Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14574 del 13/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14574 Anno 2015
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 23969-2009 proposto da:
CERIONI CATIA C.F. CRNCTA74L53E388D, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2015
1934

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio

dell’avvocato

FIORILLO

LUIGI,

che

la

Data pubblicazione: 13/07/2015

rappresenta e difende giusta delega in atti;
controricorrente –

avverso la sentenza n. 4388/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 05/05/2009 r.g.n. 7478/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/04/2015 dal Consigliere Dott. NICOLA DE
MARINI S;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito l’Avvocato MIRENGHI MICHELE per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
l’accoglimento.

e

”••••

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 5 maggio 2009, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione con
cui il Tribunale di Roma, rigettava la domanda proposta da Catia Cerioni nei confronti di
Poste Italiane S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria della nullità dell’ap posizione del
z o Qo
termine al solo contratto stipulato tra le parti per il periodo dal 1.3 al 30.4.E3 in relazione
a “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi
produttivi di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e
completo equilibrio sul territorio delle risorse umane” ai sensi della previsione di cui
all’art. 8 del CCNL 26.11.1994 come integrato dall’accordo aziendale del 25.9.1997.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto fondata la proposta
eccezione circa l’intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso in relazione alla
ricorrenza nella specie degli elementi da ritenersi in tal senso significativi alla stregua dei
consolidati orientamenti giurisprudenziali sul punto..
Per la cassazione di tale decisione ricorre Catia Cerioni, affidando l’impugnazione a cinque
motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, Poste Italiane S.p.A..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Tutti i cinque motivi su cui la ricorrente articola la proposta impugnazione, sono intesi a
censurare Perroneità della pronunzia della Corte territoriale incentrata sulla ritenuta
fondatezza dell’eccezione sollevata dalla Società in ordine all’intervenuta risoluzione per
mutuo consenso del rapporto intercorso tra le parti.
In effetti i vizi denunciati dalla ricorrente, nel primo, secondo e terzo motivo, quelli di
violazione di legge dedotti rispettivamente in relazione all’art. 1372 c.c., all’art. 2729,
comma 2, c.c., e all’art. 2729, comma 1, c.c., nel quarto quello di motivazione, nel quinto
ancora quello di violazione di legge dedotta in relazione all’art. 2697 c c, mirano tutti a
censurolKvalutazione della Corte territoriale in ordine alla ravvisabilità, in relazione al
mero decorso del tempo o, comunque, agli ulteriori elementi cui la Corte stessa ha inteso
dare rilievo nella fattispecie concreta, di una volontà dismissiva del rapporto da parte della
ricorrente
I motivi predetti, che, per quanto detto, possono qui essere trattati congiuntamente,
meritano accoglimento.
Invero, l’indirizzo consolidato di questa stessa Sezione (cfr., da ultimo, Cass., 31 marzo
2015, n. 6549, cui adde Cass., 31 luglio 2014, n. 17450; Cass. del 28 gennaio 2014, n.

2

1780; Cass., 11 marzo 2011, n. 5887; Cass., 15 novembre 2010 n. 23057; Cass. 10
novembre 2008 n. 26935; Cass. 24 giugno 2008 n. 17150) è nel senso di ritenere che la
mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé
insufficiente a far considerare sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso
in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata
sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,

chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo.
La valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità
se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
Deve peraltro rilevarsi che l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al
contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è
consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale
del contratto per contrasto con nome imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419, comma 2 c.c.
Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a
prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla
conversione ex lege per illegittimità del termine apposto.
Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione
di siffatta azione giudiziale non può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad
esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo
indeterminato risultante dalla conversione.
Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo
predeterminati, o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e
contraddittoriamente produrre, da solo, anche un effetto di contenuto opposto, cioè
l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta
conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità
dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe
“contra legem” anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti.
Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo
consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che
il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le
loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere

nonché del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una

complessivamente interpretate nel senso di denotare “una volontà chiara e certa delle parti
di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v.
anche Cass., 2 dicembre 2000, n. 15403; Cass., 20 aprile 1998,n. 4003).
E’onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare
prima e provare poi siffatte circostanze (v. Cass., 16 luglio 2014, n. 16289; Cass., 12 luglio
2010, n. 16303; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2279; Cass., 6 luglio 2007, n. 15624).

territoriale ha sostanzialmente dato rilievo al solo fattore temporale, unito all’inerzia della
lavoratrice ed all’accettazione del trattamento di fine rapporto senza alcuna riserva. Si
tratta, tuttavia, di circostanze di fatto di per sé solo equivoche, che già in altre pronunce di
questa Corte sono state ritenute insufficienti a configurare una ipotesi di risoluzione del
rapporto per mutuo consenso: a tale ultimo riguardo, questa Corte ha più volte affermato
che non sono indicative di un intento risolutorio né l’accettazione del TFR né la mancata
offerta della prestazione, trattandosi di “comportamenti entrambi non interpretabili, per
assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti
dalla illegittima apposizione del termine” (cfr., Cass., 11 dicembre 2001, n. 15628, in
motivazione). Altrettanto va detto in ordine alla condotta di “chi sia stato costretto ad
occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse
dalle dimissioni” (cfr. Cass., 19 gennaio 2010, n. 839, in motivazione, nonché, in senso
analogo, Cass., 28 luglio 2005, n. 15900): a prescindere dal rilievo che tale circostanza di
fatto è stata meramente supposta dal giudice del merito e non già provata sia pure
attraverso presunzioni, come si evince dall’uso dell’avverbio “verosimilmente”, anche tale
contegno – contrariamente a quanto ritenuto dalla gravata pronuncia – è inidoneo a far
supporre un mutuo consenso allo scioglimento del rapporto lavorativo.
Per contro, la stessa giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, ai fini dell’esaustività
della motivazione, la formulazione del giudizio di carenza di interesse alla richiesta di
continuazione del rapporto deve tener conto, oltre che del suddetto fattore temporale, anche
di un comportamento ulteriore tenuto dalla parti, con la indicazione delle eventuali ulteriori
circostanze significative (Cass., 31 marzo 2015, n. 6549, cit.; Cass., 31 marzo 2014, n.
7443; Cass., 10 novembre 2008, n. 26935 e 28 settembre 2007, n. 20390;).
Al riguardo, non può condividersi il diverso indirizzo, pure sollecitato dalla
controricorrente che, valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una
presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass., 6 luglio 2007, n. 15264 e, da ultimo,
Cass., 5 giugno 2013, n. 14209), prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per

Posti questi principi, occorre rilevare che, nel pervenire al suo convincimento, la Corte

mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se tacita
(v. da ultimo, Cass., 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass., 15 luglio 2014, n. 16139).
Rilevata in questi termini l’insufficienza della motivazione, il ricorso deve essere accolto e
la sentenza impugnata cassata, con rinvio della causa, per un nuovo esame del merito della
controversia che tenga conto dei suddetti principi, alla Corte d’Appello di Roma in diversa
composizione, che dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla
Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 aprile 2015
Il Consigliere
, eit.

Il Presi nte

giudizio

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