Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14573 del 12/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/06/2017, (ud. 08/03/2017, dep.12/06/2017),  n. 14573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12913/2012 proposto da:

PROCTER & GAMBLE ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 44, presso lo studio dell’avvocato

MATTIA PERSIANI, che la rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS) in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6457/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2011 R.G.N. 5322/09.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza n. 6457/2011 la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello, riconoscendo dovuto l’importo di Euro 252.301,40, proposto dall’INPS nei riguardi di Procter & Gamble Italia s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto integralmente l’opposizione a cartella esattoriale per il recupero di agevolazioni indebite fruite dalla società per contratti di formazione e lavoro intercorsi dal 1997 al 1999; che la Corte territoriale ha ritenuto fondati i motivi d’appello, procedendo alla ricostruzione del quadro normativo europeo generatosi a seguito della Decisione della Commissione europea 2000/128/CE dell’11 maggio 1999 e facendone discendere varie conclusioni;

che avverso tale sentenza Procter & Gamble Italia s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi al quale ha risposto l’INPS con controricorso anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a.;

che il P.G. in data 3 febbraio 2017 ha richiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che il primo motivo, con il quale viene denunciata la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), è infondato giacchè non si è formato alcun giudicato sulla insussistenza dell’obbligo contributivo accertata dal Tribunale di Roma posto che l’INPS ha proposto motivo d’appello relativo alla violazione della regola del riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., a fronte della sentenza di primo grado che aveva concluso per l’insussistenza dell’obbligo sulla base, non di un accertamento in concreto, ma proprio addossando all’Istituto le conseguenze del non aver dimostrato di aver richiesto alla opponente la documentazione necessaria a procedere all’accertamento;

che il secondo ed il terzo motivo, che è possibile trattare congiuntamente perchè connessi dall’unico tema del riparto dell’onere probatorio e dal suo concreto esercizio nel caso di specie, fondati sui rilievi di omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., art. 2697 c.c., artt. 112, 115, 166 e 420 c.p.c., sono infondati perchè ispirati ad una ricostruzione della questione difforme dai principi ormai consolidati espressi da questa Corte di cassazione secondo cui nelle controversie relative al recupero dei contributi non corrisposti per indebita fruizione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro opponente l’onere di provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della detrazione (cfr., tra le tante, Cass. n. 21898 del 2010), per cui va ribadito che la circostanza che, nella specie, le condizioni legittimanti il beneficio e la sua conseguente non recuperabilità siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie non può alterare i termini della ripartizione dell’onere probatorio, spettando pur sempre al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle condizioni, stabilite dalla Commissione o da quest’ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale (Cass. n. 24808/2016);

che il quarto motivo, con il quale si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, dell’art. 2697 c.c., interpretato secondo Corte Cost. n. 111/2007, del D.P.R. n. 520 del 1955, art. 8 e segg., D.L. n. 463 del 1983, art. 3 e D.L. n. 124 del 2004, è infondato giacchè la sentenza impugnata ha correttamente interpretato le norme indicate, sia riguardo al versante della regola del riparto dell’onere della prova, come si è sopra riferito, che sotto il versante ora evocato e riferito al rapporto tra ordinario esercizio dei poteri di accertamento spettanti all’INPS in materia di contribuzione ed attività svolta dall’Istituto al fine di recuperare aiuti di Stato ritenuti illegittimi dalle Istituzioni europee, ponendosi in linea con le statuizioni di questa Corte di legittimità secondo cui in materia di effetti della Decisione della Commissione CE ed ordinamento interno deve trovare applicazione la regola, più volte enunciata dalla giurisprudenza comunitaria (ex plurimis, Corte di giustizia CE 21 maggio 1990, C-142/87; Corte di giustizia CE 20 settembre 1990, C- 5/89; Corte di giustizia CE 9 febbraio 1999, C-343/96; Corte di giustizia CE 20 settembre 2001, C-390/98; Corte di giustizia CE 5 ottobre 2006, C-368/04), secondo cui il recupero dell’aiuto deve essere attuato attraverso i mezzi e le procedure vigenti negli Stati membri, con il rispetto dei principi:

– di equivalenza, tra quanto è previsto dal diritto comunitario e quanto è previsto per le violazioni del diritto interno;

– di effettività del rimedio, nel senso che non deve essere reso impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario (vd. Cass. 7306/2013);

che il quinto motivo, relativo alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 112 e 443 c.p.c., in relazione alla regola cd. de minimis e riferito alla circostanza che non spettava alla società provare i presupposti per la sua applicazione, è pure infondato giacchè questa Corte ha affermato il principio, contrastante con quanto prospettato dalla ricorrente, secondo cui la regola de minimis costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale la disciplina restrittiva degli aiuti di Stato contenuta nel Trattato CE deve considerarsi inapplicabile, e ha chiarito non soltanto che la sussistenza delle specifiche condizioni concretizzanti l’applicabilità della regola de minimis costituisce elemento costitutivo del diritto a beneficiare dello sgravio contributivo, che come tale deve essere provato dal soggetto che lo invoca (Cass. n. 6756 del 2012), ma soprattutto che per la sussistenza di tali condizioni non basta che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata dalla decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto de minimis, comprendendovi qualsiasi aiuto pubblico accordato sotto qualsiasi forma (cfr. tra le più recenti Cass. n. 1374/2016; 6780/2013), e fermo restando che, in caso di superamento della soglia, riacquista vigore in pieno la disciplina del divieto che involge l’intera somma, la quale deve essere recuperata per l’intero e non solo per la parte che eccede la soglia di tolleranza, a prescindere dalla circostanza che l’aiuto sia stato erogato in epoca precedente al Regolamento (CE) n. 69/2001 (Cass. n. 11228 del 2011);

che il sesto motivo, riferito alla violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è infondato giacchè nel rito del lavoro, la violazione del termine di dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi dell’art. 435 c.p.c., comma 2, deve notificare all’appellato il ricorso, tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione unitamente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione, non produce alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perchè non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che, in forza del medesimo art. 435 c.p.c., commi 3 e 4, deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione (vd. Cass. 3959/2016);

che, pertanto, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio compensate atteso che il consolidamento dei principi in tema di azione di recupero degli sgravi costituenti aiuti di Stato non conformi al mercato comune è successivo alla presentazione del ricorso.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2017

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