Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14571 del 13/07/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 14571 Anno 2015
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 21817-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

1901

BALDONI DANIELE c.f. BLDDNL73B02A271L, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO NICOLAI N. 22, presso
lo

studio

dell’avvocato

MARIO

FANTACCHIOTTI,

Data pubblicazione: 13/07/2015

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO BOLDRINI,
giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 511/2008 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 20/10/2008 r.g.n. 305/2007;

udienza del 30/04/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato MIRENGHI MICHELE per delega

uxt32,

PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato BOLDRINI FRANCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha con uso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

t

R.G. 21817/2009
,

FATTO E DIRITTO
Con sentenza n. 77/2006 il Giudice del lavoro del Tribunale di Ancona, in
accoglimento della domanda proposta da Daniele Baldoni nei confronti della

lavoro intercorso tra le parti dal 11-4-2000 al 30-6-2000, per “esigenze
eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ., e
condannava la società al ripristino del rapporto e alla corresponsione delle
retribuzioni dalla messa in mora (24-1-2005).
La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con il rigetto della domanda di controparte.
Il Baldoni si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata il 20 -10-2008,
respingeva l’appello.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre
motivi.
Il Baldoni ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, va rilevato che con il primo motivo la ricorrente censura
l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione
del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di una
qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto del rapporto, per
un apprezzabile lasso di tempo anteriore alla proposizione della domanda e la
,

1

s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di

te
,
o

conseguente presunzione di estinzione del rapporto stesso, con onere, in capo
:
‘.,

al lavoratore, di provare le circostanze atte a contrastare tale presunzione.
Il detto motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini

indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
,
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
2

del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo

comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del
rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al

esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione
sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n.
14209), prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo
consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se
tacita (v. da ultimo Cass. 28-1-2014 n. 1780).
Orbene nella fattispecie la Corte di merito ha affermato che “nel caso in
esame l’unico elemento valorizzabile in senso risolutorio è il lasso di tempo di
inerzia del lavoratore in quanto ad esso non sono accompagnati altri particolari
comportamenti”, mentre sussistono fattori che pongono “effettivamente in
dubbio che la predetta inerzia protratta nel tempo sia indice di definitivo
disinteresse per il ripristino della funzionalità del rapporto” (“contrasto
giurisprudenziale ” che “giustificava un atteggiamento di prudente attesa”,
“pregressa reiterazione dei contratti a termine tale da creare nella ricorrente la
ragionevole attesa di una nuova chiamata”) e che non consentono di qualificare
“chiara e certa” la volontà della lavoratrice di risolvere definitivamente il
rapporto.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Con il secondo motivo la ricorrente censura, ex art. 360, comma primo,
numeri 3) e 5), l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto la nullità del
3

riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando

termine apposto al contratto de quo in quanto stipulato (per “esigenze
eccezionali…”) oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi collettivi attuativi
dell’acc. az. 25-9-1997 ed all’uopo sostiene la insussistenza di tale scadenza e
la natura meramente ricognitiva dei detti accordi.
Anche tale motivo è infondato.
In base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, “in materia di
assunzioni a termine dei dipendenti postali, l’art. 23 della legge 28 febbraio
1987, n. 56, nel consentire anche alla contrattazione collettiva di individuare
nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, ha
consentito il ricorso ad assimzione di personale straordinario nei soli limiti
temporali previsti dalla contrattazione collettiva, con conseguente esclusione
della legittimità dei contratti a termine stipulati oltre i detti limiti; resta altresì
escluso che le parti sociali, mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
delle vecchie disposizioni contrattuali ormai scadute (volta ad estendere
l’ambito temporale delle stesse), possano autoriznre retroattivamente la
stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in precedenza
stabilita, tanto più che il diritto del lavoratore si era già perfezionato e le
organizzazioni sindacali non possono disporre dello stesso.” (v. fra le altre
Cass. 16-11-2010n. 23120).
In particolare, come è stato precisato, “con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto il 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa
alla trasformazione giuridica dell’ente e alla conseguente ristrutturazione
aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali, fino alla data del 30

2

P.

aprile 1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a
termine cadute dopo il 30 aprile 1998 per carenza del presupposto normativo

Ma

derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n.

n. 21062, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 23-8-2006
n. 18378).
Con il terzo motivo la società ricorrente, in ordine alle richieste
economiche, lamenta la violazione del principio di corrispettività delle
prestazioni ed in specie rileva che la Corte di merito “avrebbe dovuto, tutt’al
più, riconoscere un risarcimento del danno al lavoratore commisurato alla
differenza tra il trattamento economico che avrebbe percepito in costanza di
rapporto ed i trattamenti economici degli eventuali corrispettivi percepiti per
attività lavorative svolte alle dipendenze e/o nell’interesse di terzi” ed aggiunge
che non è “giuridicamente plausibile la pretesa di controparte di far coincidere
automaticamente la messa in mora del datore con la data di notifica del
tentativo obbligatorio di conciliazione”.
Tale motivo risulta inammissibile innanzitutto in quanto si conclude con
un quesito assolutamente generico e, come più volte ritenuto da questa Corte
(v. fra le altre Cass. 19-12-2014 n. 26944, Cass. 24-11-2014 n. 24943, Cass.
26-9-2014 n. 20354, Cass. 18-9-2014 n. 19678), inidoneo ex art. 366 bis c.p.c.
(che va applicato nella fattispecie rottone temporis),
Del resto anche le censure risultano inammissibili in quanto del tutto
generiche, prive di autosufficienza ed anche in parte inconferenti con il
decisum.

230″ (v. Cass. 18-11-2011 n. 24281, cfr. Cass. 28-11-2008 n. 28450, 4-8-2008

Posto, infatti, che la impugnata sentenza ha confermato la condanna della
società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora ravvisata
nella comunicazione del 24-1-2005, la ricorrente censura tale statuizione senza
riportare il testo dell’atto che, secondo il suo assunto, non avrebbe integrato la
offerta della prestazione e la messa in mora (contrariamente a quanto affermato

dalla Corte di merito) e senza considerare che la Corte di merito, premesso che
P aliunde perceptum “è un fatto impeditivo o modificativo del diritto azionato
che deve essere dimostrato dal datore di lavoro”, ha espressamente confermato
la decisione del primo giudice rilevando che lo stesso (sulla base dei documenti
depositati il 27-12-2005 da parte ricorrente, su ordine di esibizione emesso in
accoglimento della istanza avanzata dalla società) aveva escluso detrazioni non
essendo risultata “alcuna prova di una alternativa attività lavorativa svolta dal
dipendente, e di eventuali relativi introiti”, di guisa che la censura risulta altresì
inconferente con il decisum.
Così risultato inammissibile il terzo motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’alt 32,
commi 5°, 60 e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, invocato dalla società
con la memoria.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
legittimità lo ius superveniens
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni
in

oggetto di censura nel ricorso,

ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
6

dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad

fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento
delle spese in favore della Curti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al Baldoni le
spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.500,00 per compensi, oltre
spese generali e accessori di legge.
Roma 30 aprile 2015
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA