annotazione nei registri dello stato civile effetti, sostanziale e processuali, del tutto inesistenti.

Tali considerazioni travolgono gli ulteriori profili di censura.

Il secondo motivo denuncia violazione della L.S. n. 87 del 1953, artt. 23 e 24 dolendosi del rigetto dell’eccezione d’incostituzionalità delle norme della legge sul divorzio nella parte in cui non consentirebbero la pronuncia del divorzio con sentenza non definitiva senza l’assunzione di provvedimento provvisorio di natura patrimoniale.

La decisione impugnata dichiara l’inammissibilità della questione di costituzionalità perchè genericamente dedotta, nonchè perchè irrilevante, non avendo la ricorrente dedotto di essere rimasta priva di tutela economica.

Tale decisione non merita censura.

Premesso che la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi trovava sede nel giudizio di separazione e non in quello di divorzio, devesi rilevare che il motivo in esame coltiva mera questione di principio, e non prospetta alcun interesse concreto alla sua definizione.

Non smentisce infatti quanto asserito dal giudice del gravame circa l’omessa formulazione di istanza diretta ad ottenere l’adozione del provvedimento in ordine alla cui legittimità introduce dibattito in chiave costituzionale.

Ogni indagine a riguardo è perciò priva di rilievo.

Tutto ciò premesso, il ricorso devesi rigettare con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2010

 

 

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