Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14576 del 10/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 14576 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 15246-2011 proposto da:
MONTEPELOSO LUIGI MARIO MNTLMR39L23E716B, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA GRAMSCI 9, presso lo studio
dell’avvocato RICCI BARBINI CARLO, rappresentato e
difeso dall’avvocato PARISI NADIA, giusta procura
speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001 in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope
legis;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 10/06/2013

avverso la sentenza n. 199/27/2010 della Commissione
Tributaria Regionale di BARI – Sezione Staccata di
FOGGIA dell’8.11.2010, depositata il 22/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 09/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott.

udito per il ricorrente l’Avvocato Nadia Parisi che si
riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del
Dott. TOMMASO BASILE che si riporta alla relazione
scritta.

GIUSEPPE CARACCIOLO;

La Corte, ritenuto
che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la
seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva
Montepeloso Luigi Mario propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Commissione tributaria regionale di Bari, con la quale era stato rigettato l’appello
proposto dal contribuente contro la sentenza della CTP di Foggia n.3-04-2009
pronunciata in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per
IRPEF per gli anni 2003-2005 e finalizzato al recupero di reddito non dichiarato e
derivante dalla definizione transattiva della controversia di lavoro promossa nei
confronti della “Fornaci Le Nuove Riunite srl” per conto della quale Il Montepeloso
aveva operato come Consigliere Delegato senza però mai percepire il pattuito
compenso, obbligazione poi azionata nel predetto giudizio.
La sentenza impugnata ha ritenuto che —atteso che l’art.6 del DPR n.917/1986
assoggetta ad imposizione ogni somma corrisposta al lavoratore anche se a titolo di
risarcimento per danni in sostituzione di redditi, salvo che costituisca risarcimento di
danno emergente- nella specie di causa la corresponsione aveva avuto funzione di
ristorare il danno per lucro cessante derivante dalla perdita di reddito consistente nel
compenso per l’attività svolta come consigliere delegato.
La parte contribuente ha proposto ricorso affidandolo a unico motivo.
L’Agenzia si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Con il motivo di ricorso (centrato sulla violazione dell’art.38 del DPR n.600/1973) la
parte ricorrente si duole che il giudicante non abbia qualificato come danno

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letti gli atti depositati

emergente quello risentito da esso ricorrente per non avere mai percetto somme di
danaro a corrispettivo dell’attività di “amministratore unico” della menzionata
società, così escludendo dette somme dalla base imponibile ai fini dell’imposta sul
reddito.
Il motivo di ricorso appare inammissibile.

impugnata che il giudice del merito ha effettuato la necessaria indagine volta ad
identificare la precisa natura del pregiudizio risarcito al Montepeloso, evidenziando la
fonte del proprio convincimento (la transazione stipulata a conclusione della
procedura giudiziale) ed indicando con precisione la categoria del pregiudizio
risarcito, il quale integra una evidente causa di diminuzione di redditi futuri, e cioè il
risarcimento per danni derivanti dalla mancata percezione di un compenso per
retribuzioni.
In tal modo il giudice del merito ha chiarito che l’indennizzo corrisposto costituisce,
ai sensi dell’art. 6, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, reddito della
stessa categoria del compenso per retribuzioni a cui il ricorrente ha rinunciato e va,
quindi, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la
predetta forma di compenso, in quanto la sua causa genetica è nel rapporto di lavoro
che ha determinato la nascita del trattamento.
Ne consegue che siffatta determinazione costituisce —per evidenza- apprezzamento di
circostanze di fatto e comunque valutazione di puro merito che ineriscono al potere di
ricostruzione della fattispecie concreta —dalla legge di rito assegnato in via esclusiva
al giudice del merito- il cui apprezzamento non può costituire oggetto di erronea
interpretazione o applicazione della norma, almeno non nell’ottica prospettata dalla
parte ricorrente.
Ed invero è principio tante volte enunciato da questa Corte che:” In tema di ricorso
per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata
da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo

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Occorre evidenziare che risulta dalla diretta consultazione della pronuncia qui

della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della
norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è
possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine
tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea

legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta
– è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata
dalla contestata valutazione delle risultanze di causa”.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità.
Roma, 30 dicembre 2012

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che nessuna delle parti ha depositato memoria illustrativa;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in € 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 9 maggio 2013.

ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della

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