Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14573 del 04/07/2011

Cassazione civile sez. II, 04/07/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 04/07/2011), n.14573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.I., V.R., V.N., rappresentati e

difesi, per procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati

JESU Guido e Aldo Ferretti, elettivamente domiciliati presso lo

studio del secondo in Roma, Piazza Cola di Rienzo n. 69;

– ricorrenti –

contro

VA.RE., rappresentato e difeso, per procura a margine del

controricorso, dagli Avvocati CELLA Piero e Alberto Improda,

elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via

Due Macelli n. 47;

– controricorrente –

e

V.A., V.L., D.C.P.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 174 del 2009,

depositata il 7 maggio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, il quale nulla ha osservato rispetto alla

relazione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che B.I., V.R. e V.N., quali eredi di V.G., hanno impugnato per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 174 del 2009, depositata il 7 maggio 2009, che, nel giudizio di divisione dei beni ereditari iniziato nel 1987 da V.L. e V.E. nei confronti dei fratelli Va.Re., V.G. e V.A., in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Tolmezzo – che aveva disposto l’attribuzione ai condividenti degli assegni divisionali come specificati in motivazione, e ordinato l’estrazione a sorte tra Va.Re. e gli eredi di V.G. dei beni immobili (e tra questi quello denominato “casa vecchia”) ricompresi nei lotti 1/a e 1/b della seconda relazione del c.t.u. – ha disposto che nella posta avere di cui alla resa del conto relativo agli eredi di V.G. per le spese sostenute per la “casa vecchia” ammontanti ad Euro 19.336,80, dovesse essere aggiunto l’ulteriore somma di Euro 154,94, oltre interessi;

che il ricorso, affidato ad un motivo, è stato proposto nei confronti di Va.Re., V.A., V.L. e D.C.P.;

che ha resistito con controricorso, Va.Re. mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva;

che, ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., ai sensi di tale norma è stata redatta la prevista relazione, depositata il 10 marzo 2011, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto per erronea interpretazione e applicazione dell’art. 720 cod. civ., nonchè difetto di motivazione. La censura si riferisce al fatto che la Corte d’appello ha confermato la statuizione del Tribunale in punto divisibilità dell’immobile denominato casa vecchia.

Il ricorso è inammissibile, non rispondendo il motivo proposto alle prescrizioni di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis.

Con riferimento alle denunciate violazioni di legge, invero, deve rilevarsi che i motivi non contengono la formulazione di un quesito di diritto, come previsto dalla citata disposizione.

Con riferimento, poi, ai motivi di ricorso con i quali si denuncia vizio di motivazione, si deve rilevare che le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di cia-scun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., S.U., n. 20603 del 2007). In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione dello stesso in camera di consiglio”;

che la richiamata proposta di decisione, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta – avendo solo il controricorrente depositato memoria adesiva – è condivisa dal Collegio;

che il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2011

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