Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14575 del 16/06/2010

Cassazione civile sez. I, 16/06/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 16/06/2010), n.14575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.C.M.P. (C.F. (OMISSIS)) domiciliata

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARZO RICCARDO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

V.G.P., (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso l’avvocato RIZZO ANTONIO,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati DE VELLIS

VALERIA, MISURALE DELL’ANNA LIA;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE,

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

LECCE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 25/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato RIZZO che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza 21 giugno – 5 luglio 2004 il Tribunale di Lecce, accogliendo l’istanza proposta da V.G., ha proceduto alla correzione dell’errore materiale della propria sentenza non definitiva del 23 maggio – 4 giugno 2003 ormai divenuta cosa giudicata, che aveva pronunciato la separazione personale tra il predetto istante e P.C.M.P., stabilendo che laddove il luogo di celebrazione del matrimonio era stato indicato in (OMISSIS) dovesse leggersi ed intendersi in (OMISSIS).

La P. ha impugnato l’ordinanza innanzi allo stesso Tribunale per ottenerne l’annullamento con ricorso che l’organo adito ha dichiarato improponibile.

Ha quindi proposto impugnazione, chiedendo accertarsi e dichiararsi la nullità della sentenza di separazione invalidamente corretta, innanzi alla Corte d’appello di Lecce che, con sentenza depositata il 25 gennaio 2006 l’ha dichiarata a sua volta inammissibile, per decorso del termine annuale sancito nell’art. 288 c.p.c. P. C.M.P. ha impugnato infine questa decisione con ricorso per cassazione in base a due motivi resistiti dall’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente:

1.- col primo motivo denuncia violazione degli artt. 287, 288, 323, 325 e 326 c.p.c. nonchè vizio di contraddittoria ed illogica motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza attribuisce all’istanza inoltrata per l’annullamento d’ufficio dell’ordinanza di correzione la natura di mezzo tipico d’impugnazione, omettendo di motivare sulla natura del procedimento di correzione. Assume, anche con riferimento ad enunciato del giudice delle L. n. 335 del 2004, che l’ordinanza di correzione ha natura amministrativa e non giurisdizionale, non essendo il relativo ricorso incluso tra i mezzi tipici d’impugnazione, così come l’istanza d’annullamento d’ufficio dell’ordinanza di correzione, sicchè è ammessa l’impugnazione se proposta entro il termine annuale decorrente dalla data dell’ordinanza;

2.- col secondo motivo denuncia ancora vizio di motivazione su punto decisivo della controversia riguardante l’inapplicabilità nel caso di specie del procedimento di correzione.

Il resistente replica ai motivi chiedendone il rigetto.

Le censure esposte nei motivi, che logicamente connessi sono meritevoli d’esame congiunto, sono prive di pregio.

La Corte d’appello pugliese ha dichiarato inammissibile l’impugnazione per violazione del termine breve stabilito dall’art. 325 c.p.c., rilevato che l’istante si era già doluta dell’erroneità del provvedimento di correzione con l’improponibile istanza d’annullamento del 29 marzo 2005, proposta innanzi al Tribunale di Lecce, equivalente, agli effetti di legale scienza, alla notifica del provvedimento impugnato. Computando per l’effetto l’anzidetto termine dalla data anzidetta, l’impugnazione, introdotta con ricorso 5 luglio 2005, risultava proposta tardivamente.

La ricorrente indirizza critica contro questo percorso argomentativo, illustrato con adeguata ed esaustiva motivazione, che per un verso è infondata e per altro verso è inammissibile. Argomenta sulla natura amministrativa del procedimento di correzione previsto dall’art. 288 c.p.c., che sostiene esser escluso dai rimedi impugnatori tipici e tassativi previsti dall’art. 323 c.p.c., senza cogliere il senso della ratio decidendi che, senza affatto esprimere diversa o contrastante esegesi, piuttosto interpreta il regime impugnatorio senza riferirsi nè al procedimento di correzione nè tanto meno al provvedimento di correzione. Lungi dall’asserire che l’istanza di correzione configuri un mezzo d’impugnazione, la decisione indaga infatti sulla regolamentazione del rimedio ammesso avverso la decisione corretta, collocando la sua verifica nella cornice del sistema delle impugnazioni del codice di rito. Ed in tale tracciato perviene a conclusione corretta.

L’art. 288 c.p.c., u.c. prevede testualmente che “le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione”. Esclusa dunque l’impugnazione del provvedimento di correzione quale atto considerato ex se, perchè effettivamente potrebbe configurarsene contenuto sostanzialmente amministrativo, mirando a rendere la formula usata aderente al contenuto effettivo della decisione, la norma affida il controllo sulla legittimità e l’esattezza della correzione al rimedio dell’impugnazione che deve essere diretta avverso la sentenza nelle parti corrette, e deve mirare non certo a denunciare nuovi errori di giudizio, ma a provocare il controllo sulla sussistenza dell’errore emendabile, così come emendato: il che vuoi dire, nella fattispecie, che il matrimonio non era stato celebrato ad (OMISSIS), ovvero che l’erronea indicazione in (OMISSIS) non rappresentava un vero e proprio errore materiale. Tale rimedio, essendo dallo stesso dettato normativo qualificato mezzo d’impugnazione, è disciplinato quanto alla sua introduzione dal regime ordinario, e deve perciò essere proposto entro il termine ordinario previsto dall’art. 325 c.p.c. che si identifica con quello previsto a seconda dell’organo innanzi a cui è proposta l’impugnazione, e nella specie è perciò quello di trenta giorni previsto per l’appello, decorrente dalla data della notifica dell’ordinanza. In mancanza di notifica, la tempestività dell’impugnazione deve valutarsi in relazione al suddetto termine breve se è stata proposta una prima impugnazione, o comunque sia stato attivato altro rimedio, ancorchè inammissibile, equivalendo tale proposizione alla conoscenza legale dell’atto da parte dell’impugnante – per tutte Cass. n. 9265/2010. Solo in mancanza, potrà trovare applicazione, in via residuale, il termine cd. lungo previsto dall’art. 327 c.p.c..

La qualificazione della natura dell’ordinanza di correzione dell’errore materiale in questo contesto ricostruttivo non dispiega alcuna giuridica rilevanza. Quale che ne sia la natura, l’irrituale istanza d’annullamento proposta dalla ricorrente al Tribunale di Lecce produce l’effetto sopra indicato, equivalendo ai fini considerati alla notifica dell’atto impugnabile, di cui la ricorrente mostrai d’aver avuto legale conoscenza. Tutto ciò premesso, il ricorso devesi rigettare con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio (che si liquidano in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio,liquidate in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2010

 

 

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